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SAMBRUSON IN EPOCA PREROMANA E ROMANA - I REPERTI ARCHEOLOGICI

I REPERTI DI SAMBRUSON

Tesi di Laurea: I materiali ceramici del Museo di Sambruson di Dolo(VE): Catalogazione e analisi di insieme, I vol. a.a. 2005-2006. Zampieri Monica. 

CERAMICA GRIGIA

La ceramica grigia1, detta anche cinerognola, così chiamata per il caratteristico colore assunto in seguito ad una cottura di tipo riducente, comincia ad essere prodotta nella seconda metà del V sec. a.C. in area padana, e continua con l'avvento dei romani fino a scomparire nel I sec. d. C2. Erroneamente creduta di origine gallica3 fino a pochi decenni fa, veniva considerata propria della fase decadente della cultura paleoveneta4.

Per quanto riguarda la diffusione di questa classe ceramica, è probabile che in un primo periodo, all'inarca dalla fine del V sec. a.C., essa venisse prodotta solo in alcuni siti, ad esempio Padova5, Este6, Spina7 e Aitino8. Dal III-II sec. a.C. tale produzione, caratterizzata da un impasto più scadente e da un repertorio più limitato di forme, si estese anche in altri centri dell'area padana9. Già nel III, ma più ancora nel II e I sec. a.C. la ceramica grigia infatti raggiunse la sua area di massima espansione nel territorio corrispondente all'incirca all'Italia nord-orientale. E attestata in Veneto, Emilia, Friuli-Venezia Giulia10, ma anche in Lombardia ad occidente e fino ad alcune zone della Slovenia ad oriente11.

La ceramica grigia è un tipo di ceramica fine utilizzata sia in contesti abitativi, come vasellame da mensa, sia in contesti funerari, con funzione di ossuario con coperchio o come elemento del corredo funebre12. Il repertorio morfologico, di tradizione preromana, imita le forme della contemporanea e più fine ceramica attica d'importazione, della vernice nera e della ceramica semidepurata, importate dalle regioni vicine e successivamente prodotte in ambito locale13. Con molta probabilità la ceramica grigia è una versione economica della ceramica a vernice nera, per il simile processo di cottura in ambiente riducente, ossia ossigeno, ma a temperature più basse14.

Questa classe, nonostante abbia restituito dei tipi standardizzati diffusi nel Veneto e nell'Italia nord-orientale, appare comunque caratterizzata da particolari tipi e varietà legati alle diverse aree culturali di questo territorio, influenzate in modo diverso dalle importazioni o produzioni ad esempio di ceramica attica o vernice nera.

La ceramica grigia rinvenuta dal Vanuzzo durante il recupero del 1950 consta di un totale di 78 pezzi, di cui 11 orli, due soli profili completi, 29 fondi, 3 anse e 33 pareti (taw. dis. XLIX-LIII). I pezzi sono per la maggior parte fondi, alcuni dei quali troppo frammentari per essere disegnati. Dei fondi, 14 sono di coppe con piede ad anello, 2 di coppette a fondo apodo (senza piede), 6 di coppe con grattugia e piede ad anello. Delle pareti, 17 sono riconducibili ad uno stesso vaso e associabili ad un orlo15 di olla, mentre le altre non sono unibili a nessun altro frammento a causa della loro frammentarietà.

Anche se i frammenti qui studiati appartengono al quadro cronologico delle produzioni di età romana16, le loro forme sono già presenti in epoca preromana soprattutto nel Veneto ma anche in altre regioni, attestando così un forte conservatorismo. Proprio per questa continuazione di forme nel tempo, i frammenti si possono confrontare con centri che hanno restituito reperti dell'epoca preromana, ad esempio Este, Padova.

Per quanto riguarda i tipi di impasto della ceramica grigia di Sambruson, se ne sono individuati due. Il primo, al quale appartengono pochi frammenti (in particolare un orlo, alcuni frammenti di parete, probabilmente appartenenti al medesimo vaso, un'ansa, incerta a causa delle dimensioni, che sembrano notevoli rispetto agli altri pezzi e tre frammenti di fondi di coppe con grattugia)17, è caratterizzato da un corpo ceramico molto duro e di colore grigio scuro18. Il secondo impasto, più scadente del precedente, è caratterizzato da un corpo ceramico di colore tendente dal grigio-chiaro al grigio, è più morbido del precedente e risulta spesso polverulento19. Due frammenti appartenenti a quest'ultimo impasto, in particolare un fondo di coppa e un frammento di parete20, presentano come rivestimento un ingobbio di colore grigio scuro21. La Maioli ha individuato tre tipi diversi di impasti per la ceramica grigia di Padova, impasti che si sostituiscono uno all'altro nell'arco cronologico in cui viene prodotta questa classe ceramica, ed il secondo e il terzo tipo trovano confronti con gli impasti di Sambruson22. L'impasto n. 29 di Sambruson coincide con il secondo della lista della studiosa, che descrive la ceramica come durissima e a frattura netta, con superficie grigia o nerastra, non verniciata, e che può o meno presentare decorazione. Il secondo impasto della grigia di Sambruson, il n. 28, corrisponde al terzo, e ultimo, della studiosa, e si presenta più scadente, con argilla pulverulenta, un numero limitato di forme che giungono fino alla piena età romana, anch'esso con possibili decorazioni.

Anche con M. Gamba e A. Ruta Serafini, che individuano quattro tipi di impasto, si trovano delle coincidenze23; difatti l'impasto n. 28 di Sambruson, ossia il secondo descritto in questo capitolo, trova molte analogie con il tipo 3 delle studiose, che viene descritto come una produzione più tarda e più scadente e che non presenta superfici trattate.

I frammenti sono stati analizzati secondo la classificazione morfologica elaborata da Gamba e Ruta Serafini per la ceramica grigia proveniente dall'area ex Pilsen a Padova24. Per quanto possibile, i frammenti sono stati suddivisi secondo le forme principali e all'interno di tali forme sono stati individuati i tipi e le relative varianti. I pezzi, essendo in gran parte fondi di coppe e di coppe con grattugia, difficilmente possono essere ricondotti a forme in particolare, poiché tale attribuzione sarebbe possibile solo in presenza degli orli. Si è comunque scelto di cercare i confronti possibili con le parti diagnostiche presenti25.

Per la maggior parte dei reperti si tratta di forme aperte, come riscontrato per gran parte dei siti che hanno restituito reperti appartenenti a questa classe26. Rare sono le forme chiuse27. Data la notevole quantità, 1' esame delle forme inizia dalle forme aperte, dove vengono trattate le coppe e le coppe con grattugia, per poi passare a quelle chiuse, dove vengono descritte le olle. Infine viene trattato un frammento non attribuibile ad alcuna forma precisa, ma riconducibile ad una forma aperta e le tre anse.

Numerosi sono i confronti possibili tra Sambruson e altri siti. Per il Veneto è possibile stabilire dei confronti con alcune aree della vicina Patavium, dove sono attestati esemplari riconducibili a quasi tutte le forme di grigia, sia nell'abitato che in necropoli28, ad Aitino29, Musile di Piave30, Arquà Petrarca31, ma anche Spina32, Adria33, Este34 e Verona35.

FORME APERTE

COPPE

La forma più frequentemente attestata è costituita dalle coppe, con 27 frammenti, la maggior parte dei quali appartenenti a fondi. La coppa è una forma molto comune in questa classe in tutto il Veneto e più in generale in area padana, tra la seconda metà del V sec. a.C. e il I sec. d. C.36. Copre pertanto tutto l'arco cronologico proprio di questa classe. Le forme rientrano nella tipologia nota per questa classe ceramica37, con alcune variazioni che possono considerarsi locali38.

Due sono i frammenti che presentano un profilo completo e pertanto solo di questi può esserne confrontata la forma completa con il repertorio adottato per questa classe. Una (cat. n. 5) è una coppa con bacino troncoconico privo di solco sotto l'orlo, con orlo a profilo continuo e arrotondato, del tipo Xla, variante 2beta39. Oltre a Padova40, trova confronti ad Udine41, ad Aitino42, dove uno dei frammenti presenta però il solco sotto l'orlo, a Musile di Piave43 e ad Este44 in contesto funerario. Il tipo risulta simile alla forma 13 della ceramica grigia di Spina, che viene datata, come per Este, al IV sec. a.C.45 L'altro (cat. n. 4) profilo non trova diretto riscontro nei tipi classificati da Gamba e Ruta Serafini. Il frammento presenta corpo troncoconico e orlo a profilo continuo leggermente assottigliato e senza presenza di solcatura. Esso trova confronti ad Aitino presso la casa-laboratorio in località Fornasotti46 e, in ambito funerario, con esemplari provenienti dalla necropoli di Arquà Petrarca47, che si avvicinano al frammento in esame per il particolare profilo del corpo e che appartengono al IV periodo atestino; anche per Este raffronti in ambito funerario48.

Gli orli di coppe, esclusi i due profili completi, sono sette, di cui solo uno disegnabile (cat. n. 3), poiché gli altri presentano dimensioni troppo ridotte49. Questi tipi sono piuttosto comuni nella classe, in particolare quattro presentano un orlo arrotondato con una solcatura sottostante50, e tre, due con orlo arrotondato, e uno appuntito (cat. n. 3), sono lisci.

Per i restanti frammenti, essendo tutti fondi non ricomponibili con frammenti di orli e pareti, è stata comunque usata la suddivisione di Gamba e Ruta Serafini51, ossia i fondi sono stati divisi secondo quattro tipi: I. fondi con piede ad anello dritto, IL fondi con piede ad anello obliquo, III. fondi con piede ad anello obliquo esternamente sagomato, e IV. fondo con piede ad anello con umbone esterno. Del primo tipo vi è un frammento (cat. n. 7), del secondo due (cat. nn. 8-9), del terzo nessuno, poiché tutti i frammenti con anello obliquo esternamente sagomato presentano umbone esterno, e pertanto vengono inglobati nel quarto tipo52 (cat. nn. 10-21). Inoltre, per tutti i frammenti, è stato indicato se il piede ha base appiattita o arrotondata53. Dei fondi con piede ad anello e umbone esterno, uno merita particolare attenzione (cat. n. 17): il frammento infatti presenta esternamente uno strato di ingobbio grigio scuro non conservato su tutta la superficie, e decorazione a due fasce di solchi concentrici separati uno dall'altro da un centimetro circa. Mentre la presenza di ingobbio è comune per tale classe, il tipo di decorazione non trova riscontri nei siti analizzati. Delle coppe, due presentano fondo apodo.

Date le dimensioni ridotte rispetto ai frammenti appena analizzati, si preferisce parlare di coppette. La forma a fondo apodo è rara tra la ceramica grigia, e solitamente è propria di altre forme54. Le dimensioni delle coppe sono variabili ma comunque standardizzate in riferimento alla funzione di recipienti da mensa per contenere e per consumare i cibi o, nelle necropoli, come coperchio per gli ossuari o per contenere offerte. Nel caso specifico di Sambruson sembra più convincente la prima ipotesi55.

