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SAMBRUSON IN EPOCA PREROMANA E ROMANA - GLI SCAVI ARCHEOLOGICI

STORIA DEI RINVENIMENTI

Dal volume "AD DUODECIMUN MANSIO MAIO MEDUACO"

di MONICA ZAMPIERI (Associazione Culturale Sambruson La Nostra Storia)

La storia dei reperti comincia alla fine del 1949 quando fu affidato al Prof. Vanuzzo dalla Soprintendenza alle Antichità l'incarico di restaurare un monumento (foto alla tav. I, 2), posto nella località "Al Ponte" di Sambruson5 (pianta alla tav. XVII). Durante l'esecuzione di tali lavori, si dovette utilizzare dell'argilla che il Vanuzzo andò a reperire nella vicina campagna di proprietà del Sig. Gioacchino Velluti; qui l'azienda "Valdadige" l'aveva estratta, anni prima, per la sua fornace di mattoni, portando in superficie alcuni cocci. Percorrendo l'area, Vanuzzo vide che il terreno "era disseminato di frammenti di mattoni, di embrici e cocci di vasellame fittile" e si rese conto che si trattava di materiale archeologico. Attratto dalla vista di quei reperti di superficie, li esaminò e ne comprese il valore storico. Decise, pertanto, di organizzare, a sue spese e con l'autorizzazione del Comune di Dolo, uno scavo laddove i frammenti risultavano più numerosi, scavo che cominciò nel gennaio del 1950 nella proprietà del sig. G. Velluti, in quella che è stata definita, per maggiore chiarezza, zona A (tavv. XVI-XVII). Già dall'inizio rinvenne oggetti interessanti: "una mezza urna con ancora le ceneri al suo interno accompagnata da qualche frammento di vaso e resti di carboni", il tutto, a suo parere, riconducibile alla pratica della incinerazione, e pure una catasta di mattoni e grandi tegole sotto la quale fu rinvenuto uno scheletro umano6 (che sembra presente alla tav. IV, 8). Tali reperti fecero credere a Vanuzzo di aver scoperto una necropoli risalente al periodo romano o preromano.

Dopo pochi giorni dall'inizio dello scavo di zona A, Vanuzzo venne a conoscenza del fatto che in un'altra , ad una profondità all'incirca di 4 metri, delle sezioni di grossi tronchi d'albero area a 1 km di distanza dallo scavo, a metà circa di via Carrezzioi7, che da Sambruson conduce a Mira, trasversale della via Stradona8, in una zona in cui la Valdadige stava estraendo l'argilla, si rinvenivanodisposti orizzontalmente (taw. V-VII, 9-16). Inizialmente non diede molta importanza al fatto ritenendo che fossero fossili naturali. Successivamente, però, si convinse per una serie di elementi quali la profondità, la dimensione dei tronchi, la loro collocazione su uno stesso livello, la loro disposizione parallela ad una distanza variabile dai 4 ai 6 metri e per le fenditure presenti sul legname chiaramente opera dell'uomo, fatte con utensili primitivi, che doveva trattarsi della piattaforma di un insediamento palafitticolo o terramaricolo, costruito dall'uomo nella Preistoria o nella Protostoria. Anche in questa zona, che si è deciso di chiamare area B (taw. XVII-XVIII), lo scavo non fu uno scavo stratigrafico. Si sfruttava infatti l'attività di estrazione dell'argilla da parte della ditta "Valdadige", per cui lo scavo procedeva a fossati successivi. Ogni fossato scavato, della lunghezza di 8 metri e della profondità di 4 circa, dopo l'estrazione della terra da parte della ditta, si allagava e veniva poi riempito di terra; si procedeva poi a scavarne uno nuovo e così via. La visione dei tronchi era limitata ad un breve periodo di tempo, pertanto solamente Vanuzzo e pochi altri potevano comprendere la struttura e la disposizione esatta dei tronchi perché sempre presenti mentre venivano aperti nuovi fossati. Per capire meglio la disposizione di questi tronchi, il Vanuzzo scattò delle foto che sono tuttora conservate presso il Museo di Sambruson (taw. V-VII, 9-16) ed eseguì un rilievo quotato di tutti i fossati, che però non ci è giunto e di cui abbiamo notizia solo dal suo Resoconto degli scavi9.

