PERSONE - PERSONE IMPORTANTI |
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A origine e motivazione di questo articolo inserisco parte di una precedente breve corrispondenza.
Gentile Signor Luigi Zampieri,
………………..tengo di buon conto l’occasione per la sua gentile disponibilità alla mia conoscenza e all’inserimento del mio nome nel sito e ovviamente, per ulteriori notizie e informazioni, resto a sua disposizione.
La saluto cordialmente,
Prof. Luciano Zarotti
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Gentile Prof. Luciano Zarotti
la ringrazio per la sua disponibilità a far parte del sito Sambrusonlastoria nel quale, molto volentieri, inserisco l’articolo con informazioni e notizie sulla sua importante attività artistica di pittore, scultore, incisore e come Docente e studioso delle arti.
Luigi Zampieri.
Seguono alcune testimonianze del giornalismo e della critica.
Grosseto 2010
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2011 - Il Comune di Padova
antologica al centro Altinate
scrittore, giornalista, fotografo.
«Meno male che non ci sono, al Padiglione Italia... E dirò poi: io non ho partecipato alla Biennale di Sgarbi». Luciano Zarotti, pittore e non solo, appartiene «ad un'epoca in cui gli uomini erano "liberi", senza pensare alle conseguenze della loro libertà». Che magari vuol dire essere da cinquant'anni sulla breccia più interessante dell'arte veneta, avere da quarant'anni due o tre insegnamenti all'Accademia di Belle Arti, essere visionari senza sradicamento, e non avere la "raccomandazione" per entrare all'ammasso del Padiglione Italia. Meglio, tutto sommato, le chiare stanze del Centro Culturale Altinate, dove da sabato 3 settembre per iniziativa del Comune di Padova e con il sostegno di Fondazione Antonveneta, un centinaio di opere raccontano di un percorso assolutamente singolare, così intriso di coabitazioni, simultaneità e simbiosi da rendere questo artista classe 1942 una specie di ibrido solitario: ma insieme pietra angolare e testimone vivente delle stagioni di mezzo secolo di nostra pittura. Anzi di più, perché nel suo Dna s'è annidata, senza più lasciarlo, la lezione di un Luigi Tito, che aveva nei lombi il padre Ettore, e quindi l'Ottocento. Un Dna in cui qualche cromosoma occhieggia a Cadorin, e a Gaspari, e a Novati: come dire flussi diversi di venezianità nell'arte. Che si rivelano nella pittura tonale, fatta di luce più che di disegno, in un classicismo ansioso di aprirsi al nuovo restando con piedi ben saldi nelle certezze dell'arte e delle tecniche conosciute. Insomma, un gran lavorìo di miscellanea, nelle stagioni e nei dipinti di Zarotti, ma ad ogni opera un passo in più, una ricerca che, sembra di capire, viene da sola. Spiega il pittore, andando indietro negli anni: «La metamorfosi avviene da sola. La mano si ribella, dal cervello arrivano ordini nuovi». Sono i passi dell'evoluzione, scanditi forse da cesure, forse da passi laterali: perché ci sono stati momenti in cui Zarotti faceva cose da far pensare a Sutherland, ma anche nello stesso momento, dipinti in cui rieccheggia una modernità più tradizionale. Tutto questo senza essere eclettico: anzi, eclettismo aborrito nel nome di una strada chiara, magari di quelle a due corsie, per essere insieme il presente e il futuro. Questa strada potrete ripercorrere al Centro Altinate, in una successione cronologica che diventa naturalmente anche logica: parte dagli apprendimenti a vent'anni, arriva alla novità dei quasi settant'anni, la scultura. Ad ogni passo, Luciano Zarotti non smette d'essere intrigante, ti aspetti che ti sorprenda e infatti ti sorprende: come quando adopera il "fregasso", una pennellata che si capisce cos'è, o quando mette dentro un afflato barocco che riesce a far meno degli arzigogoli per divenire sostanza estetica. Come nella «Battaglia barocca», quattro metri e mezzo per tre e mezzo, dipinto frutto di scelte profonde espresse con l'urgenza dell'invenzione. «L'ho fatto in un pomeriggio», confessa Zarotti, che è, come dicono a Venezia, «pittore da un quarto d'ora». Insomma, l'ispirazione o gli viene subito o non gli viene; e, se c'è, il dipinto nasce subito perché in testa è già bell'e finito. Energia che esce: e infatti Zarotti è affascinato dall'energia, e anche da coloro che in qualche modo la cercano e la propongono. Come Juan Nunez Del Prado, un esperto di spiritualità andina; o come Osho, il guru