COPPE CON GRATTUGIA

Una classe particolare di coppe è rappresentata dalle coppe con grattugia, funzionalmente ben determinata proprio per la presenza di grossi granuli all'interno. Infatti sulla superficie interna queste coppe presentano inclusi affioranti in funzione di grattugia o mortaio. All'interno di questo gruppo si differenziano due tipi in base alla forma dell'orlo, da cui deriva una differenziazione cronologica56. Questa distinzione cronologica non è possibile per gli esemplari di Sambruson, poiché sono presenti solo fondi di coppe con grattugia, per la precisione nove, di cui tre non disegnabili (disegnabili: cat. nn. 21-26). Probabilmente queste coppe, tranne tre, fanno parte del periodo più tardo, sia dal confronto con gli altri reperti rinvenuti nel sito, sia tenendo conto degli impasti57. La posizione della grattugia è delimitata in cinque esemplari dalla presenza di una linea incisa, in un caso da due linee incise a pochi millimetri una dall'altra. Gli inclusi presenti con funzione di grattugia sono di diverso tipo: alcuni esemplari hanno quarzo o altri minerali abbinati a chamotte, mentre altri hanno solo quarzo e altri minerali. Anche le dimensione degli inclusi variano, da dimensioni notevoli (fino a 6-7 mm) a dimensioni piuttosto piccole (2-3 mm). Tre fondi presentano gli inclusi bruciati, per cui non è stato possibile identificarli, su due pezzi poi sono mancanti a causa della cattiva conservazione. Tutti questi frammenti presentano umbone esterno e sono confrontabili con vari siti: due trovano riscontri ad Arquà Petrarca58 e tre ad Altino59,

FORME CHIUSE

OLLE

Anche questa forma è molto comune nella ceramica grigia e viene utilizzata come contenitore in ambito domestico, ma è presente anche in contesti funerari soprattutto con funzione di ossuario61.

A queste forme sono riconducibili due frammenti di orli. Uno (cat. n. 1) è un orlo con superficie interna concava, probabilmente funzionale all'appoggio del coperchio, associabile a 17 frammenti di parete, di impasto grigio scuro e duro. Per la forma e il tipo di impasto è quindi ascrivibile ad una fase più antica. Quest'orlo trova riscontri in Aitino62, a Padova63 e a Sevigliano (Udine)64. L'altro (cat. n. 2) è un orlo di un'olla di grandi dimensioni, datata, anche dall'analisi macroscopica dell'impasto65 (cat. imp. n. 28), ad un periodo successivo rispetto al frammento precedente. È un'olla che conserva l'attacco della parete e pertanto può essere considerata a profilo globulare. È la varietà più diffusa in Veneto tra la fine del IV e il I sec. a.C., in particolare a Padova66, Arquà Petrarca67, Este, Musile di Piave e soprattutto Aitino, dove in contesti funerari viene utilizzata fino al I sec. d.C. come contenitore cinerario. Alcuni di questi esemplari si ritrovano anche in Friuli, a Sevigliano e a Montereale Valcellina. In particolare la forma appena esaminata trova riscontro nella classificazione di Gamba M. e Ruta Serafini A. e corrisponde al tipo XXIIa delle olle globulari68.

FORME NON ATTRIBUIBILI

Per quanto riguarda le forme aperte non attribuibili, due sono i frammenti che ne fanno parte: un orlo e un fondo. Il frammento di orlo con versatoio (cat. n. 6), di diametro piuttosto ampio, non trova confronti con alcun sito che abbia restituito ceramica grigia, e probabilmente appartiene ad una manifestazione prettamente locale69. Vi è poi un frammento di fondo (cat. n. 30) di diametro doppio rispetto alle coppe precedentemente esaminate e con basso piede ad anello, che potrebbe appartenere ad un'olla di grosse dimensioni. Le anse (cat. nn. 31-33), infine, sono tre, una di grosse dimensioni, le altre più piccole; purtroppo è difficile fare altre ipotesi, considerando il fatto che poche sono le forme ansate di grigia, per lo più tazze, che però presentano anse più circolari70.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE SULLA CLASSE CERAMICA ANALIZZATA

Come si può vedere dai confronti e come già accennato, le forme della ceramica grigia sono già presenti in epoca preromana soprattutto in Veneto, ma anche in altre regioni, e si mantengono nel tempo pressoché invariate. Il mantenimento delle forme è andato di pari passo con quello della funzione e della loro diffusione areale veneta e più propriamente padana71. Infatti la ceramica grigia era utilizzata in cucina, per contenere cibi, ma poteva avere funzioni particolari, come per il caso delle grattugie. Questa classe aveva poi relazioni con altre classi, in particolare con la ceramica comune. Ad esempio uno degli orli di olla, quella più piccola, ha notevoli confronti con la ceramica comune. La stessa forma della grigia si ritrova nella ceramica comune negli stessi siti72. La ceramica grigia, oltre all'utilizzo appena descritto, poteva far parte dei corredi in tombe, soprattutto nell'epoca preromana73. Molti sono infatti, come visto prima, i confronti con reperti rinvenuti in necropoli.

Anche se il Vanuzzo nella sua relazione aveva parlato di una necropoli74, questi rinvenimenti sembrano appartenere ad un contesto abitativo; e anche se le olle potevano essere utilizzate sia in cucina e per la mensa, quanto come ossuari, si tende ad escludere l'ambito funerario per la mancanza di oggetti usualmente associati a questi in tombe75. Nei corredi, oltre agli ossari, si trovano balsamari, più raramente monili d'oro o di altri materiali, ancora, ceramiche fini pregiate e miniaturistiche, poco presenti a Sambruson. Nel caso dei balsamari, ad esempio, è presente un solo frammento.


CERAMICA A VERNICE NERA

CONSIDERAZIONI 

La ceramica a vernice nera è presente a Sambruson con un esiguo numero di frammenti, 19 in tutto, di cui 3 orli, 5 fondi eli pareti (taw. dis. LIV-LV/A).

Per lo studio di questi pezzi si è fatto riferimento principalmente alla tipologia di J.P Morel1, cercando di individuare, ove possibile, la serie ed il tipo e in secondo luogo alla classificazione di N. Lamboglia2. A causa della frammentarietà del materiale e alla presenza notevole di frammenti di fondi, l'identificazione della forme è stata difficoltosa. Per quanto riguarda più specificatamente i fondi, l'associazione a determinati tipi non può dirsi certa, poiché mancano parete e orlo che, con maggiore sicurezza, possono individuare una forma. In un caso (cat. n. 40) non è stata trovata l'identificazione della forma del fondo e si è pertanto utilizzata la tipologia dei piedi elaborata dal Morel3, che si è rivelata molto utile per delineare una cronologia di riferimento, non deducibile altrimenti.

Tutti i frammenti sono stati, quindi, ricondotti ad una tipologia e confrontati con altri rinvenuti in altri contesti. Tutti appartengono a forme aperte e, in particolare, si tratta di frammenti di coppe e di patere o piatti. Un frammento risulta di forma non determinabile con sicurezza e potrebbe appartenere ad un piatto o ad una coppa.

Si è fatto riferimento ai due repertori sopra elencati per ricondurre i materiali a determinate forme e per definire gli orizzonti cronologici, ma si è data costante attenzione anche al materiale finora edito, proveniente dall'area nord-adriatica e padana in generale, tenendo conto del fatto che però nel Veneto in particolare, ma anche in tutto il nord-Italia, gli studi su questa classe ceramica sono ancora poco avanzati4. A Sambruson la situazione è poi ulteriormente complicata, in quanto non esiste alcun dato specifico relativo agli scavi. Pertanto, l'orizzonte cronologico dei reperti si può dedurre solo dall'aspetto morfologico, data la mancanza di qualsiasi dato stratigrafico.

Nel complesso si tratta, come comunemente si verifica in area nord-adriatica e padana in generale, di una produzione che richiama la ceramica a vernice nera classificata dal Lamboglia5 e da lui distinta in Campana A, B, C, ma solo per ciò che riguarda le forme. Gli impasti, invece, di colore rosa pallido o leggermente più scuro, si presentano per lo più poco compatti e piuttosto farinosi e le vernici che li ricoprono spesso tendono a sfaldarsi in modo puntiforme e scagliforme (cat. imp. n. 1). Due frammenti invece sono caratterizzati da un impasto di colore anch'esso rosato, ma più compatto e maggiormente depurato (cat. n. 2). Infine, un unico frammento (cat. n. 9) mostra un impasto grigiastro molto compatto ed anche la vernice che lo ricopre è di buona qualità, nera, lucida e ben coprente (cat. n. 3). E l'unico frammento di fondo apodo, ma essendo molto frammentario, non è possibile identificarne la forma; potrebbe trattarsi di una coppa di piccole dimensioni.

Importante quindi, oltre all'impasto, è considerare il colore e la qualità della vernice, iridescente o metallica negli esemplari italici, nera, opaca e spesso facilmente scrostabile negli esemplari qui analizzati6, che inducono perciò a pensare a produzioni locali7 con caratteri propri, pur mantenendo una certa uniformità tipologica frutto dell'influenza dei grandi ateliers della Campania.

L'arco cronologico delle forme esaminate si inquadra tra la fine del III sec. a.C., ma soprattutto tra il II e il I sec. a.C.8

FORME APERTE PATERE9

Specie Morel 2270 (Tipo Lamboglia 7/16)

La specie Morel 2270, include una serie di patere di diverse dimensioni con pareti particolarmente svasate e orlo indistinto, che può essere in alcuni esemplari leggermente ingrossato esternamente10. Queste patere ebbero una grande diffusione in area padana dalla fine del II a.C. fino all'età augusteo-tiberiana11, ma si ritrovano per tutto il I secolo d.C.

I due frammenti di orli qui esaminati (cat. nn. 34-35), caratterizzati da pareti piuttosto inclinate verso l'esterno e da orli indistinti, uno smussato sulla superficie interna (cat. n. 34), l'altro leggermente appuntito (cat. n. 35), appartengono in modo più specifico alla serie 2276 o 2277, ma non è possibile essere più precisi, considerata la notevole frammentarietà12.

Un frammento di fondo (cat. n. 39), che pare avvicinarsi al tipo Morel2276c 1, ascrivibile alla produzione locale o regionale, è presente in Italia settentrionale fino all'età augustea o liberiana13. È una delle ultime forme della ceramica a vernice nera e ben documenta il passaggio alle produzioni a vernice rossa14: sembra pertanto rappresentare lo stretto legame tra la ceramica a vernice nera e la terra sigillata, in quanto una forma analoga si ritrova nella Drag. 31 in terra sigillata nord-orientale, nella variante ad orlo arrotondato15.

Frammenti si ritrovano ad Altino in contesto abitativo (casa Fornasotti)16, ad Adria17 e in gran quantità nel territorio veronese, ma anche ad Aquileia18 e ad Udine. Ad Ovest, si ritrova a Cremona19, a Milano20 e in altri contesti lombardi in ambito funerario21, dove però le presenze non sono numerose. La forma è presente a Limi22 e, infine, nel Magdalensberg23.

Specie Morel 2280 (Tipo Lamboglia 7)

La patera Morel 228024, eguagliatele al tipo Lamboglia T25, appartiene ad un arco cronologico relativamente tardo26 e viene prodotta in ambito periferico. Il frammento appartenente a tale forma è un fondo con massiccio piede ad anello ed è riferibile in modo più specifico al tipo 2285a 1 (cat. n. 41). Si tratta di una produzione locale o regionale, associata alla Campana C e la sua produzione va dalla metà del II secolo a.C. alla metà del I secolo a.C.27. Il fondo presenta sulla superficie interna una decorazione semplice a linee concentriche incise.

Questo tipo di patera è attestato a Padova28, ad Aitino29, ad Adria, ad Oderzo, ad Aquileia30, a Udine, poi a Bergamo, Cremona e Milano31. Infine si ritrova anche a Luni32.

Serie Morel 2680

Frammento di probabile patera serie Morel 2680, ma su basso piede ad anello33 (cat. n. 37). Presenta una decorazione interna a linee concentriche incise e sulla parte centrale è conservata una delle palmette che dovevano abbellire tutta la parte centrale del vaso. Presenta uno strato di vernice nera opaco, spesso e coprente. Trova confronti a Luni34 con due coppe molto somiglianti.