Spinto dall'entusiasmo per la scoperta di una presunta struttura palafitticola o terramaricola, Vanuzzo la comunicò subito ad un amico, il giornalista Walter Martire di Dolo, pregandolo di non rivelare nulla a nessuno fino a quando non avesse verificato meglio la sua ipotesi. La notizia fu, però, subito pubblicata sul Gazzettino10 suscitando grande interesse, e fu diffusa rapidamente nei giorni seguenti tramite la radio e riportata su molti giornali sia italiani che stranieri, tra i quali addirittura il New York Herald Tribune, edizione di Parigi11. Dopo poco tempo furono resi noti anche i ritrovamenti del primo scavo, la supposta necropoli romana.

A Sambruson si riversarono immediatamente giornalisti, cineasti, professori di diverse Università, studiosi, studenti e naturalmente una nutrita schiera di curiosi. Così altri articoli uscirono sui giornali12.

Per Sambruson fu un momento di celebrità e di grande afflusso di persone che volevano visitare il luogo. In realtà, come ben sottolinea Vanuzzo nel suo Resoconto degli scavi, poco si poteva allora vedere in quanto nella zona di rinvenimento della palizzata, di presunta epoca preistorica, lo scavo procedeva a fossati successivi e man mano che se ne scavava uno, ne veniva coperto un altro (tav. V-VII, 9-16).

Da quei lavori di scavo era stato raccolto ben poco: pezzi di tronchi d'albero in cui si potevano vedere le impronte dei tagli di quel tempo lontano, alcune ossa ed un manico di olla in terracotta rozzamente lavorato.

Per quanto riguarda la zona della necropoli romana si vedevano soltanto "mucchi di terra disseminati di pezzi di mattoni e di embrici'13, poiché Vanuzzo aveva "avvolto in cartocci" molti reperti frammentari rinvenuti e li aveva portati a casa per studiarli con più calma.

Molti furono, comunque, gli studiosi che incoraggiarono Vanuzzo a continuare nella sua impresa ritenendo giuste le sue deduzioni. Altri, invece, come la prof.ssa Giulia Dei Fogolari14, Soprintendente della Soprintendenza alle Antichità, mostrarono qualche riserva per le considerazioni di carattere preistorico.

Gli scavi furono portati avanti nelle due aree contemporaneamente e, dato il forte clamore, si rese necessario per il Vanuzzo produrre al più presto una documentazione che dimostrasse la veridicità di tutte le sue asserzioni15.

Ammirevole fu, come sottolinea egli stesso, il grande aiuto offertogli sia dai compaesani, sia dagli operai della stessa Valdadige, che lo informavano quando vedevano affiorare travi o oggetti vari, sia dal sig. Gioacchino Velluti, proprietario dei terreni in cui si trovavano la maggior parte dei reperti, e anche dall'Amministrazione Comunale di Dolo che mise a sua disposizione degli operai per alcune giornate.

Gli scavi, nonostante le difficoltà legate alla carenza di finanziamenti, proseguirono dando al Vanuzzo grande soddisfazione, soprattutto per i rinvenimenti di epoca romana. Ogni giorno infatti, in base a quanto egli stesso racconta16, si concludeva con qualche scoperta che, a suo dire, confermava sempre più le sue ipotesi. Si lavorava continuamente, di giorno si scavava e di notte si procedeva a ricomporre e ordinare gli oggetti rinvenuti.

Poiché molte persone continuavano a giungere a Sambruson attirate dalla fama di questi ritrovamenti, si rese necessaria la ricerca di un locale dove esporre ordinatamente i reperti. Tale locale, messo a disposizione dal sig. Velluti, si trovava nelle vicinanze dello scavo da cui erano emersi reperti di epoca uomana. Utilizzato in un primo momento come deposito del materiale archeologico e come laboratorio per lo studio e la ricomposizione dei reperti, fu adibito in seguito a Museo dove veniva raccolta la maggior parte dei ritrovamenti, ricomposti anche in modo fantasioso (taw. VIII-XI). In seguito all'apertura del museo, uscirono sui giornali nuovi articoli accompagnati da fotografie17.

Gli scavi, iniziati a gennaio del 1950, proseguirono per un paio di mesi e furono sospesi per esigenze agricole ai primi di marzo dello stesso anno18.

Nonostante la chiusura degli scavi, Vanuzzo continuò le sue ricerche esplorando un tratto di 20 km di litorale lagunare per 10 km a Sud e per 10 km a Nord-Est di Sambruson e, in una sorta di survey ante litteram, visitò Lova, Lugo, Cà Molin e Dogaletto19.