dell'omeopatia filosofica e meditativa («Ma quello è finito male»). Strani territori, ma percorsi da energia e spiritualità: che, al di là dei vari guru, è l'unica cosa che a Zarotti interessa veramente. «Senza spiritualità come si fa a vivere, come si fa a dipingere?». Ecco la curiosità per chi si occupa di spirito, ecco qualche esperienza originale: come quando «ho sognato Osho, prima di sapere chi era, che mi diceva: "la pittura prima di alzarsi, deve sedersi". Ho interpretato che dovevo meditare». Operazione difficile, per un istintivo, un «pittore da un quarto d'ora»: ma dev'esserci riuscito, Zarotti, se le sue meditazioni hanno poi prodotto il salto. Nell'88 ha chiamato un piccolo dipinto «Change», e qualcosa voleva pur dire. Poi, tutti i dipinti successivi sono stati «eventi», ed è cambiata la resa della percezione del mondo. Rimane il fondo umanistico: «sono un ricercatore di tutto quello che non conosco». Sulla tela entra una luce dall'alto, entra l'oro che arriva dai bizantini, si scompigliano gli spazi di figure e colore: è una sintassi nuova. Distilla i passaggi Stefano Annibaletto, il curatore della mostra, anche lui sorpreso di vedere come gli avanzamenti non cancellano totalmente il "fondo" sicuro della pittura di Zarotti. Che dice: «Sono stato per 25 anni accanto a Luigi Tito», e non serve dire altro. Tito gli fece un ritratto con la dedica «al mio allievo maestro». E quindi in Zarotti la tradizione funziona sempre, e prima ancora di buttare l'energia e la spiritualità sulla tela: per esempio, facendo i colori. Come nel '500, come nell '800, Luciano si fabbrica i colori: con il tuorlo d'uovo, le colle, le sostanze più strane, i medium che le fanno stare assieme. Anche qui ricerca, così arriva a dipingere con i metalli, l'oro, l'argento, dei neri scaturiti dal crogiuolo dell'alchimista. Cose che non si fanno più. Dice: «I miei ragazzi dell'Accademia non hanno in testa queste cose. Se chiudessero i negozi di colori, oggi sparirebbero i pittori». Ma il curioso è che questi gesti antichi, e le antiche tecniche, approdano poi ad un'arte tutt'affatto attuale, dove occhieggia, senza strafare, anche il concettuale. Per poi ripartire da capo con le ultime sculture, deliziosi bozzetti pieni di movimento, fatti veloci solo con le falangi a modellare la creta di Nove. «Mi diverto moltissimo», sorride Zarotti, e si capisce che lì torna a respirare il suo amato barocco. Infine, nella mostra, alcuni esempi della sua capacità incisoria: alcune acquetinte di grande impatto, testimoni, con i loro sette-otto passaggi nell'acido, di maestrìa tecnica. Così al Centro Altinate si va a conoscere questo veneziano fuggito in terraferma perché «non ce la facevo più. La Venezia di una volta è scomparsa, la sua energia l'hanno succhiata tutti i turisti». Peccato, perché anche su Venezia la linea della tradizione era forte forte: Luciano Zarotti (che vorrà dire: quelli da Zara) è di famiglia nobile: un suo avo, conte di Capodistria, era a Lepanto nel 1571 con le sue due galere, e prese alle spalle un gruppo di navi turche, e fu manovra decisiva. Luciano è anche cavaliere dell'Ordine di Malta. Lui, immerso nella spiritualità, ha quest'unico cruccio: prima di morire deve passare una notte di veglia sul sepolcro di Gesù Cristo.
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In edicola n. 35 del 16/08/2015 Domenica 30 Agosto 2015
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A Mel "Simulacrum"
29/05/2014 di Redazione online
La Diocesi di Vittorio Veneto, con il patrocinio della Provincia di Belluno, dei Comuni di Mel, Lentiai e Trichiana e con la collaborazione del Circolo Promozione Cultura di Mel, è lieta di presentare la Mostra d’Arte sacra dal titolo Simulacrum = l’arte del Sacro. Luciano Zarotti, per una Via Crucis 2014, che si terrà presso il prestigioso Palazzo delle Contesse a Mel (BL).
L’idea nasce dalla donazione da parte dell’artista veneziano Luciano Zarotti alla Parrocchia di Lentiai di una Via Crucis per la Chiesetta dei Santi Gervasio e Protasio. Si tratta di quattordici formelle da lui appositamente realizzate in ceramica tedesca e che dal suo atelier confluiranno in mostra fino al 19 giugno. In quel giorno, con cerimonia solenne, saranno definitivamente trasferite dall’esposizione e collocate nella piccola e suggestiva chiesetta della Valbelluna, incastonata tra gli ariosi prati che sovrastano il centro di Lentiai.