COPPE

Specie Morel 2650 (Tipo Lamboglia 28)

Tre frammenti di orli appartenenti ad un unico vaso, ma non unibili, sono riconducibili alla forma. Morel 2650 (cat. n. 36). Con tale definizione si comprendono in genere le coppe con carenatura arrotondata e con parete più o meno arrotondata, come in questo caso. A partire dal II e soprattutto nel I sec. a.C., queste coppe sono tra le più diffuse nella penisola e vengono anche imitate in gran quantità dalle officine dell'Italia settentrionale35. Viene prodotta prevalentemente in Campana A, ma tale forma è presente anche nei repertori della B e nelle produzioni locali, come per il caso qui esaminato. E attestata nelle tre varianti con vasca a calotta, con vasca a carena arrotondata36 e con vasca a carena spigolosa37. A Sambruson i tre frammenti appartengono alla coppa con corpo a calotta e pareti a profilo bombato, nello specifico, serie Morel 2653. Le importazioni aretine di questa forma sembrano risultare molto scarse nell'Italia nord-orientale, se confrontate con la presenza di forme Morel 2650 nel Magdalensberg. In Veneto tale forma è attestata ad Aitino, a Padova, ad Adria, ad Este, a Concordia e nel veronese38. Poi ancora nel Friuli, in particolare ad Aquileia e ad Udine39. Numerosi i confronti anche in Lombardia, dove è testimoniata nel milanese, nel mantovano e nel cremonese40. Verso sud questa coppa si ritrova a Bologna e a Luni41. Inoltre è attestata nel Magdalensberg ed in Istria. Esiste anche una versione acroma documentata nel milanese e raramente nel bresciano42.

Tipo Morel 2534c i

Coppa su piede ad anello inclinato verso l'esterno a sezione troncoconica leggermente arrotondato sul piano d'appoggio (cat. n. 38). Datato alla fine del III sec. a.C. Trova riscontri a Padova43 e a Milano44.

Piede tipo Morel 32le 3

Infine, un fondo molto frammentario di probabile coppetta non è stato attribuito ad alcuna specie; si tratta di un fondo con piede ad anello a profilo curvilineo (cat. n. 40). Il piede, però, è stato confrontato con la tipologia di piedi presenti nell'ultima parte del Morel e corrisponde al tipo 321 e 345.


CERAMICA A PARETI SOTTILI

CONSIDERAZIONI SU QUESTA CLASSE CERAMICA E SUGLI IMPASTI

La ceramica a pareti sottili1 di Sambruson è rappresentata da un numero assai modesto di frammenti, in tutto undici pezzi: due orli, cinque fondi, tre pareti (taw. dis. LV/B-LVI/A). Gli studi su questa classe di materiale2 sono ancora piuttosto arretrati; manca infatti una classificazione sistematica della produzione di questa ceramica, per cui si è ipotizzata la presenza di ateliers locali e/o regionali che distribuivano i propri prodotti su un'area più o meno ampia3. Per quanto riguarda la struttura degli ateliers padani, sono state fatte solo ipotesi. Alcuni studiosi pensano a filiali in Italia settentrionale, collegate alle grandi officine ceramiche centro-italiche di età tardo-repubblicana, ed anch'esse di grandi dimensioni. Altri studiosi propendono per una pluralità di piccole manifatture locali4. Questa ceramica deriva dall'imitazione di prodotti in metallo, i cui primi modelli furono le situle bronzee dell'età del ferro5, anche paleovenete, alle quali si aggiunse l'influsso della ceramica greco-ellenistica. Difficile è tuttavia individuare i confini precisi della classe, ossia definire quali caratteristiche la classe in questione deve avere per essere differenziata dalla ceramica comune6. I prodotti a pareti sottili rientrano nella suppellettile fine da mensa e, con la definizione di "pareti sottili", tradizionalmente, vengono compresi Ì vasi potori, ossia bicchieri, ollette, coppe, che per lo spessore ridotto delle pareti non rientrano nella più ampia classe della ceramica comune. In realtà la questione è più complessa, in quanto bisogna valutare se lo spessore sottile delle pareti sia sufficiente quale parametro per includere o meno un reperto all'interno di questa classe. Mancando per l'appunto una definizione universale, ma soprattutto attuale, gli specialisti si sono pronunciati al riguardo fornendo delle ipotesi molto valide. In Ricci si sottolinea come la definizione tradizionalmente adottata richieda alcune precisazioni e nel repertorio ne estende i confini, includendo vari vasi potori, indipendentemente dallo spessore delle pareti7. Anche in Mayet si evidenzia come la definizione di pareti sottili non sia soddisfacente, dato lo spessore molto variabile delle pareti e le dimensioni notevoli di alcuni esemplari, ma si ritiene che tale caratterizzazione sia ormai convenzionale8. Importante come criterio da adottare per includere o meno un vaso all'interno di questa classe ceramica è la valutazione, oltre che dello spessore delle pareti, delle caratteristiche morfologiche del vaso, delle decorazioni presenti e del trattamento delle superfici. Vi sono infatti decorazioni caratteristiche di questa classe9; per il trattamento delle superfici, ad esempio, le tecniche a sabbiatura e a steccatura sono tipiche. Tenendo conto di questi parametri, si è scelto di inserire in questa classe un frammento di parete piuttosto spessa, che presenta una decorazione a sabbiatura, ma soprattutto un impasto uguale ad altri cinque frammenti qui inclusi e di inserire anche un frammento di fondo, con pareti più sottili, ma con impasto proprio della ceramica comune grezza (cat. imp. n. 24C). Quest'ultimo, in particolare, fa parte di quelli che molti studiosi definiscono "imitazioni delle pareti sottili", poiché le superfici vengono trattate con una certa accuratezza e si può scorgere l'intenzione di riprodurre forme e/o decorazioni proprie della ceramica a pareti sottili10.

La frammentarietà dei reperti di Sambruson, dovuta proprio alle ridotte dimensioni ed allo spessore esiguo delle pareti, ha reso difficoltosa l'analisi e l'identificazione dei pezzi, i quali sono stati comunque ricondotti alla classificazione della Ricci e, ove possibile, a quella della Marabini Moevs11 e della Mayet12. La maggior parte dei frammenti, cinque per l'esattezza, appartiene a coppette; vi è poi un frammento di bicchiere con pareti molto sottili e i rimanenti sono tre frammenti di pareti decorate. Nel totale, due sono i frammenti di orli, ma uno di questi non è identificabile, poiché il pezzo rimasto è troppo piccolo per poter risalire alla forma originaria e non è pertanto disegnabile. Per quanto riguarda i fondi, l'attribuzione ad una forma specifica si è realizzata per confronto, ma rimane comunque un'ipotesi, in quanto mancano l'orlo e il corpo, che individuerebbero con certezza la forma.

Gli impasti della classe in questione sono di quattro tipi. Il tipo maggiormente attestato è un impasto grigio chiaro molto depurato e liscio, che si ritrova in sei dei frammenti esaminati e che è tipico dell'area veneta13 (cat. imp. 34). Il frammento di orlo disegnato e quello non disegnabile presentano una colorazione grigia e una consistenza dura e ruvida, con forte presenza di inclusi di dimensioni molto piccole, che danno al vaso un aspetto ruvido, con molta probabilità voluto (cat. imp. n. 37). L'impasto rosato (cat. imp. n. 35), depurato e compatto, simile ad un impasto della terra sigillata14 anche se questo si presenta più duro e secco, si ritrova in un solo frammento (cat. imp. n. 36). Lo stesso vale per l'impasto rosso scuro, con frequenti inclusi bianchi molto piccoli e arrotondati, distribuiti in modo uniforme e che lo rendono ruvido (cat. imp. n. 35). La principale area di produzione della ceramica a pareti sottili è la penisola italica. Sembra infatti che i primi esemplari siano stati prodotti in Etruria e nel Lazio settentrionale nei primi anni del II sec. a.C., con la produzione di poche forme. Nel secolo successivo la situazione cambia notevolmente, vengono prodotte un gran numero di forme e nascono nuove officine a livello locale e regionale, che producono ceramica a pareti sottili. Vengono prodotte coppe con gran varietà di forme e aumenta la quantità di vasi decorati. Gli impasti confermerebbero questa tendenza, dato che sembrano tutti locali.

In Ricci vengono individuate diverse aree di produzione nella penisola italica, in particolare una nell'area adriatica e una nella Valle Padana orientale15.1 reperti attribuibili a quest'ultima area vengono divisi dall'autrice in tre gruppi: il primo prodotto ad Aquileia16, il secondo di probabile produzione ravennate e l'ultimo che comprende esemplari provenienti sicuramente da quest'area, ma per i quali non è possibile stabilire un'attribuzione più precisa17. Per quanto riguarda la cronologia dei vasi prodotti in quest'area, i dati a disposizione indicano un arco cronologico che si concentra nella prima metà del I sec. d.C., ma tale periodo può coprire anche tutto il secolo. I vasi prodotti dai vari centri italici vengono smerciati in tutto il Mediterraneo, e la ceramica a pareti sottili comincia ad essere creata anche nei centri delle province, specialmente nelle regioni della Gallia e nel territorio della Betica18 in Spagna. Nel corso del II sec. d.C. la produzione di questa classe ceramica viene lentamente abbandonata, successivamente anche nei centri provinciali, con un progressivo impoverimento e la standardizzazione delle forme dalla seconda metà del I sec. a.C.19 fino all'esaurimento della produzione.

Per quanto riguarda Sambruson, la maggior parte dei frammenti è riconducibile a delle produzioni dell'area adriatica e della Valle Padana orientale, anche se solo per Aquileia la produzione è certa20, mentre un frammento (cat. n. 48) attesta una produzione della Valle Padana centro-occidentale. Per altri materiali la forma si presenta uguale a vasi prodotti in Italia centrale, ma gli impasti sono tipici dell'area veneta, in particolare l'impasto grigio, cotto in ambiente riducente. Si può pertanto ipotizzare l'imitazione in ambito locale o regionale di vasellame proveniente dall'Italia centrale.

Tutti i frammenti rinvenuti a Sambruson possono essere attribuiti a produzioni locali e/o regionali, che mantennero per tutto l'arco di tempo della produzione una diffusione territorialmente limitata, presumibilmente da individuarsi all'interno dell'area veneta21, anche se per alcune produzioni aquileiesi la situazione è stata differente, in quanto la diffusione di tali prodotti fu tale da coprire sia le coste occidentali, sia quelle orientali del mare Adriatico, arrivando probabilmente fino ai mercati del Mediterraneo orientale22. A Nord di Aquileia questi prodotti sembrano attestati solo nel Magdalensberg23 e la loro cronologia rimanda in modo generico al I secolo d.C., in particolare alla metà del secolo, ma per certi tipi perdura fino alla fine del secolo24 e può anche oltrepassarlo. Di seguito si forniscono le informazioni sui frammenti rinvenuti a Sambruson, suddivisi per forme. Le decorazioni su questi esemplari sono piuttosto semplici e vanno dalla steccatura, alla sabbiatura, all'incisione, alla decorazione a rotella. La sabbiatura, presente a Sambruson su due pezzi e comunque piuttosto frequente in questa classe ceramica, si afferma nel terzo quarto del I sec. a.C.25

Anche Sambruson conferma, nonostante la scarsità dei frammenti, la preferenza, dall'età augustea in poi, per le forme basse e di dimensioni ridotte, in genere per le piccole coppe. Uno solo è il frammento appartenente ad un bicchiere dal corpo allungato, caratteristico delle prime produzioni. Cinque sono poi i frammenti che presentano un rivestimento (ingobbio), color grigio scuro; anche quest'ultimo è una caratteristica della produzione che si afferma dalla seconda metà del I sec. a.C.

FORME CHIUSE BICCHIERI

Un solo frammento delle pareti sottili di Sambruson appartiene a tale forma ed è il fondo di bicchiere tipo Ricci 1/212 (cat. n. 44), bicchiere ovoide con parete che si restringe verso il fondo, che si presenta piatto. L'argilla è di colore grigio chiaro con una ingobbiatura molto diluita, anch'essa di colore grigio, ma di tonalità molto più scura dell'argilla26. La cronologia di questo bicchiere rimanda alla metà del I sec. d.C. Esemplari di questa forma sono stati rinvenuti sulle coste settentrionali dell'Adriatico, ad esempio ad Aquileia27, ma si ritrovano anche a Milano28. Questo bicchiere è proprio delle produzioni dell'area adriatica e della Valle Padana orientale, anche se non è possibile stabilire una attribuzione più specifica29. Si può vedere come questa forma si ritrovi in gran parte dell'Italia settentrionale, da Aquileia a Milano.