A seguito del grande scalpore suscitato dai ritrovamenti di Vanuzzo, numerosi studiosi si mostrarono assai interessati alle sue scoperte, in modo particolare il prof. Giuseppe Urbani de Gheltof che da tempo desiderava allestire a Mestre un Museo e che, nelle sue lettere al Vanuzzo, scrive di voler chiamare Museo di Mestre e terre circonvicine2®.

Con il pretesto di procedere subito all'allestimento del Museo presso Torre Belfredo21, egli riuscì a convincere Vanuzzo ad affidargli gli oggetti ritrovati per dare loro migliore collocazione, naturalmente con l'autorizzazione della Soprintendenza archeologica. Vanuzzo, convinto che si trattasse della scelta migliore perché questi reperti potessero essere visti da un pubblico più vasto, accettò la proposta e consegnò gran parte degli stessi22. Tale museo, però, non venne mai istituito.

Nonostante le richieste di restituzione del materiale da parte di Vanuzzo23, continuate per oltre vent'anni, sia rivolte al prof. Urbani de Gheltof che agli enti pubblici locali e statali, e nonostante i frequenti interventi di avvocati e Sovrintendenti, come dimostra una considerevole corrispondenza personale del Vanuzzo24, i reperti non fecero più ritorno a Sambruson. Anzi, subirono continui spostamenti da una sede all'altra25 e furono persi lungo il percorso numerosi oggetti, alcuni tra i più preziosi26. La cronologia di tali spostamenti è ricostruibile almeno per la gran parte; non vi sono purtroppo indicazioni sufficienti per valutare la quantità di reperti persi e tanto meno ricavare le date e i luoghi di tali perdite. Infatti, è presente un unico elenco datato, redatto nel 1964, in cui paiono esserci ancora tutti, o quasi, i reperti rinvenuti dal Vanuzzo27

Dopo la morte di Vanuzzo, avvenuta nel 1986, gli scavi e i reperti di Sambruson furono dimenticati, fino a quando nel 1998 venne recuperato il Resoconto degli scavi dello stesso Vanuzzo.

I soci dell'Associazione Culturale Trovemose, con sede a Sambruson, alcuni dei quali avevano partecipato nel lontano 1950 agli scavi, nel 1999 pensarono di recuperare i reperti per costituire finalmente il Museo di Sambruson, tanto desiderato da Vanuzzo. I ritrovamenti avrebbero così finalmente trovato una giusta collocazione dal punto di vista storico e avrebbero offerto al paese una maggiore consapevolezza del proprio antico passato.

Così l’allora presidente dell'associazione Andrea Zilio28 e il Comune di Dolo, nella persona dell'assessore alla cultura, Emilio Zen, con grande entusiasmo si attivarono per riportare a Sambruson i reperti, con la collaborazione della studiosa di archeologia dott.ssa Lucia Majer, della sottoscritta e successivamente della dott.ssa Laura Simbula29

Il costituito Antiquarium si trova ora presso la Scuola Media Statale "Gandhi" di Sambruson e si apre al pubblico e alle scuole su richiesta o nelle festività del calendario.

Nell'aula adiacente all’Antiquarium vengono realizzati dei laboratori da personale specializzato in archeologia, con l'assistenza dei soci dell'Associazione Trovemose. I laboratori sono rivolti alle scuole di primo e di secondo grado del territorio e riguardano i diversi periodi della storia antica (Paleolitico, Neolitico, Greci, Etruschi, Veneti antichi e Romani). In questo modo i ragazzi possono venire a contatto diretto con la storia del loro territorio, vedendo e "toccando con mano" i materiali prodotti dai loro antenati. La piccola realtà di Sambruson viene ad avere un ruolo importante nello studio della storia, spesso molto astratto.

Sambruson è stato inserito all'interno dell'importante Progetto di valorizzazione dell'antico tracciato della Via Annia e dei territori da esso attraversati; tale Progetto, promosso dalla Regione Veneto e dal Comune di Padova, prevede, a Sambruson, un nuovo allestimento dell’Antiquarium, grazie al contributo finanziario della società  Arcus s.p.a.30

La dott.ssa S. Bonomi della Soprintendenza ai beni archeologici e i suoi collaboratori, avvalendosi anche della Tesi di laurea della sottoscritta sullo studio dei reperti, sono riusciti, infatti, a far rientrare anche il nostro Antiquarium all'interno di questo importante Progetto, che comprende siti di spessore ben maggiore rispetto a Sambruson, quali Padova, Adria, Altino, Aquileia.

