Il territorio di Sambruson in epoca Paleoveneta
SAMBRUSON DALLE ORIGINI TRA STORIA E LEGGENDA - I PALEOVENETI |
IL TERRITORIO IN EPOCA PALEOVENETA
Dal volume "AD DUODECIMUN MANSIO MAIO MEDUACO"
di MONICA ZAMPIERI (Associazione Culturale Sambruson La Nostra Storia)
Sambruson si trovava, sin dall'età preromana, sotto la sfera di influenza di Patavium (Padova): faceva quindi parte del suo territorio. Le informazioni storiche e archeologiche che interessano il nostro paese in questi tempi antichi sono scarse; pertanto, per cercare di capire come doveva presentarsi il nostro territorio nel periodo paleoveneto, dobbiamo analizzare la situazione della vicina Patavium.
Abbiamo già detto che la cultura paleoveneta si presenta in modo piuttosto unitario, nonostante differenziazioni locali. Poco o nulla, però, ci dicono le fonti sullo svolgersi della civiltà dei Veneti nel corso dei primi secoli (prima età del ferro), del loro insediamento nel territorio di Patavium e nella città stessa, mentre più evidente è la documentazione archeologica riferibile ai secoli successivi.
Anche Padova, come Este, nasceva su un fiume: era il Brenta che attraversava la città con un unico corso, dividendosi poi in due rami all'altezza di Camin1. Quando il Brenta, che tanta parte ha avuto nella storia del nostro territorio, mutò il suo corso spostandosi verso oriente, in concomitanza con le grandi divagazioni fluviali avvenute nell'alto medioevo, il Bacchiglione ne occupò l'alveo2.
Gli storici hanno individuato, oltre a Padova preromana, anche un territorio che da essa dipendeva e che si estendeva fino alle lagune. Dell'organizzazione politica dei Veneti nessuna fonte ci parla. Soltanto dal racconto di Tito Livio sappiamo che all'epoca di Cleonimo, 302 a.C., i nostri villaggi o vici dipendevano da Padova; dunque non mancava un tessuto politico che si andò consolidando nel III-II secolo a.C. L'abitato di Padova era costituito inizialmente da gruppi di case o capanne, certo collegati tra loro. Col tempo andarono disponendosi, soprattutto lungo le due rive del Meduacus nel suo corso principale, nuovi nuclei che dipendevano, appunto, da Patavium. Il fiume divenne veramente l'elemento portante dell'intero sistema urbano3 ed extraurbano della futura città.
Il nucleo più antico di Padova è stato individuato nel centro storico attuale, nell'area dell'ex albergo Storione, di fronte all'Università4. Di consistenza pari si è rivelato l'abitato venuto alla luce nel 1976 in un'altra zona centralissima di Padova, nell'area della birreria ex Pilsen, con una documentazione completa dall'VIII sec. a.C. all'età romana5. L'abitato dello Storione, che presenta tracce di una frequentazione più antica, veniva a trovarsi all'interno della grande ansa del fiume, che certamente fungeva da importante via di traffico e di collegamento. La documentazione che l'abitato offre per il periodo più antico, X e XI sec. a.C., è scarsa e modesta. Una florida vita è invece documentata nell'VIII secolo per tutta l'età del ferro, mentre tutta l'area mostra tracce di forti rimaneggiamenti dall'età romana in poi. L'abitato mostra di avere una certa sua autonomia: i mezzi di sostentamento erano forniti soprattutto dall'agricoltura che, in età più antica, doveva essere praticata nelle ampie aree libere attorno al villaggio, ma venivano esercitate anche la caccia, la pesca e la raccolta dei molluschi marini. I materiali dell'abitato attestano anche l'esistenza di diverse attività artigianali. In particolare, la lavorazione della ceramica di uso domestico è provata dalla presenza di scarti di fornace. Artigiani specializzati dovevano occuparsi della fabbricazione della ceramica più fine, destinata prevalentemente alle tombe. Tutte le diverse forme di produzione del periodo più antico avevano, probabilmente, come fine il mantenimento di piccole comunità, poiché l'economia di scambio non aveva ancora assunto forme ben organizzate.