FORME APERTE COPPE

La coppa è la forma più attestata a Sambruson. Sono cinque i frammenti che la rappresentano, in particolare un orlo e quattro fondi.

Ricci 2/406 (Marabini XXXVI; May et XXXV)

L'orlo30 è del tipo Ricci 2/406, che coincide con la forma Marabini XXXVI& con la forma Mayet XXXV (cat. n. 43). Si tratta di una coppa emisferica, con orlo che può essere dritto o leggermente inclinato verso l'interno, come in questo caso. E una forma che si ritrova in tutta la penisola. Considerando il tipo di impasto grigio si può supporre una produzione padana che imita modelli medioitalici, che precedentemente venivano importati, piuttosto che pensare ad un'importazione diretta dall'Italia centrale. L'argilla nel nostro caso è grigio scuro, mentre in esemplari centro-italici è attestata un'argilla biancastra31. La cronologia di questi prodotti può essere collocata a partire dalla metà del I sec. d.C.32 Anche questa forma trova confronti nell'Italia settentrionale, dal Friuli alla Lombardia33.

Ricci 2/405 (Mayet XXXIII)

II frammento di fondo tipo 2/40534 equivale alla forma Mayet XXXIIL Si tratta probabilmente di una coppa emisferica con fondo apodo39 (cat. n. 45). L'argilla di questo tipo, molto ben depurata, di colore grigio chiaro, sembra presentare le caratteristiche dell'area di produzione della Valle Padana centro-occidentale. Stessi tipi si ritrovano a Luni36 e nel Magdalensberg37. Questa forma veniva prodotta ad Aquileia e la provenienza è resa sicura per il rinvenimento di scarti di fornace appartenenti a tale forma. Per determinare la cronologia del gruppo di vasi prodotti ad Aquileia sono di grande aiuto i dati relativi ai rinvenimenti del Magdalensberg38. Le coppe provenienti da Aquileia appaiono, nel Magdalensberg, in quantità rilevante nella prima età augustea e costituiscono una delle presenze più consistenti in età tiberiana, per poi diminuire negli anni seguenti. Il colore dell'impasto dei frammenti aquileiesi può variare dal bruno-grigio al grigio chiaro, e quest'ultimo è il colore del frammento preso in esame. Il frammento ambrosiano presenta lo stesso colore di impasto dei pezzi prodotti ad Aquileia, mentre non coincide l'esistenza massiccia di inclusi presenti in questi ultimi: l'impasto infatti appare ben depurato.

Ricci 2/230

Viene poi la coppa tipo Ricci 2/230 (cat. n. 46), che può presentarsi con il fondo piatto, come in questo caso, o leggermente convesso. Questo tipo è legato alle coppe Ricci 2/405 per la forma e la solcatura a metà del corpo, ma qui manca la parte superiore del vaso. L'impasto è grigio chiaro ben depurato, ma in tale forma può presentarsi anche di colore bruno chiaro39.

Ricci 21407 (Marabini XXXVI; MayetXXXV)

Altra coppa è il tipo Ricci 2/407 (cat. n. 47), che coincide con Marabini XXXVI t Mayet XXXV. E una coppa tendenzialmente emisferica. L'argilla è di colore rosso scuro con inclusi bianchi di piccole dimensioni, ma ben visibili e la superficie esterna non presenta ingobbiatura né decorazione. E difficile fare ipotesi sul luogo di produzione di questo esemplare, per le caratteristiche particolari dell'impasto, di probabile fattura locale. Si può pensare che l'Italia svolgesse ancora un ruolo importante; tuttavia anche i centri provinciali dovettero probabilmente produrre questo tipo di vasi che costituiscono un prodotto caratteristico dell'area mediterranea. Gli unici dati cronologici a disposizione riguardano le stratigrafie di Cosa e di Ostia. A Cosa, coppe di questo tipo, sono attestate soprattutto nell'età tiberio-claudio. Ad Ostia la loro presenza sembra continuare per tutto il I sec. d.C., mentre le attestazioni in età antonina sono minime.

Ricci 2/412

Per ultima viene analizzata la coppa tipo Ricci 2/412 (cat. n. 48). E una coppa a pareti inclinate verso l'esterno. Il fondo si presenta leggermente convesso. L'impasto è duro, secco e ben cotto ed è di colore rosso-giallastro. È decorato a steccatura e sabbiatura. Questo frammento presenta pareti leggermente più spesse dei precedenti. La cronologia di Cosa rimanda all'età augustea; la stessa forma si ritrova anche in Spagna40.

PARETI

Tre sono i frammenti di pareti e presentano tutti decorazioni tipiche della classe in esame. La prima parete (cat. n. 49) presenta una decorazione simile alla numero 43 in Ricci41, ossia una decorazione costituita da una fitta serie di linee orizzontali incise parallele, incrociate con linee verticali maggiormente distanziate le une dalle altre. Nel frammento preso in esame le linee orizzontali sono curve e quelle verticali si presentano radiali. La seconda parete (cat. n. 50) evidenzia una decorazione a rotellatura uguale alla numero 5b in Ricci42: una serie di lineette incise ad una distanza di 1 mm una dall'altra. Entrambi i frammenti presentano uno strato di rivestimento grigio scuro43 (meglio conservato sul primo frammento), probabilmente al fine di riprodurre l'effetto dei vasi metallici. Considerando lo spessore di queste pareti e la decorazione con ingobbiatura delle superfici, si può ragionevolmente pensare che questi due frammenti fossero pareti di bicchieri o di ollette. Ulteriori suddivisioni sarebbero improduttive, poiché anche con frammenti di maggiori dimensioni la divisione tra bicchieri e ollette è piuttosto ardua44, date le molte affinità.

L'ultima parete (cat. n. 51) analizzata è quella di spessore leggermente maggiore rispetto alle altre e presenta una decorazione a sabbiatura e parte della decorazione n. 17 della classificazione Ricci45. Tale decorazione è costituita da bastoncini allungati leggermente ingrossati da un lato e presenta spesso caratteristiche di notevole irregolarità.

PRODOTTI DI IMITAZIONE

Come "imitazione di pareti sottili" si è considerato un frammento di orlo (cat. 52) e un fondo (cat. n. 53), che presentano l'impasto caratteristico della ceramica comune grezza, con più bassa frequenza e minore dimensione degli inclusi (cat. imp. 24C). I due frammenti di fondo sono di piccole dimensioni e, per inserirli in questa classe, si è usato il criterio delle dimensioni minute e delle pareti particolarmente sottili. L'orlo, composto da due frammenti unibili, presenta sulla spalla una decorazione molto semplice a linee oblique incise, simile al tipo 11 in Ricci46. Per quanto riguarda il fondo, data la frammentarietà, non è possibile valutare se le pareti abbiano ricevuto una particolare attenzione e tanto meno se esse presentino una decorazione. Due frammenti sono però troppo pochi per poter fare considerazioni attendibili su questo particolare gruppo delle pareti sottili di Sambruson.


TERRA SIGILLATA

CONSIDERAZIONI

I materiale in terra sigillata proveniente dagli scavi del Vanuzzo è costituito da un totale di 33 frammenti, di cui 8 frammenti di pareti non disegnabili (taw. dis. LVI/B-LX). Si è cercato di suddividere i reperti in base alle diverse produzioni, ma non sempre questa operazione è risultata semplice, a causa delle dimensioni ridotte di alcuni frammenti del cattivo stato di conservazione di altri. La produzione maggiormente attestata a Sambruson è quella nord-italica liscia. Tre frammenti, però, di cui una parete, sono riconducibili ad una produzione di maggiore qualità rispetto agli altri, sia per quanto riguarda l'impasto, sia per la natura della vernice e attribuibili o alla terra sigillata italica o ad una nord-italica di migliore fattura, ad esempio prodotta in una succursale di una fabbrica aretina1. Un solo frammento appartiene alla produzione di terra sigillata africana, mentre un frammento di fondo non è stato attribuito ad alcuna produzione, poiché presenta una forma anomala per questa classe ceramica, molto simile a due frammenti di ceramica comune depurata presenti a Sambruson (cat. n. 67). Anche l'impasto del frammento in esame è più vicino alla comune depurata (cat. n. 167,168) che alla terra sigillata di Sambruson e la vernice è purtroppo conservata in minima parte; ciò rende ancora più difficile fare delle considerazioni attendibili. Tale forma potrebbe appartenere ad una produzione locale, forse realizzata in un'officina che produceva anche ceramica comune depurata, considerando il fatto che gli impasti delle due classi non differiscono in modo sostanziale. Il frammento in esame quindi potrebbe appartenere a quelle manifestazioni locali o regionali di produzione di ceramica fine. Su cinque frammenti di fondo sono presenti dei bolli in planta pedis (cat. nn. 63-65, 70 e 77), uno leggibile quasi interamente, uno di cui sono leggibili solo le prime due lettere e infine tre bolli illeggibili di cui rimane solo il contorno. È presente anche un marchio in cartiglio rettangolare, sviluppato su due righe, completamente leggibile.

La produzione ceramica di terra sigillata, che si è sviluppata nella Cisalpina, sicuramente ha risentito dell'influsso delle fabbriche di Arezzo, in particolar modo nel primo periodo di attività, che nel complesso è durata a lungo, anche dopo che le officine arretine ebbero terminato di operare2. Gli studi sulla ceramica del Magdalensberg, presso Klagenfurt, sono molto importanti per meglio comprendere le produzioni padane, in quanto numericamente ingenti sono state le importazioni di sigillata padana, ma anche di altre classi materiali fino all'età claudia, quando si esaurisce la vita dell'insediamento; pertanto sembra di poter affermare che l'inizio della produzione padana sia notevolmente precoce, databile all'ultimo quarto del I secolo a.C., seguendo di poco lo sviluppo di quella aretina3. È molto probabile che gli stessi produttori aretini abbiano anche aperto succursali nella pianura padana4, facendo in tal modo concorrenza agli stessi prodotti aretini, che difatti in area padana non conoscono una diffusione consistente. La compresenza di filiali aretine e di fabbriche locali, oltre alle ragioni cronologiche, potrebbe anche spiegare l'esistenza, nella terra sigillata nord-italica, di tipi diversi, sia per argilla che per vernice: da una parte un'argilla di colore più scuro, nel caso di Sambruson i frammenti presentano un colore rosa di tonalità più scura rispetto agli altri frammenti di comune nord-italica, ben depurata e ben cotta, con vernice rossa piuttosto lucente, che ricorda molto quella dell'aretina, peraltro più corallina; dall'altra un'argilla polverosa, chiara, con vernice opaca, diluita, che tende a sgretolarsi, come comunemente si ritrova nella sigillata nord-italica5. La produzione nord-italica sin da subito si è differenziata dall'aretina, oltre che per la minore qualità del vasellame, anche per una diversa fedeltà alle forme, che vengono riprodotte o modificate per lo più nel senso di un ispessimento della parete con conseguente semplificazione del profilo. La maggiore diffusione della ceramica di fattura padana viene raggiunta senza dubbio dalle forme di piena età augustea: la produzione nord-italica dunque, fiorente per tutto il I sec. d.C., sembra perdurare almeno fino alla metà del IL.

Le officine padane di terra sigillata liscia documentano una produzione artigianale, che vede in prevalenza nomi singoli di fabbricanti, per lo più privi di lavoranti; questa organizzazione appare ben lontana dal quella quasi "industriale" raggiunta prima dalle officine di Arezzo, poi da quelle galliche.