In occasione della serata tenutasi il 30 settembre 2008, dedicata all'epoca romana nel nostro paese, la dott.ssa E. Bressani, Dirigente Cultura Regione Veneto, ha illustrato tale Progetto destando grande interesse nella popolazione ambrosiana31. La dott.ssa Veronese, coordinatrice del Progetto, la dott.ssa Bonomi, il Comune di Dolo, con la collaborazione di chi scrive, nei prossimi mesi, lavoreranno per dare una sistemazione più idonea ai reperti del nostro paese e per creare un percorso museale che permetta ai visitatori una fruizione migliore. Alcuni pezzi, in particolare gli affreschi e un'anfora, saranno restaurati in modo da dare un'immagine più possibile vicina a quella reale.


NOTE: 

5 Vanuzzo, Resoconto degli scavi, 1950: "Sul punto della Via Annia, dove ha inizio il tratto chiamato "La Stradona" e precisamente nella località detta "Al Ponte", così denominata perché ivi sorgeva, sino alla metà del secolo scorso, un ponte che univa le due sponde del fiume Brenta, ora deviatori cui rimane ancora l'argine sinistro, attuale strada provinciale Venezia-Chioggia, proprio in quell'incrocio di vie che fanno capo sopra quest'argine, nell'anno 1927, venne piantata, a ricordo delle S.S.Missioni tenute dai P.P. Passionisti, una grande croce di legno dell'altezza di m. 6, posta sopra un blocco di calcestruzzo: monumento che aveva del primitivo, unito però abbastanza all'antiestetico. L'anno scorso, dato il suo stato rovinoso, si pensò di ripararlo. Venne affidato a me l'incarico, per cui io prospettai la soluzione di abbatterlo e di ricostruire nel medesimo posto un vero monumento e perciò progettai una colonna in marmo con sopra di essa ripetuta in miniatura la medesima croce esistente".

6 Vanuzzo, Resoconto degli scavi, 1950.

7 Via Carrezioi era chiamata un tempo via Carrezzioli; viene così indicata dal Vanuzzo nel suo Resoconto degli scavi e nella sua pianta di Sambruson.

8 Vanuzzo, Resoconto degli scavi, 1950: "Nelle carte topografiche dell'Istituto Geografico Militare Italiano scorgiamo stampato in piccolo corsivo il nome di Sambruson. Con la medesima forma e grafia possiamo leggere vicino ad esso un nome di strada, "La Stradona". Nelle carte militari, invece, tanto dell'esercito tedesco, quanto di quello inglese, il nome della strada "La Stradona" è impresso a caratteri maggiori di quello dello stesso Sambruson, dimodoché per loro, giustamente, ha più importanza la via che il paese stesso, tanto è vero che nell'ultima guerra, sia le truppe tedesche che quelle inglesi, chiamavano il paese col solo nome "La Stradona", che vuoi dire poi, una grande strada".

9 Vanuzzo, Resoconto degli scavi, 1950: "Lo scavo procedeva a fossati successivi, cioè, con la stessa terra che veniva aperto un fosso, un altro ne veniva tombato. Il legname si poteva vedere per pochissimo tempo, perché poi la zona in cui si trovava, appena estratta l'argilla, veniva allagata. Io solo e pochi altri comprendevamo la struttura e la disposizione di questo manufatto, perché ogni qualvolta si apriva un nuovo fossato, seguivo i suoi elementi, per la qual cosa avevo subito provveduto ad eseguirne un rilievo quotato".

10   w. martire, Un villaggio preistorico tornato alla luce a Dolo, II Gazzettino, domenica 8 gennaio 1950.

11   Citato nel Resoconto degli scavi di Vanuzzo.

12 w. martire, / resti del villaggio palafitticolo a San Bruson. Vestigia di un mondo perduto riaffiorano dalla cava di argilla, II Gazzettino giovedì 12 gennaio 1950. w. martire, Importanti scoperte archeologiche. Un villaggio dell'era neolitica riportato alla luce dagli scavi di Dolo, II Gazzettino, martedì 14 febbraio 1950.