Nel periodo più antico, infatti, rare risultano le documentazioni di contatti con aree esterne al mondo paleoveneto. La necropoli più antica individuata a Padova si trova tra via Tiepolo e via San Massimo e va dal IX al VI sec. a.C., con olle-ossuario con coperchio. La prosperità della vita di Padova è attestata dalle famose tomba "del Re" e tomba "dei vasi borchiati", della seconda metà dell'VIII sec. a.C.: sia i fittili sia i bronzi, anche se tutti di ottimo livello artigianale, sono inquadrabili prevalentemente nella produzione locale. Non sono attestati a Padova, come invece ad Este, consistenti influssi della cultura etrusca dell'Italia centrale, né compaiono prodotti importati dall'area del Mediterraneo. Padova infatti, fino alla metà del VII sec. a.C. circa, pare ancora chiusa agli influssi esterni, rispetto ai centri posti in luoghi di confine. L'impressione che si ricava dall'esame dei materiali, è quella di una certa autonomia artigianale e artistica di Padova rispetto ad Este.
L'individualità culturale di Padova paleoveneta, evidenziata chiaramente anche dall'analisi epigrafica delle stele figurate funerarie, la sua "chiusura" aristocratica alle innovazioni e agli influssi meridionali provenienti dall'Etruria, attivamente recepiti da Este, sono confermate anche da questa classe di monumenti che hanno un lungo excursus cronologico. La più antica e anche la più famosa è la stele di Camin, datata al V sec. a.C., il cui soggetto è generalmente interpretato come una scena di commiato.
Come si osserva dalle necropoli, dal V secolo in poi ci sono attestazioni, in alcuni casi anche notevoli, di materiale importato da varie aree esterne, che a poco a poco arrivano a soppiantare alcune produzioni locali. Sono documentati contatti sia con il mondo greco che con il mondo celtico. Abbondanti le importazioni di ceramica dalla Grecia, specialmente dall'Attica, dall'Italia meridionale, dall'Etruria, dalle coste adriatiche: lo dimostrano gli oggetti di metallo, in particolare le situle di bronzo, le fibule, gli spilloni e la presenza di oggetti indicanti certamente un ruolo di prestigio, come le asce e i grandi coltelli6. La ricchezza e la varietà del vasellame sono rappresentate dai diversi tipi di vasi che dovevano servire al banchetto funebre: contenitori di liquidi e di cibi solidi, vasi per attingere e vasi per bere. Rimane fabbricata in loco la ceramica grigia, detta cinerognola, presente già nel V secolo a.C. e perdurante fino all'età romana. Numerosi sono i ritrovamenti riguardanti la filatura e la tessitura, attività generalmente esercitate dalle donne. Le officine artigianali erano collegate, lungo una via adriatica costiera, con gli altri centri da cui coglievano impulsi culturali diversi.
PADOVA PALEOVENETA E L'ASPETTO CULTURALE
Importanza fondamentale ebbe nella civiltà paleoveneta la "religione". Ne abbiamo notizia da rare fonti scritte, dalla presenza di luoghi di culto diffusi in tutta la regione e dal rilevante materiale votivo, attraverso il quale i fedeli manifestavano il loro rapporto con la divinità.
Padova antica e il suo territorio hanno restituito documenti votivi assai interessanti; sembrano tipicamente patavini i piccoli depositi di oggetti simbolici e di strumenti miniaturistici, ossia le stipi votive, rinvenuti nelle abitazioni, che sono stati collegati al culto dell'acqua e del fuoco, alle cerimonie per la costruzione delle abitazioni7 e alla dislocazione delle necropoli.
Altri complessi di materiali votivi sono invece da mettere in rapporto con l'esistenza di piccoli o grandi luoghi di culto all'aperto, ubicati presso corsi d'acqua o laghetti: l'acqua costituiva un elemento importante nella vita della comunità e gli atti libatori erano un momento costante delle cerimonie religiose.
Poco, dunque, sappiamo dalle fonti storiche dei luoghi di culto e per lo più queste informazioni non trovano riscontro nella realtà archeologica. Esemplare la testimonianza di Tito Livio, che racconta di un tempio di Giunone a Padova, cui i patavini avrebbero dedicato le spoglie della battaglia contro Cleonimo nel 302 a.C.8 o il noto passo di Strabone che parla del sacrificio annuale di un cavallo bianco9 a Diomede alle foci del Timavo10.