Nell'Italia nord-orientale ha grande rilevanza come centro produttore Aquileia, importante come nodo stradale e passaggio obbligato verso il Norico e la Pannonia (Ungheria), dove sono documentati una grande quantità di marchi di fabbrica su sigillata padana liscia. Ad Aquileia doveva essere pertanto localizzata una fornace, di cui però non sono stati rinvenuti gli scarti della lavorazione6.

Per quanto riguarda lo studio della terra sigillata italica e nord-italica, non ci sono le difficoltà esistenti per le altre classi ceramiche, poiché per tale classe di materiale molti sono i repertori che si possono utilizzare per individuare le forme dei reperti, repertori che per comodità vengono così citati: Dmgendorff, Ritterlin^, Guodineau9, Mazzeo10, Pucci11, Conspectus12 e, dove possibile, le forme vengono ricondotte a quelle dei servizi di vasellame rinvenuti ad Haltern. In particolare, Pucci e Mazzeo Saracino nel primo volume dell'Atlante delle Forme ceramiche II trattano rispettivamente della terra sigillata italica e di quella nord-italica. E importante sottolineare il fatto che gran parte delle tesi degli autori dei precedenti repertori, almeno fino al 1970, sono oggi superate, ma va detto che si dimostra ancora utile adottare le loro classificazioni morfologiche13. Per il frammento di produzione orientale (cat. n. 62) si è invece utilizzato il repertorio di Hayes14 sulle terre sigillate orientali, pubblicato nell'Atlante delle forme ceramiche II e in particolare si è utilizzata la sezione relativa alla ceramica Eastern Sigillata B.

Per la classificazione si è scelto di utilizzare in primo luogo la tipologia contenuta in Conspectus, ossia il più recente dei repertori a cui si fa riferimento e di far seguire poi, ordinati in ordine cronologico, le tipologie di altri repertori, dove emergessero eventualmente dei confronti. Per delineare un quadro completo sono state anche riportate le concordanze con siti dell'area nord-italica che abbiano restituito materiale della classe ceramica qui esaminata. Per quanto riguarda gli impasti, cinque sono i tipi individuati per questa classe ceramica. Il primo (cat. imp. n. 37) appartiene alla probabile terra sigillata italica o nord-italica di alto livello; il secondo (cat. imp. n. 38) alla terra sigillata comunemente rinvenuta nel nord Italia, di più scarsa qualità; il terzo (cat. imp. n. 39) ad una buona produzione di nord-italica a matrice ferrosa; il quarto impasto, relativo alla classe ceramica in esame (cat. imp. n. 40), appartiene alla terra sigillata orientale; l'ultimo (cat. imp. n. 78) è presente nel frammento non attribuibile ad alcuna produzione, ma che evidenzia notevoli affinità con la ceramica comune depurata, tanto da ipotizzare una produzione in una officina che contemporaneamente produceva terra sigillata e ceramica comune depurata. La vernice conservatasi su questo frammento è scarsa e se ne trovano tracce solo nel solco circolare esistente all'attacco tra piede e parete, ossia sulla porzione di superficie più protetta dagli agenti esterni. Considerando la scarsità di dati a disposizione, ossia la mancanza quasi totale di vernice e il fatto che il frammento in esame è un fondo, è difficile trarre delle considerazioni affidabili. I colori degli impasti di sigillata nord-italica non differiscono di molto tra loro e presentano tonalità che vanno dal rosa chiaro al rosa più intenso, per i frammenti di produzione dubbia15. Vi sono poi frammenti che presentano un impasto a matrice ferrosa, che con la cottura è diventato rosa molto intenso, tendente al rosso. A variare in questi impasti è la porosità, che tende a diminuire più la qualità aumenta. L'impasto del frammento non attribuibile ad alcuna produzione è rosso aranciato (cat. n. 78), mentre quello della terra sigillata orientale, come comunemente si presenta, è rosa aranciato (cat. n. 62).

TERRA SIGILLATA ITALICA O SIGILLATA NORD-ITALICA

Sono presenti tre frammenti attribuibili alla terra sigillata italica o ad una produzione di alta qualità nord-italica. Un frammento di orlo di patera (cat. n. 54), un frammento di fondo con parte iniziale di un bollo (cat. n. 77), quasi sicuramente in planta pedis, di cui rimane solo il contorno, e un frammento di parete con evidenti segni di tornitura sulla superficie interna. I frammenti sono ricoperti da uno strato compatto di vernice piuttosto spessa, rossa e lucida, a differenza di molti esemplari aretini che presentano sì una vernice lucida, ma di colore aranciato16e presentano un impasto più depurato e compatto rispetto agli altri frammenti di nord-italica17.

PATERE

Conspectus 21.3(Dragendorff 3, 15/17 tipo B; Goudineau 28; Mazzeo20B; Pucci IX18; Haltern 3

Patera (cat. n. 43) caratterizzata dalla tripartizione della parete, che presenta un tratto convesso tra la parte superiore verticale ed il fondo. In questa forma comuni sono le scanalature sulla superficie esterna19, che anche il frammento in esame presenta. Dal punto di vista cronologico la patera è attestata dall'età augustea o tardo-augustea nella produzione aretina come Dragendorff 15/17, ma ha una grande diffusione tra i ceramisti nord-italici, che la adottano e la sviluppano nella versione Dragendorff3 dall'età tiberiana. Ha termine nel periodo flavio e, infatti, negli scavi è assente negli strati relativi a tale periodo. La cronologia di tale forma copre quindi il periodo che va dagli inizi del I secolo d.C. fino al periodo flavio, ma si può trovare fino alla fine del secolo20. Il frammento qui studiato di orlo e parete con carenatura, nonostante le esigue dimensioni, è possibile riferirlo alla varietà B di Mazzeo Saracino. I confronti risultano numerosi soprattutto in ambito lombardo, ma ve ne sono anche ad Aitino.

FRAMMENTI NON CLASSIFICABILI

Vi è poi un altro frammento di questa particolare produzione, ossia un frammento di fondo di piccole dimensioni (cat. n. 66) con il piede appena accennato, forse una coppetta, anche se la mancanza della parete non permette di dirlo con certezza, che sulla superficie interna presenta la parte finale di un bollo in planta pedis, purtroppo illeggibile. Il terzo frammento in esame è un frammento di parete molto piccolo, con evidenti segni di tornitura.

TERRA SIGILLATA NORD ITALICA

PATERE

Conspectus 12.1-12.4 (Dragendorffl6 tipo B; Goudineau 15/17> Mazzeo 11)

A Sambruson è presente un frammento di questo tipo di patera (cat. n. 64), di cui è conservato solo una porzione del fondo con piede ad anello e parte della carenatura; presenta un'argilla rosata e una vernice rossa e opaca, a macchie sulla superficie esterna del fondo. Questo tipo di patere viene prodotto in età augustea ed è tipico della produzione padana21. Esemplari analoghi si ritrovano ad Aitino22 in grande quantità, ma ne sono documentate alcune presenze nel bolognese e anche nel territorio lombardo23, compresa la città di Milano con pochi esemplari, alcuni dei quali presentano bolli di produttori padani24. Anche l'esemplare in esame esibisce un bollo sulla superficie interna, che è in plantapedis e riporta le lettere ERO[-]. Considerando le dimensioni del bollo, doveva mancare solo la lettera finale, in questo modo il bollo completo sarebbe stato ERO[S].

Studiando i bolli presenti sulla terra sigillata altinate, la Ravagnan individua due bolli riportanti il cognomen EROS, che identifica con un vasaio nord-italico i cui prodotti sono attestati a Ravenna, Aquileia, e nel Magdalensberg. Il bollo Eros è attestato in cartiglio su forme augustee e in planta pedis su forme tardo-augustee e liberiane25. La sua attività va pertanto posta tra il 10 a.C. e il 25/30 d.C. Degno di nota il fatto che il nome Eros compare anche su anfore26. Ad Aquileia, che ha restituito una enorme quantità di marchi di fabbrica di terra sigillata nord-italica liscia, doveva esservi sicuramente localizzata una fabbrica, che esportava grandi quantità di vasellame nel Norico, nella Pannonia, ma anche nella stessa Italia nord-oriantale. Ancor oggi mancano, però, le prove materiali di strutture e scarti di fornace27. Dallo Oxè Comfort è attestato un vasaio con lo stesso nome che operava nella valle del Po28, la cui attività è indicata dal 10 a.C. al 20 d.C. E Attestato con bollo rettangolare o in planta pedis; su coppe tronco-coniche o su Conspectus 26127'e su una coppa di Campana. I due vasai, aquileiese e padano, potrebbero coincidere considerando che l'arco cronologico del loro operato è lo stesso.

Dragendorff 18131; Mazzeo 27

Databile entro la prima metà del I secolo è questa patera, che può arrivare fino al II secolo inoltrato29. Essa si rinviene più frequentemente nella variante Mazzeo 27 b, ma talvolta anche nella 27 a, come in questo caso e le caratteristiche di quest'ultimo tipo la avvicinano alla forma Drag. 18/31. La diffusione di questa forma è su vasta area, infatti è attestata in tutto il territorio lombardo e relativamente pochi sono gli esemplari bollati.

PIATTI

Dragendorff 18

Frammento di orlo (cat. n. 56) di piatto con carenatura arrotondata, scarsamente documentato in ambito nord-italico30. Morfologicamente questa forma è caratterizzata da una vasca bassa, orlo e carena arrotondati.

Conspectus 4.4 (Dragendorff32; RitterlingI; Gaudineau 19 e; Pucci VI varietà 6)

Piatto (o patera) con orlo distinto (cat. n. 58), bassa vasca e pareti arrotondate. Questa forma è presente nel Servizio III di Haltern, in particolare il tipo 4a. Gli antecedenti sono da ricercare nella ceramica a vernice nera. E una forma prodotta in un arco di tempo molto lungo, infatti è attestata in età augustea, ma si ritrova anche successivamente. Fu prodotta dalle officine italiche ma anche da quelle provinciali31, ma rimane comunque poco numerosa32. Vi è poi un pezzo molto frammentario non riconducibile ad una forma particolare, ma che trova confronti con un esemplare di Luni33. Potrebbe trattarsi di un piatto o di un tegame, dato che presenta un fondo apodo arrotondato sul piano di appoggio.

COPPE e COPPETTE

Conspectus 8.1 (Goudineau 534; Mazzeo 7; Pucci XIX varietà 1)

Coppe a pareti svasate35 con breve orlo estroflesso e piede ad anello. Fanno parte di questa forma tre frammenti di orli (cat. nn. 59, 61), di cui due appartenenti ad un unico vaso ma non unibili e due frammenti di fondi. Gli orli presentano pareti svasate con orli estroflessi ingrossati esternamente, ma un tipo con profilo arrotondato (cat. n. 59), l'altro appuntito verso l'esterno (cat. n. 61). Questa forma, ancora legata alla produzione a vernice nera36, richiama la forma Lamboglia 2837 e fa un'apparizione precoce anche nella terra sigillata, prima del 30 a.C., a Bolsena38. Esemplari di fabbrica padana provengono dal Magdalensberg39, in particolare datati all'ultimo quarto del I sec. a.C.40 e presentano parete più o meno alta e svasata, tendente ad innalzarsi. L'orizzonte cronologico è indicato dal 20 a.C. al 15 d.C.41 Questa forma trova confronti in tutto il Veneto, in particolare a Padova42 ed è comune anche in Lombardia43.

Conspectus 14

Una coppa di età augustea abbastanza diffusa è la coppa Conspectus 14, attestata a Sambruson nelle varianti 14.1, 14.2 e 14.4, la prima e la terza comuni anche in alcune aree dell'Italia occidentale44. Tale forma risente fortemente degli influssi italici, ma viene prodotta anche nella pianura padana. Si tratta di una delle prime forme di terra sigillata aretina che si ritrovi ad Haltern e corrisponde alla numero 7 del servizio I di Haltern^.