14   Lettera della dott.ssa G. Fogolari, San Bruson (Dolo). Ritrovamento supposta palafitta, gennaio 1950.

15    Per l'appunto il già citato Resoconto degli scavi di Vanuzzo.

16 Dal Resoconto degli scavi del Vanuzzo: "...Nello scavo abbiamo poi trovato: mascelle con denti di capra e di pecora, una colonnina in pietra tenera con la base in terracotta. Ad ornamento esterno di queste arche trovai tre protome, cioè tre graziose testine di medusa eseguite in bassorilievo su terracotta, come pure delle antefisse o palmette. Entro le arche dove non c'era il cadavere vi erano le urne con ceneri, ossa calcinate e carboni. Ne possiedo un gran numero sia in terracotta che cruda, naturalmente nessuna veramente intatta. Un grosso frammento di una di esse contiene ancora molta cenere del morto mista ad argilla, ve n'è poi una molto grande. Numerose sono quelle modellate con una specie di terra refrattaria durissima. Alcune di esse hanno inciso dei gentili disegni geometrici oppure sono abbellite da piccole fasce con rilievi ornamentali eseguiti con le sole dita della mano. Dentro alle tombe trovai una quantità di oggetti funerari: vasi, anforette, bottigliette unguentarium in vetro ed in terracotta, queste anche intatte, una fibula in oro, una in bronzo del tipo latin (denominazione che le venne data da una località svizzera dove fu scoperta la prima), frammenti di monili in vetro a colori, parte fusi e parte dipinti sopra, tre lucerne in terracotta, dove su una sono eseguiti in rilievo due bei amorini, e pietre focaie una quantità, perfino un grazioso oggetto di marmo che serviva a sostenerle, un piatto intatto di fabbrica aretina, frammenti di vetro, sia sagomati a mano che con gli stampi ed infine una quantità di chiodi. Anche alle zanne di cinghiale doveva essere attribuito qualche significato perché ne abbiamo trovato parecchie. In qualità di amuleti od oggetti ornamentali dovevano servire due graziosi oggettini in bronzo: un picconino ed una specie di chiodo. Abbiamo poi una grande anfora, rinata da una trentina di cocci. Una cosa interessante è il papiro scritto, trovato nella cassa vicino al morto, tutto in frammenti. Poi due fornetti: sono simili a vasi con la forma a tronco di cono, alti dai 30 ai 40 cm e del diametro dai 10 ai 15 cm, con il fondo un po' allargato a semisfera. Hanno lo spessore di un cm, sono composti di materiale refrattario, tutto bucherellato. Inoltre vi sono: un pugnaletto, un cucchiaio, una pietra da macina, tre pietre da arrotare e frammenti di diverse qualità di tubazioni in cotto di sezione rettangolare. Si è scoperta pure una fondazione circolare in mattoni dello spessore di cm. 80 con un foro da un metro di diametro. Le monete, quelle decifrabili, sono degli imperatori Claudio e Vespasiano. I timbri di fabbrica posti sui diversi embrici...Si sono trovati anche molti pesi in cotto...".

17 Dolo. Alunni dell'Avviamento in visita a S. Bruson, II Gazzettino, sabato 3 giugno 1950. Cronaca di Dolo. Visita di studenti al museo archeologico, II gazzettino, martedì 6 giugno 1950

18   Cfr. il Resoconto degli scavi del Vanuzzo.

19 Nel Resoconto degli scavi Vanuzzo scrisse che si recò a Lova (antica Loppa, ai margini della laguna distante 5 km da Sambruson) dove visitò un grosso villaggio della stessa epoca di Sambruson e una necropoli con tombe disposte ad ellisse. Di questa forma doveva essere anche la necropoli da lui ipotizzata a Sambruson. Vanuzzo indagò anche nella zona di Lugo dove scoprì una piccola necropoli e dove a suo dire poteva esistere anche un villaggio; si recò poi a Ca Molin che, sito a 500 metri da Porto Menai, lungo la via Altinate a 3 km Nord-Est, possedeva un villaggio e una piccola necropoli e a Dogaletto, dove visitò una necropoli e un villaggio a 10 km Nord-Est.

20   Lettere di Urbani de Gheltof a Vanuzzo, datate 11 ottobre 1954, 10 settembre 1955 e 12 ottobre 1955.

21 Lettera di Urbani de Gheltof a Vanuzzo datata 11 ottobre 1954 in cui manifesta il suo desiderio di avere i reperti recuperati da Vanuzzo per esperii nel suo Museo di Mestre e terre circonvicine, Museo ancora in formazione. Lettera del dott. L. Merino al Vanuzzo datata 19 settembre 1955 in cui si legge: "...L'Amministrazione intende valorizzare tale materiale raccogliendolo in un apposito museo in un'area di recente acquistata in Torre Belfredo a Mestre ove sorgono anche delle storiche mura medievali.