Negli ultimi anni lo studio sistematico-analitico di grandi complessi11, consentono di rileggere il complesso panorama delle manifestazioni del culto nel Veneto preromano in modo più chiaro12. Certamente sia la nascita che la florida vita del santuario di San Pietro Montagnon (Montegrotto Terme) o del santuario di Lagole di Calalzo nel Cadore (Belluno) furono legate alla presenza delle acque termali, con chiaro riferimento alle loro virtù salutifere che portavano ad una consistente frequentazione. Ben poco conosciamo delle cerimonie: l'atto rituale fondamentale doveva, però, consistere in una libagione simbolica e nella conseguente offerta dei vasetti alla divinità. Quanto ci resta sono le offerte dei fedeli, varie e diverse a seconda dei differenti momenti rituali: dalle minuscole tazzine in terracotta rinvenute a migliaia a Montegrotto, ai mestoli di bronzo di Lagole, tutti oggetti legati all'offerta delle acque13; dalle immagini dei devoti e delle devote alle processioni, ai cavallini, agli ex-voto anatomici. Il complesso dei bronzetti comprende infatti cavallini, cavalieri, devoti, guerrieri. Interessante la presenza di modellini di gambe e di braccia umane, attestanti inequivocabilmente il culto ad una divinità sanante. Connesso con il sacro, era anche l'insegnamento della scrittura, come attesta la presenza delle tavolette alfabetiche e gli stili scrittori: privilegio di pochi, ma anche delle donne, sono indizio di un ruolo particolare rivestito dalla figura femminile nella società veneta. La possibilità di comprendere le manifestazioni del culto e la loro ricaduta nel sociale restano dunque legate ai rinvenimenti archeologici e, quando possibile, epigrafici.
Tutti i complessi mettono in evidenza lo stesso culto ad una divinità salutifera, collegata al culto delle acque, che non si esclude possa essere identificata con la grande dea di Este, Reitia, spesso accompagnato dall'epiteto Sainati, divinità sanante e protettrice della riproduzione14.
I santuari hanno dunque un legame con l'acqua, ma con significati ed implicazioni diverse: si può cominciare a cogliere un rapporto non univoco, ma politetico tra acqua e culto nel mondo veneto.
Note:
1 Bosio L. 1981a, Padova e il suo territorio in età preromana, in Padova antica da comunità paleoveneta a città romano-cristiana, Padova, p. 5. Chieco Bianchi a.m. 1984, Padova, in ASPES (a cura di), Il Veneto nell'antichità preistoria e protostoria II, Verona, pp. 725-744.
2 Magri S. 2004, I fiumi della provincia di Venezia, in Inquadramento geomorfologico ed evoluzione del territorio, in bondesan A., meneghel M., La geomorfologia della provincia di Venezia, Padova, pp. 58-66.
3 bosio 1981, p. 9.
4 Leonardi G., MAIOLI M.G. 1976, Padova preromana. Nuovo Museo Civico degli Eremitani, Padova 27 giugno - 15 novembre 1976, Soprintendenza archeologica del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia, Padova, pp. 102-106; CHIECO Bianchi 1984, p. 725.
5 Maioli 1976, Materiali di IV periodo atestino, in Padova Preromana, Nuovo Museo Civico agli Eremitani, Padova, pp. 161-165 e tavole relative, pp. 123-126.
6 DE FOGOLARI 1981.
7 Maioli 1976, p. 67; Ruta Serafini 1981, p. 44.
8 Livio X, 2.
9 Gambacorta G., TIRELLI M. 1996, Le sepolture di cavallo nella necropoli "Le Brustolade", in aa.vv., La protostoria tra Sile e Tagliamento. Antiche genti tra Veneto e Frìuli, Catalogo della mostra, Padova, pp. 71-74.
10 STRABONE, V, 1, 8-9.
11 Per il santuario atestino di Reitia cfr. Chieco Bianchi 1984.
12 RUTA serafini 2003, L’organizzazione delle città e la definizione dei territori (VI secolo a.C.), in I Veneti dai bei cavalli, Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto e Regione del Veneto, Treviso, pp. 57-66.
13 Gambacorta 1999, Acqua, città e luoghi di culto nel Veneto romano, in Ocnus, 7, pp. 179-186.
14 Signora della natura, della fecondità, della vita, dea che presiede allo scorrere delle stagioni, capuis 1993.
articolo a cura di L. Zampieri
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Ultimo aggiornamento (Lunedì 27 Dicembre 2021 18:10)