Conspectus 14.1 (Goudineau 18/24; Mazzeo 10; Pucci XX varietà 3)

Frammento di orlo e parete (cat. n. 47) di coppetta a parete svasata, con orlo estroflesso a profilo triangolare, con scanalatura superiore. Rispetto alla forma Goudineau T*6, l'orlo si accorcia, la sua parte pendente si accosta alla parete, fino a diventarne quasi un ingrossamento. L'adozione di tale forma da parte delle officine nord-italiche, che la semplificano notevolmente, sembra molto precoce: nel Magdalensberg47 compare dal 20 a.C. e dura fino in età liberiana, intorno al 15/20 d.C.

Simile a Conspectus 14.2 (Goud. 13 o 18/24; Mazzeo 10; Pucci XX varietà 9)

Frammento di orlo di coppetta (cat. n. 46) con orlo leggermente estroflesso a profilo sub­triangolare, con scanalatura superiore. Rispetto alla forma Goudineau T48, l'orlo si accorcia, la sua parte pendente si accosta alla parete, fino a diventare un ingrossamento. Questa forma è una semplificazione della Conspectus 14. L

Conspectus 14.4 (Dragendorff. 24/25; Goudineau 13/16; Mazzeo 10; PucciXX varietà 3)

Coppetta su piede ad anello con parete svasata e attacco della parete col fondo arrotondato e probabile corpo tronco-conico (cat. n. 63). Nasce come produzione italica, ma la sua adozione da parte delle officine nord-italiche, che la semplificano notevolmente, sembra molto precoce nel Magdalensberg, dove compare dal 20 a.C. e dura fino all'età liberiana (15/20 d.C.); infatti non si trova nella Pannonia nord-occidentale e ciò fa pensare che all'epoca della romanizzazione di quella regione, in età tiberio-claudia, la forma fosse già in disuso49. DÌ parere diverso si mostra Della Porta, che per questo tipo, data la fabbricazione da parte dei ceramisti padani intorno alla prima età tiberiana (attestata dai bolli). In particolare, con un decadimento tecnico della produzione ed un ispessimento delle pareti, Della Porta afferma che la forma viene prodotta in grande quantità dai ceramisti padani dalla seconda metà del I sec. d.C.50 Infatti è la forma che in assoluto ha ricevuto più successo commerciale in Lombardia.

Di particolare importanza sono i marchi di fabbrica, poiché possono attribuire con certezza i prodotti a determinate officine e possono permettere di riconoscere filiazioni di officine, rapporti di lavoro, luoghi di produzione e traffici commerciali51. A Sambruson è presente un solo frammento di Conspectus 14.4, per cui non è possibile fare considerazioni ulteriori. Importante è però il bollo in cartiglio rettangolare completamente leggibile presente sulla superficie interna: FELIXSARI.

Nell'Oxè Comfort è attestato un Felix Sarius, che con molta probabilità aveva come prenomen Lucius, operante nella valle del Po dal 5 a.C.52 Questo bollo è attestato su di una forma di coppa emisferica, di cui però non è specificato il tipo, presente nel Magdalensberg dal 1 d.C.

Dragendorff 8; Ritterling9; Goudineau 4Ih; Mazzeo 17; PucciXXIX

Coppa carenata in cui il punto di carena è generalmente accentuato con parete verticale o leggermente obliqua (cat. n. 66). Il piede, sempre molto basso, è ad anello inclinato verso l'esterno e a profilo curvilineo. Presente ad Haltern, dove rientra nel servizio IV, tale forma è datata al secondo decennio del I sec. d.C. dal Goudineau. Il quadro delle forme di origine aretina prodotte anche da ceramisti padani si completa con questo tipo di coppe che, di poco posteriori nella produzione nord-italica, sembrano avere un'esistenza prolungata, almeno fino agli inizi del II secolo53. Il notevole prolungato successo di queste coppe è dimostrato anche dalla grande quantità di bolli attestati, in cartiglio rettangolare ed in planta pedis. Corrisponde in parte ad Haltern 15 b, di cui rappresenta tuttavia un'evoluzione. È il tipo di gran lunga più diffuso nella produzione padana. Per quanto riguarda il frammento di fondo di Sambruson, esso presenta un bollo m planta pedis molto consunto e pertanto non leggibile. Nonostante per questa forma sia attestato, tra gli altri, anche il bollo FELIXSARI e tale bollo sia presente in un'altra coppetta di nord-italica a Sambruson, non è possibile ipotizzare la presenza dello stesso bollo su questo pezzo, in quanto le dimensioni ancora visibili non lo permettono54. L'area di diffusione di tale forma è molto estesa e comprende gran parte dell'Italia settentrionale padana, da Torino a Cividale e a sud fino a Ravenna, ma vi sono attestazioni anche oltralpe, nel Magdalensberg. La Ritterling 9 è utilizzata anche dai ceramisti gallici55. In Lombardia56 i bolli indicano, come quelli delle altre patere, sia importazioni dirette dall'Italia centrale, sia produzione in botteghe padane.57


TERRA SIGILLATA ORIENTALE

Eastern Sigillata B: Hayes 6058

Piatto a fondo piano con parete molto obliqua ed orlo sporgente e leggermente inclinato verso l'interno a sezione sub-triangolare (cat. n. 62), che si congiunge alla parete della vasca con una rientranza all'esterno e presenta due scanalature all'interno nel punto di congiunzione con la parete. L'esemplare di Sambruson, piuttosto frammentario, corrisponde al tipo cosiddetto "tardo", nel quale l'orlo diviene più grande, con rilevante sporgenza in basso e parte interna superiore convessa. Altra caratteristica degli esemplari più tardi è una risega piuttosto pronunciata alla congiunzione interna del fondo con la parete59, in questo frammento non valutabile a causa della mancanza della parte inferiore del vaso. Gli esemplari più recenti sono di dimensioni maggiori (diametro medio di 15-18 o 22-30 cm) rispetto a quelli più antichi (diametro medio di 14-20 cm).

L'argilla è micacea e l'esemplare analizzato presenta un colore di tonalità tendente all'arancio, che in queste forme può variare dall'arancio chiaro al nocciola, mentre la vernice è mal conservata e si trova solo su due piccole aree vicine e pertanto non se ne riesce a vedere precisamente la tonalità. Questi tipi di esemplari presentano solitamente una vernice di colore arancio opaca a chiazze, fluida e che tende a staccarsi in modo scagliforme.

I tipi più antichi, in EB /, datati dal 50-60 all'80-90 d.C., sono caratterizzati invece da basso orlo, pareti sottili e diametro compreso tra cm 14 e 20, mentre i frammenti di produzione più tarda, in EB II, possono arrivare fino alla metà del II secolo d.C e presentano un diametro medio o grande. Questi piatti sono tra le forme più comuni e diffuse60, tanto che avevano una grande diffusione in tutto l'Impero. Nella penisola italica, si ritrovano in modo particolare al Sud, a Napoli e ad Ostia. Da tenere in considerazione il confronto con esemplari dello stesso tipo dell'Agorà di Atene61, sia in ES B /, più antica, che in ES BII, più tarda. I due tipi corrispondono rispettivamente alla Samian B e alla Samtan A di Robinson degli scavi dell'agorà di Atene62.


CERAMICA COMUNE

Scarsi sono ancor oggi gli studi specifici relativi alla ceramica comune1 e ciò rende particolarmente difficile lo studio di questa classe ceramica e la possibilità di darne una definizione precisa2; non è, infatti, ancora chiaro quali materiali vadano compresi sotto la denominazione "ceramica comune". Sono stati adottati criteri diversi nella definizione dei materiali compresi nella classe. Non sembra più valida la proposta di considerare ceramica comune tutti i materiali prodotti e diffusi in ambito locale o regionale3, poiché è stato dimostrato che questi vasi potevano avere anche un'ampia diffusione4. La proposta di comprendere in questa classe tutti quei materiali destinati ad un utilizzo propriamente domestico, che presentino requisiti di funzionalità e basso costo, si presenta accettabile5. Si include, pertanto, sia il materiale destinato alla cottura degli alimenti, da fuoco, che quello destinato alla loro preparazione e conservazione, come pure quello utilizzato per la mensa. L'aspetto estetico gioca un ruolo secondario6. Nell'analisi dei reperti presenti a Sambruson è stata eseguita una distinzione di carattere funzionale, in base alla quale è stata prodotta una suddivisione in due gruppi: ceramiche utilizzate prevalentemente in cucina e ceramiche destinate per lo più alla mensa e alla conservazione delle derrate alimentari nella dispensa. Questo è stato realizzato tramite l'osservazione macroscopica degli impasti e delle superfici, che risultano così suddivisibili in frammenti con corpo ceramico grezzo, ricco di inclusi, con il quale si tende a formare pareti piuttosto spesse, quindi con caratteristiche compatibili con l'esposizione al fuoco e in frammenti con corpo ceramico depurato7. Con un impasto più depurato e quindi con la possibilità di ottenere pareti più sottili, vengono prodotti contenitori adatti alla conservazione dei cibi e utilizzati nella mensa, per contenere anche liquidi, come olpai, anforette, olle e coperchi. All'interno di questa macro suddivisione è stato poi possibile riconoscere delle grandi categorie funzionali: si possono ricordare a titolo di esempio le categorie utilizzate per lo studio delle ceramiche rinvenute nel territorio lombardo, quali i recipienti da cucina, come, ad esempio, quelli per la preparazione degli alimenti, i contenitori per versare liquidi, i recipienti per la conservazione nelle dispense o il vasellame da mensa. Tali gruppi non devono tuttavia considerarsi secondo rigidi parametri; risulta, infatti, difficile ricostruire la funzione che il vasellame aveva nell'antichità, in particolar modo quando si tenta di risalirvi solo attraverso la forma8. Il materiale è stato suddiviso per forme (olle, brocche, coppe, ...) secondo diversi raggruppamenti morfologici stabiliti in base a criteri di somiglianzà e/o diversità della forma dell'orlo. E stata individuata, ove possibile, l'esistenza di varianti all'interno di uno stesso gruppo, considerandole come variazioni di manifattura, intenzionali o comunque di lieve entità. Solo negli ultimi anni si è capita l'importanza di studiare questo tipo di materiali e, da ancora meno tempo, quelli ascrivibili all'epoca romana; esistono infatti sufficienti pubblicazioni riguardanti le ceramiche comuni delle altre epoche, ad esempio quella preistorica o medievale, mentre per il periodo qui studiato esigue sono le fonti a cui attingere. Di conseguenza, anche per l'area veneta, le pubblicazioni che la ceramica comune offre sono scarse e, eccetto qualche articolo e il recente e molto utile lavoro su Aitino9, bisogna rivolgersi ai grandi repertori della Lombardia, ossia agli scavi della Metropolitana di Milano10 e allo studio delle ceramiche della Lombardia dal II sec. a.C. al VII sec. d.C.11 Nonostante il carattere quasi prettamente locale e regionale di questa ceramica, la maggior parte delle forme si ritrova anche in tutta la Lombardia, anche se comunque si può osservare come alcune forme siano peculiari dell'area qui studiata, prodotte e circolanti, quindi, in aree più ristrette. Inoltre, si può notare come ad una determinata forma possano corrispondere varianti differenti nelle diverse aree analizzate12.