22 Da un documento scritto a macchina dal Vanuzzo, oggi in possesso della Sovrintendenza archeologica del Veneto, si apprende che una minima parte dei reperti rinvenuti non fu consegnata al de Gheltof. In particolare il Vanuzzo riferisce che "erano rimasti in suo possesso": di questi reperti non si è saputo più nulla.

23 Lettera di Vanuzzo al de Gheltof datata al 9 dicembre 1955. Lettere di Vanuzzo al sindaco di Venezia datate 24 dicembre 1956 e 15 aprile 1958. Lettera di Vanuzzo al dott. Saccardo datata 27 novembre 1962. Lettera di Vanuzzo al Centro Studi Storici di Mestre datata 10 febbraio 1963. Lettere sempre di Vanuzzo inviate al prof. G. Stomeo datata 14 novembre 1972, al prof Zecchi G. e all'On. G. Golinelli datata 26 novembre 1975 e all'assessore alle Belle Arti datata 5 febbraio 1976.      

25    Dopo la restituzione dell'ambiente prestato dal Velluti al Vanuzzo, il materiale è stato portato nello scantinato della scuola  E. Tito, a Dolo, in una data non precisata. Tale materiale, di cui, però, non conosciamo l'entità, è stato poi trasportato a Mestre  perché donato da Vanuzzo al Comune di Venezia: in parte è stato posto nello scantinato di Villa Querini e in parte negli scantinati di via Vivaldi, come si evince da una lettera del prof. Urbani de Gheltof datata 10 settembre 1956. Nel 1976 i reperti si trovano parte depositati nei magazzini di via Gaspare Gozzi e parte in un deposito in via Vivaldi 15; in quest' ultimo luogo in  particolare si trovano ".. .poche cose del Vanuzzo". Si viene a conoscenza di tali informazioni da un resoconto del 12 agosto 1976 che fa riferimento ad un elenco sommario del materiale datato 1964. Il materiale è stato poi spostato da Villa Querini di Mestre, poiché il magazzino era stato trasformato in Ufficio dei Vigili urbani, come si ricava da una lettera scritta dallo stesso Vanuzzo nel novembre del 1972. I reperti sono custoditi presso l'ex Scuola Ticozzi, sezione staccata della Scuola Media S. Trentin di Mestre, il 7 aprile del 1976, come risulta da una lettera del dott. N. Laroni della Sovrintendenza indirizzata a Vanuzzo. Da allora non si hanno più notizie scritte sull'ubicazione di tale materiale. Nel 1999 la Soprintendenza del Veneto comunica al Comune di Dolo che i reperti di Vanuzzo si trovano custoditi nei magazzini di via Pertini a Mestre.

 26   Non si hanno piùdue monete è conservata presso la Soprintendenza a Padova notizie, ad esempio, delle monete dell'epoca di Claudio e Vespasiano, o delle fibule d'oro e di bronzo che il Vanuzzo scrive di aver rinvenuto durante lo scavo di area A. 

27 II confronto puntuale tra tale elenco e i reperti rinvenuti da Vanuzzo non è possibile, dato che il professore non ci ha lasciato alcun inventario, ma, come detto in precedenza, solo un'elencazione disordinata e non complessiva dei materiali nel suo Resoconto degli scavi.

28 II sig. Ugo Dittadi aveva ricevuto dai nipoti Vanuzzo-Danieli, che ringraziamo, copia del materiale prodotto dal prof. Lino Vanuzzo e lo aveva consegnato all'Associazione Trovemose.

29 Con le Dott.sse L. Majer e L. Simbula si è proceduto alla compilazione di un primo inventario, ossia è stata realizzata una elencazione dei materiali presenti nell'Antiquarìum. La catalogazione e l'analisi degli impasti e dei reperti dell'Antiquarium sono, invece, state eseguite da chi scrive in occasione della realizzazione della sua tesi di laurea. zampieri 2006a, / materiali ceramici di epoca romana del Museo di Sambruson di Dolo (VE): catalogazione e analisi d'insieme, I; zampieri 2006b, / materiali ceramici di epoca romana del Museo di Sambruson di Dolo (VE): catalogazione e analisi d'insieme. Il Catalogo, II.

30 Arcus s.p.a ., Società per lo sviluppo dell'arte, della cultura, dello spettacolo a capitale interamente sottoscritto dal Ministero dell'economia; opera su programmi messi a punto dal Ministero per i Beni e la Attività culturali e dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

 31    Intervento dal titolo: Via Annia. Un progetto di valorizzazione del tracciato dell'antica strada romana.

 

Ultimo aggiornamento (Martedì 09 Ottobre 2012 14:11)