Poco prima dell’alba di O. Moretti
SAMBRUSON. CULTURA, COSTUME, TRADIZIONI, AMBIENTE. - LETTERATURA A SAMBRUSON (III) |
Poco prima dell’alba
Le prime 7 poesie di Olindo Moretti
SOGNANDO TE
Ti voglio ora dedicare
una poesiola in festa
che sa già di sfigurare
tra le poesie, perchè modesta.
Di notte spesso sogno,
e mai poi ricordo com'era;
ben ricordo invece il sogno
fatto proprio l'altra sera.
Desideravo dormire come mai,
e, stanco alquanto, presto sognai;
e ne venne un sogno d'oro,
di cui i versi fanno tesoro.
Feci un sogno strano alquanto,
come sempre chi sogna stanco:
sognai il cielo di primavera
dopo un'acqua molto leggera.
L'acqua alfin lasciò apparire,
in vasta gamma di colori,
l'arcobaleno e mille amori
che intorno a lui sembravan impazzire.
Non so perchè l'arcobaleno
ad un tratto comandato
da una voce senza freno,
intorno a "lei" si era girato.
Era "lei" bella alquanto,
tanto che, come poi notai,
con un gesto dolce tanto,
comandò al creato come altri mai.
Fu quando il subcosciente,
con disprezzo impertinente,
lungamente sul superìo dominò,
e con sforzi alfin lo addormentò.
Sogno sognai alquanto caro
che, come mai, alfin mi lasciò
col cuore così pieno di quell’amaro,
come chi viver un sogno, sognando, sperò.
Non so chi fosse la bella “lei”,
ma quando l’alba mi svegliò,
a te pensai, il perchè non so,
come se tu somigliassi a costei…
E ti rividi come quel giorno,
quando partii muto e pensieroso,
guardandoti, al ritorno,
per mai dimenticare il tuo bel viso,
che ricordo pieno di sorriso.
Come una foto che non posso dimenticare,
proprio così il tuo viso mi appare:
tenero e caro come altri mai.
Ben lo rivedo e mi piace assai.
Rimasemi impressa nella mente,
una foto bella ed attraente:
la tua faccia sorridente,
mentre ballavamo tra la gente.
Allontanandomi poi da te,
desideravo guardarti come mai,
e non capivo mai il perché,
finchè al Petrarca poi pensai.
E, com’egli di Laura scrisse,
così io, Annalisa, vorrei a te dire,
ma di Petrarca un solo visse,
ed io non posso altrettando ardire.
Ciò non toglie che a me spiaccia
di non esser tal qual Petrarca,
perché credo io farei
di te un poema, qual tu sei.
ANGELA
Angela tu, Angela mia,
vieni da me subito su,
vieni da me perché sei mia,
Se sapessi dove sei tu,
ti verrei subito a trovare,
ma così, non vorrei niente
ora, se non sognare,
per rivederti con la mente,
così come quella notte:
bella, bella e innocente.
Quante e troppe volte
la tua immagine solamente,
torna ad apparirmi così,
allucinandomi, ed io,
dicendo sempre di sì,
non penso al cuor mio:
un cuore roso dal ricordo,
ferito da un amore improvviso,
ferito e quasi ucciso,
mentre pensava di essere sordo.
Di essere sordo all'amore credeva,
finchè una freccia per sbaglio,
lo trafisse, mentre correva,
sicuro e imprudente, allo sbaraglio.
Angela mia, dolce amore,
gioia della speranza,
forse anche tu sognasti l'amore
quella notte in balìa della danza.
Quella notte io ti raccolsi,
somigliavi ad una rosa,
e solo dopo io m’accorsi:
mi punsi, perché era spinosa.
Non c’è rosa senza spine,
e solo c’è amore se c’è dolore.
Per questo soffre il mio cuore,
sospinto dall’amore verso la fine.
Alla fine di una vita dolorosa,
per cui uno muore sì,
ma contento come quel dì,
che cominciò quella vita,
dall’amor rosa.
AMICA
Quando è primavera
e rinasce la campagna verde,
corro lungo il filare
perchè parmi di ricordare.
Mi fermo ad una vite
e parmi di vedere a lei appoggiata,
gentile ragazza da me sognata.
A marzo allor io dico mite:
“Dille che quando la sognai,
furon per me momenti felici,
perciò dì a lei che ormai,
noi saremo bravi amici.”
AVVENTURA
Fu un giorno dipinto di sole,
un limpido giorno che suole
tutto il mondo illuminare,
anche la valle che sembra sognare.
C'era anche la neve lassù,
ad irradiare col grande candore
gli sciatori e chi sogna l'amore,
guardando nel cielo dipinto di blu.
Mio caro amore, fu quel giorno,
quel bel giorno illuminato,
ch'io ti conobbi quando intorno,
il sole ormai se n'era andato.
Per me però quel giorno amato
non si spense con l'andar del sole,
come in genere il giorno suole,
perchè tu cara mi hai incontrato,
Incontrando te, amor, mia cara,
io vissi momenti felici e sognanti,
ingannando la tristezza più amara,
coi tuoi baci, amati e amanti.
Dal mio cuore amoreggiante si sprigiona
una sola nota, unisona e consòna,
che rintrona fortemente tutto intorno,
chiedendo al tuo amore, il suo ritorno.
Chiede di amare, amare, amare,
il mio cuore, stanco di sempre sognare;
e all’amore innalza un canto
che io ti mando, del vento, nel manto.