Nell'affrontare lo studio di questo gruppo di materiali, si incontrano delle difficoltà. Prima fra tutte il fatto che questa classe è la più attestata nei siti archeologici e restituisce pertanto una grande quantità di reperti. Non meno importante il fatto che questa classe abbia ricevuto in passato scarsa attenzione e da questo deriva il fatto che pochi sono gli studi specifici a cui fare riferimento per studiarla. Infine, poiché la loro funzione è essenzialmente legata ad un utilizzo pratico, queste classi ceramiche non sono soggette, nei secoli, a forti variazioni di forma o ad influenze della moda e mantengono piuttosto le loro caratteristiche inalterate nel tempo, rendendo particolarmente complessa una precisa seriazione cronologica. Pertanto, si deve tenere conto del fatto che nel tempo subiscono scarsi e spesso insignificanti cambiamenti morfologici. Inoltre, nel caso di Sambruson, i reperti appartenenti a questo gruppo sono molto frammentari e ciò aumenta le difficoltà. Per quanto riguarda l'inquadramento cronologico, si è appena accennato al fatto che questa classe è caratterizzata da forme che rimangono per lo più inalterate nei secoli e che pertanto presentano un forte conservatorismo, proprio perché prodotte con fini soprattutto pratici e rispondenti per lo più a necessità funzionali. Per Sambruson la situazione è complicata dal fatto che non è stato condotto uno scavo stratigrafico e di conseguenza tutti gli strati indagati13 sono stati fusi insieme. Le cronologie che si propongono vengono espresse sulla base dei confronti con altri siti indagati con stratigrafia, dove è possibile individuare una cronologia attendibile e dove i confronti lo permettono.


CERAMICA COMUNE GREZZA

CONSIDERAZIONI SU QUESTA CLASSE CERAMICA E SUGLI IMPASTI

La ceramica comune grezza, per lunghi anni ritenuta di scarsa importanza e studiata solo in modo superficiale, o addirittura trascurata, solo negli ultimi anni è oggetto di studi sistematici1. Dapprima ritenuta di produzione locale, ora si è accertato che può essere anche di importazione2.

Data la mancanza di un repertorio tipologico per l'area veneta, i vari pezzi sono stati confrontati principalmente con i due più ricchi repertori a disposizione per l'Italia settentrionale3, ossia gli scavi della Metropolitana di Milano e le ceramiche della Lombardia.

Si è cercato di classificare Ì reperti considerando insieme sia il loro aspetto morfologico che quello funzionale. Il vasellame in ceramica comune grezza viene utilizzato per uso domestico e quotidiano, sia in cucina per la cottura dei cibi direttamente sul fuoco, sia come piccoli o grandi contenitori impiegati nella preparazione dei vari alimenti. Gran parte dei reperti appartenenti a questa classe ceramica presenta annerimenti dovuti all'azione del fuoco, in particolare sulle superfici esterne. All'interno di questa classe sono stati considerati anche i frammenti di dolio, che venivano utilizzati per l'immagazzinamento delle derrate alimentari4.

La ceramica comune grezza mantiene nel tempo una certa fissità morfologica, maggiore rispetto alla comune depurata5 che, essendo utilizzata anche per la mensa, poteva rispondere a gusti che cambiavano nel passare del tempo. Questa persistenza formale offre un lato positivo per lo studio affrontato, poiché permette il confronto con le varie forme all'interno di un lungo arco cronologico, ma si rivela anche un grosso problema, che nel caso di Sambruson aumenta, se si considera il fatto che non si ha alcuna informazione sul contesto di rinvenimento e pertanto risulta assai arduo fornire delle datazioni attendibili. Solo il confronto morfologico e tipologico può fornire orizzonti cronologici circoscritti nel tempo, almeno per quei reperti che presentano caratteristiche più particolari. Ma per quanto riguarda le forme più comuni, che non hanno subito sostanziali cambiamenti nell'arco dei secoli, ad esempio le olle con orlo ingrossato esternamente, si può solo indicare genericamente l'intero arco temporale della produzione stessa.

Il colore dei frammenti va dal nero al marrone e, ancora, al rosso-arancio in altri punti. Il corpo ceramico si presenta, in frattura, piuttosto grezzo, ricco di inclusi di grandi, medie o piccole dimensioni affioranti anche in superficie, con presenza costante di mica di piccole dimensioni. Varia la quantità di degrassante. Cottura riducente o con anima grigia, colore grigio scuro6.

Per quanto concerne questo tipo di ceramica, va considerato che, pur avendo raggiunto un notevole grado di standardizzazione a livello di forme e tipi, non va mai sottovalutato il ruolo del vasaio. È soprattutto a questo, infatti, che va attribuita la grande varietà morfologica, tipica di questa classe di materiale.

I frammenti studiati sono stati suddivisi in forme, all'interno delle quali sono stati individuati dei tipi. Si è cercato poi, dove possibile, di indicare delle varianti (taw. dis. LXI-LXXIII).

La maggior parte del materiale è di dimensioni sufficienti per poter individuare con sicurezza almeno la forma di appartenenza dei frammenti. Per quanto riguarda i frammenti di fondi, per molti l'attribuzione ad una forma specifica rimane probabile o non è proprio possibile. Le forme attestate sono quasi tutte forme chiuse, in particolare olle e ollette; le forme aperte sono presenti in numero esiguo: si tratta di alcuni frammenti di coperchi, in particolare prese di coperchio e di tre frammenti di ciotole-coperchio, una delle quali di notevoli dimensioni. Sono presenti anche pochi frammenti di dolio.

FORME CHIUSE OLLE

La morfologia di questo contenitore è molto standardizzata e non è pertanto semplice individuare una cronologia e un suo processo evolutivo, tanto più considerando il fatto che non si posseggono dati cronologici derivanti dallo scavo.

In alcuni casi le olle di Sambruson, nella parte interna dell'orlo, presentano l'incavo per l'appoggio del coperchio; non sembrano presentare anse, che difatti non sono presenti a Sambruson.

I frammenti di olle sono stati suddivisi, in base alla configurazione dell'orlo in sette gruppi e all'interno di questi gruppi, sono state individuate delle varianti. Alcuni esemplari presentano decorazioni realizzate a tacche o incisioni di linee parallele orizzontali o oblique.

II primo gruppo, quello più numeroso, è costituito da frammenti caratterizzati da orlo arrotondato, dritto o inclinato verso l'esterno e ingrossato esternamente, sotto il quale corre una solcatura più o meno accentuata7. La parete ha andamento verticale e corpo situliforme. All'interno di questo gruppo, la variante A (cat. nn. 92-96) comprende i frammenti che presentano decorazione, la variante B (cat. nn. 79-91, 98-100) quelli che invece non la presentano. La decorazione è a tacche leggermente oblique o quasi orizzontali, impresse sotto l'orlo. Le olle appartenenti alla variante A del primo gruppo, trovano confronti con alcuni tipi lombardi, ma soprattutto nella Venetia e nel Modenese. Per quanto riguarda l'inquadramento cronologico, si ritrovano in contesti che vanno dalla fine del II secolo a.C. all'età augustea, ma le stesse forme si possono trovare fino al II secolo d.C. inoltrato. Della variante B fanno parte numerosi frammenti di tipi molto simili tra loro. I frammenti sembrano comuni nell'area veneta e trovano infatti confronti ad Asolo, a Montegrotto e a Padova8 e risultano databili tra l'età repubblicana e l'inizio del I secolo d.C.9 Materiali di questa tipologia sono stati rinvenuti, in alcuni contesti, in associazione a materiale datato dalla metà del II secolo a.C. al I d.C., in altri, in archi cronologici che dal I secolo a.C. arrivano fino al IV d.C. Due frammenti (cat. nn. 98-99), sempre appartenenti al primo gruppo variante B, presentano un diametro minore rispetto alle altre olle, 14,4 cm rispetto ai 25-30 cm e pertanto vengono classificate come ollette. Alla variante C appartengono tre frammenti di ollette, che presentano anch'essi orli ingrossati esternamente, ma appuntiti superiormente (cat. nn. 89, 100, 104).

Il secondo gruppo è costituito da tre olle (cat. nn. 101-103) ad orlo ingrossato esternamente ed appiattito superiormente, che recano in due casi l'incavo per l'appoggio del coperchio.

' II terzo gruppo è formato da frammenti di olle accomunate dalla presenza di una fascia ornamentale incisa a pettine sulla spalla10 (105-106): i dieci frammenti presentano orlo estroflesso distinto, leggermente ingrossato e arrotondato e con breve collo concavo. Netto stacco tra collo e spalla, corpo per lo più ovoide e fondo presumibilmente piatto. Già attestate in età augustea a Milano, su scala piuttosto ridotta, sembrano conoscere maggiore diffusione a partire dalla seconda metà del I secolo d.C.11 Le olle collocabili nella prima metà del I secolo d.C. ebbero minore diffusione rispetto ad altri tipi coevi, e meno precisamente determinabile appare anche il loro impiego domestico. Gli impasti si presentano grezzi, pertanto i pezzi qui esaminati possono essere attribuiti ad olle da fuoco, anche se alcune sembrano non aver avuto contatto col fuoco, per cui si tratta probabilmente di vasellame a funzione mista, come succede per i tipi più tardi12.

Il quarto tipo è costituito da un frammento (cat. n. 108) con gola che si estende a formare un vero e proprio collo oltre il quale l'orlo si presenta quasi verticale e piatto superiormente. E’ presente una nervatura a rilievo sulla spalla, abbastanza sporgente. Si tratta del tipo attestato in percentuale maggiore a Milano13.

Al quinto tipo (cat. n. Ili) appartiene un solo frammento di orlo di olla caratterizzato dall'orlo rientrante e modanato all'esterno, con la parte terminale che può essere appiattita, come in questo caso, o arrotondata e che si colloca cronologicamente nel III secolo d.C.14; probabilmente si tratta del frutto di una lunga evoluzione della forma che parte già dal I secolo15.

Al sesto gruppo sono ascrivibili quattro frammenti caratterizzati da piccoli orli ingrossati e arrotondati, dritti o leggermente distinti. Le pareti sono di spessore minore rispetto ai frammenti precedentemente analizzati; in due frammenti, un cordolo rilevato di piccole dimensioni, corre sotto l'orlo, (cat. nn. 112-113).

Ad un'epoca compresa tra il I e il II secolo d.C. si possono attribuire i frammenti appartenenti all'ultimo gruppo, accomunati dalla forma dell'orlo, che si presenta estroflesso con superficie interna appiattita e breve gola16, ma differenti per dimensioni e soprattutto per spessore delle pareti (cat. nn. 109, 114-115). Due pezzi presentano decorazioni sulla superficie esterna: il primo (cat. n. 114) a linee oblique impresse all'altezza dell'orlo e appena sotto di esso, separate da un cordolo trasversale appena rilevato, il secondo (cat. n. 115) a linee impresse orizzontali poste sotto l'orlo. 

FORME APERTE

COPERCHI E CIOTOLE-COPERCHIO

Anche i coperchi presentano notevoli segni di annerimento sulle superfici, in quanto servivano per ricoprire olle e pentole durante la cottura dei cibi. Anche per i coperchi, la standardizzazione morfologica che li caratterizza, permette con difficoltà di individuare variazioni nel corso del tempo.

Sono presenti a Sambruson alcuni esemplari di coperchi, dei quali per lo più si sono conservate le prese. Anche per quanto riguarda le prese, esse presentano forme standardizzate, per le quali è difficile indicare un'epoca precisa. Degno di nota è il frammento di probabile piatto o ciotola-coperchio (cat. n. 135): si presenta di dimensioni minori rispetto alle altre prese e mostra una superficie esterna concava e, una volta girato, sembra diventare un frammento di ciotola con piede ad anello inclinato verso l'esterno. Un pezzo presenta la superficie esterna molto irregolare (cat. n. 133). Vi è poi un frammento di coperchio di piccole dimensioni, con orlo rialzato17 ed un frammento di cui si è conservata solo una parte che presenta un foro centrale (cat. n. 139). Sono presenti infine tre frammenti di ciotole-coperchio, una delle quali di notevoli dimensioni (cat. n. 142).18 Queste ciotole-coperchio presentano orli ingrossati esternamente, il primo a sezione sub-triangolare (cat. n. 140), il secondo a sezione quadrangolare (cat. n. 141), mentre il terzo a profilo curvilineo (cat. n. 142).