L’esposizione di Mel muove dal tema della Passione e Resurrezione di Cristo affrontato nei quattordici coinvolgenti rilievi in ceramica destinati alla chiesa di Lentiai e alle tempere preparatorie. Si articola, inoltre, con la presentazione di oltre settanta tra studi, bozzetti, dipinti anche di grandi dimensioni che dal 1970 ad oggi il maestro Zarotti ha realizzato conducendo una profonda riflessione intorno al tema del corpo di Cristo.
Il risultato è un significativo e qualificato e spaccato della lunga attività di questo straordinario artista e del suo importante e vitale contributo all’arte sacra contemporanea.
Zarotti è autorevole pittore veneziano che si forma tra Parigi e Venezia. Partecipa negli anni sessanta alla Scuola libera del nudo dell’Accademia di Belle arti di Venezia sotto la guida di Luigi Tito, di cui diviene in seguito l’assistente, subentrandogli poi come titolare alle cattedre di tecniche pittoriche e affresco.
Del suo percorso dentro l’arte sacra Zarotti afferma oggi “Ho sempre dipinto con lo spirito del credente, convinto che un’opera d’arte sia veicolo di contemplazione e preghiera”, come dimostrano ancora una volta i suoi ultimi esiti e le nuove sperimentazioni linguistiche.
Lentiai e la sua chiesa dei Santi Gervasio e Protasio raccolgono il frutto di questa lunga e complessa ricerca di Zarotti e possono così rinnovare il significato della pratica devozionale della Via Crucis.
L’opera di Zarotti, con la sua forza e incisività, entra a pieno titolo per un’occasione in più nella storia dell’arte sacra contemporanea, questa volta a vantaggio della Diocesi di Vittorio Veneto.
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Aprirà sabato 9 maggio 2015 alle ore 18 a Bassano del Grappa la mostra «Continuum. Continuità nella pittura veneta» allestita a Palazzo Agostinelli con opere di Emanuele Convento e Luciano Zarotti.
I due artisti, veneziani di quella sontuosa estensione di Venezia in terraferma che è la Riviera del Brenta, hanno inevitabilmente assorbito nella propria educazione visiva e nella formazione culturale ed artistica il contatto pressoché quotidiano con i grandi maestri della pittura operanti nei secoli d’oro della Serenissima Repubblica.
Luciano Zarotti, formatosi tra Parigi e Venezia, frequenta negli anni Sessanta la Scuola libera del nudo dell’Accademia di Belle Arti di Venezia sotto la guida di Luigi Tito, di cui diviene in seguito assistente, subentrandogli poi come titolare alle cattedre di tecniche pittoriche e affresco.
Emauele Convento, dopo il diploma al Liceo artistico “A. Modigliani” di Padova ed una laurea in Filosofia e Scienze umane all’Università di Padova, si avvicina allo studio delle tecniche calcografiche, ma pratica anche altre forme espressive fino alla performance multimediale.
Il percorso nelle sale di Palazzo Agostinelli propone un itinerario simultaneo che rievoca un’ampia esperienza di procedimenti tecnici (pittura ad olio, guazzo, acquarello, tempera, ma anche incisione a ceramolle e puntasecca) e rivela una profonda familiarità con l’arte del passato. Ovunque si coglie l'uso del pennello a tocchi e “sfregazzi ”, vale a dire quella tecnica, praticata da Tintoretto e poi fatta propria anche dal giovane Tiepolo, di stendere con un pennello a setole rigide e corte un colore povero di legante sulla pittura già asciutta, così da lasciar trasparire il tono sottostante.
Figure, temi ed eventi attinti dall’antico sono però rielaborati con modi dal contemporaneo, in un procedimento che va dal figurativo all’astratto, dando una forma visibile ad un patrimonio di sentimenti, emozioni e memorie che in entrambi gli artisti costituiscono gli elementi congeniti del linguaggio visivo.
Come ricorda Giovanni Bianchi, curatore della mostra, le opere di Convento e Zarotti «sono la conseguenza di una profonda conoscenza della tecnica e del mestiere della pittura: ogni tela è preparata meticolosamente nello studio, ogni colore è creato mescolando le terre con l’olio di lino, come legante è utilizzata la colla di coniglio, il fondo è gessoso. È una pittura che richiede una preparazione attenta e tempi lunghi di realizzazione, imponendo pause obbligate e momenti di riflessione. È in questi momenti che la conoscenza degli artisti si amplia e si approfondisce, tanto che ogni quadro risulta come un nuovo sapere acquisito».
La mostra, è corredata da catalogo a cura di Giovanni Bianchi e patrocinata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Bassano del Grappa.
articolo a cura di Luigi Zampieri
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Ultimo aggiornamento (Mercoledì 10 Giugno 2020 12:13)