E s’ei ti giunge palpitante e caro,
non rigettarlo via da te,
perché potrebbe ritrovare l’amaro,
e rinnegare il dolce che il tuo cuore mi diè.
Fermati o stanco amore avventuriero,
posa la spada e più non ferire,
se amare non sai, orgoglioso e fiero,
in qualche avventura potresti perire.
E, uccider l’amore, sai che vuol dire?
Significa perdere ciò che più piace
ad un cuore che ancor può sentire
un poco di tenue, sognante pace.
ALLOR QUANDO
Nella penombra accarezzata dal vento,
appoggiati ad un muro,
mi sentivo felice, amato e contento;
mi sentii debole, forte, incerto, sicuro.
Allor quando ultimamente ti baciai,
sentii un fremito, palpitare il cuore,
e guancia a guancia dolcemente amai;
conobbi allor amor che m'ama, amore.
Placido sedeva il lago di Lecco, a sera;
sulle pacate acque, mille ombre oscure eran dipinte,
e noi, dondolando, camminavam nella notte nera,
e qual freccia acuta, brezza colpiva nostre facce, di sentimento tinte.
Ci addentrammo in buia viuzza stretta,
deboli raggi di luce rompevan l'ombra nera;
paura non avevam, né molta fretta,
e tu lo sai, sì lo sai cos'era.
Allor quando ultimamente ti baciai,
fu prima di lasciarci, amore;
lo sguardo all'infinito abbandonai,
ma sempre in sé ti tenne il cuore.
E più non ti vidi in quel deserto loco,
ma appena partisti alzai lo sguardo,
e rimasi estasiato, ristetti un poco,
per rimirar, cotanto bel, il tuo traguardo.
Immensa mi apparve grande ombra oscura,
tal qual gigante alzarsi sembrava,
a dominar la valle piena di paura,
a rassicurarla con sua mole stava.
Strada a spirale, lucente a intermittenza,
correva strisciando sul suo lungo fianco;
scendean per essa, con grande indifferenza,
macchine lente, posate, soltanto.
IO, A ME INCOMPRESO
Talor vedendo popolo umìle,
perir di fronte ad altra gente,
di lui più forte ed a lui ostile,
vorrei fosse sol per lui la mia mente.
Infatti io allor desidererei
esser esperto tanto in legge
per riuscire, e riuscirei,
ad umiliar chi in torto pur si regge.
Colpa è infatti dell’ingiustizia
che sempre regna praticamente
tra il popolo la cui perizia
è amministrar giustizia teoricamente.
In me s’accende un grande fuoco
che ribollire in me tutto mi fa,
quando un’umil persona, sapendo poco,
difender sé stessa, pur in ragione, non sa.
Allora io vorrei umiliare
colui che avendo studiato molto,
non ha saputo tuttavia conservare,
lo spirito di giustizia, in lui ormai morto.
Penso talora che se fossi avvocato
rinnegherei i soldi che mi rendon comprato,
pur di difendere coloro che soffrono,
perché non sanno e difendersi non possono.
Ma poi chiedendomi coscientemente
se ciò io farei sol per me stesso,
o per apparir un grande tra la gente,
talor mi giudico orgoglioso e fesso.
Forse in me c’è qualche cosa
che vuol ribellarsi all’umiltà
ch’io conobbi in quella casa
che mi vide alla luce anni fa.
Allora in me sorge un problema,
non matematico ma morale,
e ne sento profondamente il tema:
s’io sia nel giusto o sia nel male.
Forse io vorrei difender gli umìli
per non essere a loro eguale.
Se così fosse sarei tra i vili,
e paragonabil anche a un animale.
LAUDE
O monti sereni, che ite esuberanti
fino al ciel sereno, vi prego, ditemi:
“E' bello forse esser possenti,
tanto possenti da dominar lo mondo?
Rispondetemi.
O preferir vi piace invece
l'umile valle profonda tanto,
che non può dominar
che il suo verde manto?
A queste domande o monti,
se dolor non vi cal tanto,
rispondetemi.”
“O uomo, misero sei tanto, che
arrampicarti non sai
sullo scosceso fianco,
che portar ti pote a rimirar lo mondo,
che noi miriamo e tu sogni tanto?
Salir tu debbi, perchè non calle
all'anima tua desiante cibo,
correr sempre infra la valle:
cibar non potesi di solo verde male.
Possenti non siamo sappi,
perchè agili innalziamci a dominar lo mondo,
ma sol perchè cibar possiamci dello mondo bello,
puro mondo naturale, che sol Dio
far potè sì puramente bello tanto,
che anima sensibil sol si ciba,
affannosamente, del naturale canto.
A Dio sol, fortunati tanto siam noi,
rendiamo gloria, perché o uomini, voi,
non sapete rimirar lo bello manto
che natura, melodiosamente tanto,
avvolge nel suo bianco, sereno, puro incanto.
Voi sol sapete abbrutir natura,
per saziare il corpo che sempre in lotta dura,
contro lo spirito indebolito dell’anima vostra impura.
Salite dunque, arrampicatevi,
solo dopo una salita molto dura,
soddisfatti potersi vi potrete dir,
e contenti sarete di sempre più in alto salir.
Sol l’alto, l’immensamente alto,
si avvicina tanto ai misteri dell’Infinito.
Quando, in vetta del più alto monte, salir potrete,
sol allora non saprete scrutar la malvagia natura,
e sol vedrete Iddio che si raffigura,
nell’immensa e maestosa figura
della Natura, vergine Natura pura”.
articolo a cura di L. Zampieri
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Ultimo aggiornamento (Martedì 02 Marzo 2021 17:13)