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Sambruson e Padova

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DAL MEDIO EVO ALL'OTTOCENTO - EVANGELIZZAZIONE

SAMBRUSON E PADOVA

Immerso nella grande storia, Sambruson seguì le sorti del regno d'Italia, che nel 774 fu occupato dai franchi e, nell'800, divenne parte del Sacro romano impero creato da Carlo Magno. Nel decennio a cavallo fra i secoli IX e X le sue terre subirono gravi danni a causa di incursioni di ungari, che con successive scorrerie devastarono gran parte della pianura Padana. Nell'899 essi attaccarono e distrussero anche il monastero benedettino di Sant'Ilario, di cui nell'819 si era decisa la fondazione fra Dogaletto e Malcontenta su terre del ducato di Venezia appartenenti ai dogi Agnello e Giustiniano Particiaco. Nei decenni seguenti il monastero fu ricostruito. Secondo alcuni studiosi, in adiacenza alla precedente chiesa (che era dedicata al solo Sant'Ilario) sarebbe stata allora eretta un'altra chiesa intitolata a San Benedetto, motivo per cui in seguito il cenobio venne chiamato 'monastero dei Santi Ilario e Benedetto'21.

Il 5 maggio 897 il re d'Italia Berengario I aveva, intanto, concesso al vescovo di Padova Pietro, che era suo arcicancelliere, l'investitura a conte della Saccisica, con potestà civile e penale e la concessione di tutti i diritti regi su essa; ciò comportò il ritorno della Saccisica all'obbedienza religiosa del vescovo di Padova. Poiché dal basso medioevo a tutta l'età moderna Sambruson è stato costantemente unito alla podesteria di Piove di Sacco, si è dato per scontato che quell'atto regio abbia interessato direttamente anche il nostro paese, staccandolo da Treviso e facendo tornare pure esso all'obbedienza civile e religiosa di Padova. Ciò non corrisponde, però, a quanto si ricava dai documenti, in particolare da un atto del 30 dicembre 1079 il quale indica che a quella data la Saccisica era ancora delimitata a nord — nord-est dal fiume Cornio e dalla via di Corte: precisazione da cui si deduce che, essendo Sambruson a settentrione di quel fiume e di quella via, esso non fu sicuramente incluso nella donazione. Ma se ancora nel 1079 il paese non era nel territorio di Piove di Sacco, quando tornò a Padova e alla dirczione religiosa del vescovo euganeo? Non si sa. È possibile proporre solamente ipotesi, formulate tenendo presente la complessa situazione generale dei secoli centrali del medioevo.

I SECOLI CENTRALI DEL MEDIOEVO

La difesa del confine. Nei secoli XII-XIII giunse a maturazione la coscienza che le comunità avevano una propria linea di confine che era possibile definire e che, una volta individuata, occorreva controllare e difendere, così che un qualche potere impersonato da signori feudali o da uno dei nascenti comuni potesse esercitarvi senza interferenze di estranei azioni e politiche funzionali alla vita dell'intera comunità: prelievo fiscale, approvvigionamento annonario, esecuzione dei lavori pubblici, organizzazione militare, ecc. Ciò portò feudi, comuni e città a segnare quei confini, diventati ora vere e proprie frontiere, con dei 'termini', cioè con pali, mucchi di sassi, pilastri, croci su massi e alberi, ecc.; e lungo le frontiere o nelle immediate retrovie eressero 'mire' (cioè osservatori da cui poter controllare e prevenire i movimenti armati dei vicini e dei nemici) e torri e castelli di difesa, che si affiancarono o talvolta utilizzarono le precedenti strutture alzate dai signori feudali. Le più significative di queste costruzioni nei dintorni di Sambruson sono: a nord il centro fortificato di Mirano (munito di opere di difesa fin dal 1232) e il 'dolo' (fortificazione militare con probabile torrione) che nel 1241 si alzava tra Fiesso d'Artico e Sambruson; ad ovest il castello di Stra (di cui si fa risalire la fondazione al 1084 e di cui si ha attestazione certa dal 1212); a sud il fortilizio di Camponogara (presente già nel 1144 e di cui nel 1248 erano responsabili i Dalesmanini); a sud-est, sul Cornio, all'estremo limite dell'antica lingua di deiezione fluviale del Brenta antico a Giare, la torre di Curano (eretta prima del 1258); a est il castello di Balledello o Baleello (oggi Gambarare-Chiesa, documentato nel 1212 e nel 1220)29. Anche Sambruson aveva una sua "turris de muro" (una torre costruita con mattoni attestata dalla metà del secolo XIV al 1711), ma ben più importante era il castello di origine feudale di Porto Menai, sul quale -pur se sicuramente precedente- si hanno notizie solo dal 1117. Questo "castrum quod hedificatum et ordinatum esse videtur in villa de Porto" sorgeva poco sotto la confluenza della fossa Gambararia nel fiume Ruga (all'incirca nei pressi dell'attuale Piazza Vecchia). Era il punto forte dei beni che i conti di Treviso avevano nella zona e che facevano capo alla "curiam de Porto". Col termine 'curia si indicava allora il centro amministrativo di una signoria o di un feudo: era il "centro di un distretto, il luogo ove si svolgeva la vita politica, amministrativa e giudiziaria; ... il centro molto spesso di una signoria locale"32.

La dipendenza politica e religiosa.

Enormi spazi liberi e pochi abitanti caratterizzarono fino al medioevo centrale anche il paesaggio del territorio fra Padova e Venezia33, gran parte del quale era, come sappiamo, sotto la nominale iurisdizione politica di Treviso. Affiancandosi e sovrapponendosi a signori trevisani in esso si insediarono, tuttavia, rampanti famiglie padovane, che crearono le premesse per il suo passaggio alla potestà di Padova. Il comune patavino vi si potè insinuare con maggior facilità dopo che l'acquisto di molte sue aree da parte di enti monastici e proprietari veneziani rese probabilmente meno reattiva una difesa di contrasto da parte di Treviso. Pur sapendo che in un certo momento il fatto si verificò, resta storicamente non definito il periodo in cui Padova allargò la sua giurisdizione sulle terre da Cadoneghe a Stigliano, Mirano, Oriago a nord del Brenta, e da Sarmazza fino a Porto Menai, Curano, Balledello, Dogaletto a sud del fiume. Nel silenzio delle fonti si ipotizza che la sovrapposizione padovana alla potestà trevisana si sia verificata fra i secoli XI e XII, ma ciò che quel silenzio sembra indicare, e che desta davvero meraviglia, è che tale avanzata pare avvenuta pacificamente, cioè senza opposizioni e scontri armati con Treviso.

Problematiche   anche   maggiori,   poi,   si incontrano quando si tenta di individuare in modo preciso i luoghi su cui, in questo territorio, esercitava la sua potestà religiosa il vescovo patavino. Almeno fino ai secoli IX-X le giurisdizioni ecclesiastiche territoriali non erano state ancora esattamente definite, ed esse erano ancor più indeterminate in quanto vi si consideravano inseriti pure "i possedimenti di un vescovo, per modo che ovunque il vescovo di Padova possedesse beni propri, qualunque fosse il comitato in cui questi si trovavano, ivi con la giurisdizione civile il vescovo esercitava anche quella ecclesiastica. E come il vescovo di Padova per beni fuori Padova e circondario, così facevano Ì vescovi estranei per beni che possedessero in territorio ecclesiastico di Padova, benché passato in altri comitati". Strettamente connesso a questa realtà sembra il caso, al confine con Paluello (e quindi della pieve di Sambruson), della cappella di San Pietro di Stra. Questa appartenne ai vescovi di Treviso fino al 28 febbraio 997, quando venne donata con le sue pertinenze al monastero benedettino di Santa Maria di Mogliano Veneto; a mezzo secolo di distanza, nel 1045, quella donazione fu confermata al monastero dal vescovo Ulrico. Il monastero mantenne il possesso della cappella e di quelle terre fino al 1151-1188, quando furono acquistate dai canonici della cattedrale di Padova. E allora, e solo allora, che San Pietro di Stra entrò nella diocesi di Padova? E ipotesi del tutto accettabile pur se, tradizionalmente, si afferma che San Pietro di Stra ha sempre fatto parte della pieve di Sarmazza. In base ai documenti viene, invece, da chiedersi entro quale effettiva giurisdizione ecclesiastica si trovassero a quel tempo sia quella chiesa, sia i territori ad oriente di essa, fra cui Sambruson. La situazione si presenta nebulosa, anche per il motivo che allora la diocesi di Padova sembra non si estendesse, ad est, oltre le pievi di Arino e di Sarmazza. Starebbero a testimoniarlo un atto del 1073 e la protezione imperiale concessa il 14 marzo 1077 a Verona dai messi regi Benno, vescovo di Osnabriick, e Oddone, vescovo di Novara, a sedici pievi padovane nel cui elenco sono incluse anche Arino e Sarmazza. In questo elenco non si fa riferimento alla pieve Sambruson. Perché? Non vi fu compresa in quanto era ancora in territorio di Treviso e, quindi, Arino e Sarmazza vi furono inserite per indicare il limite cui era allora giunta la diocesi padovana ad oriente, così che da quel momento nessuno lo potesse mettere in discussione? Oppure perché quelle sedici pievi, e solo loro, avevano degli interessi comuni da salvaguardare? Oppure anche, e più semplicemente, perché la pieve di Sambruson non esisteva ancora? I tre soli documenti che fino al primo Duecento riportano il nome di Sambruson e fanno riferimento alla sua chiesa, anziché dare risposte, fanno emergere altri interrogativi.


Dal volume "IN SANCTO AMBROSONE"

di MARIO POPPI (Associazione Culturale Sambruson La Nostra Storia)

 


a cura di Luigi Zampieri


 

Ultimo aggiornamento (Domenica 22 Agosto 2021 17:58)

 

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