FONDI

Tra i reperti di questa classe è attestato un gran numero di fondi, alcuni dei quali, molto simili nella morfologia, differiscono tra loro solamente per il diametro (cat. nn. 116-132). Essi sono tutti fondi apodi, presentano spessori diversi delle pareti, alcuni molto spesse (cm 2 circa), altri davvero ridotte (0,6 cm circa) e presentano diverse inclinazioni delle pareti, a seconda della grandezza e della forma del vaso. Sono in genere molto anneriti sulla superficie esterna a causa dell'azione del fuoco. Per la maggior parte dei fondi si può affermare con una certa sicurezza che si tratti di fondi di olle, considerando anche che è l'unica forma vascolare in ceramica grezza attestata a Sambruson ma, per gli esemplari più frammentari, è preferibile non pronunciarsi, se non nel caso di un confronto puntuale. Un frammento presenta un simbolo posto sulla parete al passaggio con il fondo19 (tav. LXX, n.46); non si tratta di un vero e proprio marchio di fabbrica, come ad esempio quelli attestati nella terra sigillata di Sambruson.

DOLIA

Si è scelto di includere i doli all'interno della classe della ceramica comune grezza poiché presentano un impasto uguale a quello utilizzato per confezionare le olle di grandi dimensioni21, ovvero corpo ceramico con grossi inclusi di quarzo e calcite. È stato possibile ricostruire solo un orlo e due frammenti di fondo di doli di notevolissime dimensioni (0 orlo di 1 m, 0 dei fondi 50 cm circa), ma non è stato possibile associare all'orlo nessuno dei due fondi, dal momento che i vasi si presentano molto frammentari e tutti i pezzi sono costituiti dallo stesso tipo di impasto, che presenta tonalità di colore che dal rosso con riflessi tendenti all'arancio o al cupo, arrivano al marrone scuro, e al grigio o al nero nei punti di annerimento dovuti probabilmente alla cottura, considerando che tale annerimento lo presenta tutta la frattura.

Considerando i due fondi e il numero considerevole di pareti conservate, almeno due dovevano essere i doli rinvenuti a Sambruson. I frammenti di pareti, alcuni dei quali unibili, presentano decorazioni costituite da cordoni plastici applicati anche in più parti del corpo, arricchiti da impressioni digitali incise, visibili a distanze regolari. Tale decorazione si può trovare anche su olle, come testimoniano frammenti a Sambruson, in cui i cordoni plastici presentano anche linee oblique impresse (cat. n. 143) e anche a Montegrotto22.

L'orlo del dolio si presenta leggermente estroflesso, con un piccolo incavo posto lateralmente, probabilmente per l'appoggio del coperchio, ma essendo conservato solo in minima parte, non è possibile ricostruire la forma del corpo.

Questi contenitori, che servivano per conservare per lungo tempo le derrate alimentari, sono piuttosto comuni anche in area veneta, ma non esistono ancora dei repertori per poterne classificare le forme23. La particolarità dei due fondi esaminati, è che presentano un foro centrale, che sembra originario e che era forse usato per aerare le derrate riposte in questi grandi contenitori. Anche il frammento di coperchio (cat. n. 147), conservato solo in una sua parte, presenta un foro centrale, come l'esemplare di piccole dimensioni trattato precedentemente  (cat. n. 139).

CROGIOLI

I crogioli sono recipienti in maggior parte costituiti da un corpo ceramico grezzo e refrattario, nei quali venivano fusi i metalli.

Si sono considerati all'interno di questa classe ceramica due oggetti particolari presenti nell’Antiquarium, due crogioli incompleti con un bollo ciascuno sul fondo. Solo uno dei due pezzi presenta un bollo completo.

Si tratta del monogramma di Cristo, formato dalle iniziali greche sovrapposte della parola "Xpioióc;" (Khristòs), la "X" e la "P", che corrispondono, rispettivamente, alla lettera greca "x" (chi) e "p" (rho). Ai lati di queste due lettere, se ne trovano molto spesso altre due: una "a" ed un "co", alfa ed omega, prima ed ultima lettera dell'alfabeto greco, usate come simbolo del principio e della fine. Il simbolo ha origine nell'Impero Romano d'Oriente, dove si usavano la lingua e l'alfabeto greco. Il monogramma di Cristo non compare sui primi monumenti cristiani, ma inizia a trovarsi a partire dal III sec. d.C. in contesti di uso privato. La sua diffusione pubblica è successiva all'Editto di Milano del 313, con cui Costantino I, il Grande, imperatore dal 306-337 d.C., permise la libertà di culto. Da allora il monogramma venne raffigurato sulle bandiere delle basiliche e delle chiese ed era spesso circondato da un cerchio o da una corona della vittoria. Comparve anche sulle monete coniate da Costantino nel periodo 323-333 e da questa epoca fu impresso sugli stendardi militari degli imperatori cristiani romani e bizantini. Le circostanze di questa scelta non sono chiare sia perché i resoconti degli storici non sono concordi, sia perché l'adesione pubblica di Costantino al Cristianesimo fu un processo graduale, condizionato probabilmente anche dall'opportunità politica.

I due bolli di Sambruson sono bassorilievi ricavati all'interno di un ovale. I bolli, impressi con un punzone sull'argilla fresca, presentano la "P" appuntita e rivolta verso sinistra. 


CERAMICA COMUNE DEPURATA E SEMIDEPURATA

CONSIDERAZIONI SU QUESTA CLASSE CERAMICA E SUGLI IMPASTI

La ceramica comune depurata è presente a Sambruson in quantità minore rispetto alla comune grezza e purtroppo si tratta di esemplari sempre piuttosto frammentari (taw. dis. LXXIV-LXXIX).

Questo tipo di ceramica è distinto dalla comune grezza per il corpo ceramico, che risulta essere fine, più o meno depurato e compatto1. Per quanto riguarda i reperti di Sambruson, essi presentano tre tipi di impasto fra loro molto simili. Il primo tipo, quello rappresentato dal maggior numero di pezzi, è un impasto molto depurato, il colore del quale varia dal rosa all'arancio (cat. imp. n. 30). Il secondo impasto della comune depurata differisce dal precedente per la presenza di inclusi arrotondati di chamotte, di colore rosso mattone ed è l'unico impasto semidepurato (cat. imp. n. 32). Il terzo tipo, rappresentato da pochi frammenti, presenta un colore marrone chiaro,ed è più depurato e molto compatto (cat. imp. n. 31).

Mentre la ceramica comune grezza veniva utilizzata in cucina e lo stesso annerimento delle superfici dovuto all'azione del fuoco lo testimonia, nonché lo stesso tipo di impasto così realizzato per resistere alla fiamma, la ceramica comune depurata presenta un impasto depurato di qualità non troppo minore rispetto alla terra sigillata nord-italica e che veniva utilizzato per vasellame della mensa e della dispensa, ossia per la consumazione dei cibi, la loro preparazione, o la loro conservazione2.

Si è tentato, nell'analisi dei materiali, di tener conto sia degli elementi morfologici che caratterizzano il vasellame in esame, sia delle caratteristiche funzionali ipotizzabili per esso. Si sono pertanto divisi i materiali per forme, dando la precedenza alle forme chiuse. Seguendo il criterio appena esposto, sono stati analizzati prima i recipienti destinati a contenere liquidi o solidi, utilizzabili sia all'interno della dispensa che sulla tavola. Seguono quindi le forme aperte, utilizzate prevalentemente per la mensa.

I gruppi in cui il materiale è stato diviso sono stati definiti in base alle caratteristiche morfologiche dell'orlo. A causa della frammentarietà del materiale, per un piccolo numero di frammenti non è stato possibile realizzare il disegno: si tratta di frammenti di orli di ollette e anforette di piccole dimensioni. Inoltre tale frammentarietà impedisce di comprendere il più delle volte se gli esemplari fossero monoansati o biansati. Le forme chiuse, in particolare le olle, sono le più rappresentate; le forme aperte, come coppe e patere, invece, sono presenti solo con due frammenti. Per quanto riguarda i frammenti di fondi (cat. nn. 162-175), essi presentano una maggiore varietà di forme rispetto a quelle della comune grezza; sono infatti attestati fondi apodi leggermente convessi e fondi con piede ad anello più o meno pronunciato. Difficile è, però, risalire a delle forme certe, considerata l'alta frammentarietà; si può però presumibilmente ipotizzare che i fondi che presentano piede ad anello più o meno pronunciato appartengano ad anforette e a brocche/bottiglie (anche se a Sambruson tale forma non è attestata), mentre i fondi apodi, principalmente ad olle da stoccaggio.

Anche per questa classe ceramica, come per la comune grezza, alto è il grado di standardizzazione raggiunto a livello di forme, ma non va comunque trascurata l'alta presenza di varianti, caratteristica delle diverse aree e non bisogna nemmeno sottovalutare il ruolo dell'artigiano; a questi caratteri va attribuita infatti la grande varietà morfologica usuale in questa classe ceramica3. Di rado capita difatti di riscontrare casi di uguaglianza tipologica.

Vi sono anche delle prese di coperchi (cat. nn. 178-179) e delle anse, entrambe le forme presenti in numero modesto. Le anse, che possono appartenere tanto a forme monoansate quanto biansate, si presentano a sezione ovale più o meno schiacciata e longitudinalmente costolate, presentando due, tre, o anche quattro, costolature.

All'interno della classe della ceramica comune depurata rari sono in genere i casi in cui compaiono delle decorazioni. A Sambruson, cinque pezzi presentano decorazioni: un frammento di orlo (cat. n. 150), tre frammenti di pareti (cat. nn. 183-185) e un fondo (cat. n. 169). Il primo frammento presenta al di sotto dell'orlo brevi linee oblique e parallele tra loro, incise con tecnica a rotellatura; lo stesso tipo di decorazione presentano anche i tre frammenti di pareti; variano solo le dimensioni delle linee e la distanza esistente tra di esse. Infine il frammento di fondo con piede ad anello e parte di parete presenta una decorazione a linee radiali incise con leggera pressione, tanto da risultare appena percepibili.

FORME CHIUSE

Le forme chiuse, come per la comune grezza, sono molto rappresentate a Sambruson. Sono frequenti infatti olle, ollette, anforette e un frammento di probabile bottiglia.

Le olle con corpo ceramico depurato e semidepurato, questo ultimo tipo non presente a Sambruson, venivano in genere destinate alla conservazione delle derrate, a differenza delle olle ad impasto grezzo, che venivano impiegate per la cottura degli alimenti. I frammenti di orli di olle sono sette, divisi, secondo la definizione morfologica dell'orlo, in due grandi gruppi: olle ad orlo estroflesso ed olle ad orlo introflesso.

Le olle ad orlo estroflesso sono tre, due con profilo interno concavo (cat. nn. 153, 155) ed una con orlo ingrossato esternamente (cat. n. 157). Del primo tipo un frammento (cat. n. 153) presenta una forma molto diffusa; si tratta, infatti, di un'olla con orlo a profilo interno concavo e appuntito che trova confronti con le olle ad impasto depurato di Milano, rinvenute di età augustea. Forma piuttosto frequente ad Altino e in zone limitrofe, è documentata anche nel Polesine, dove viene datata al I secolo d.C. Il secondo frammento dello stesso tipo (cat. n. 155) è un frammento di olla con profilo interno concavo appiattito superiormente, che presenta un confronto puntuale con un pezzo di Milano4 datato ad un periodo che va dalla fine del I secolo a.C. alla prima metà del II sec. d.C. L'unico frammento del secondo tipo (cat. n. 157) è un'olla con orlo estroflesso, esternamente ingrossato e probabilmente biansato. In base al confronto con l'esemplare milanese5 e con altri materiali lombardi, viene datato all'età augustea - primi decenni del I sec. d.C.

Anche le olle ad orlo introflesso offrono delle varianti, in particolare tre. Due sono i frammenti che presentano una forma con orlo leggermente introflesso, scanalature sulla superficie esterna e parete arrotondata (cat. nn. 151-152), che trovano confronti in Lombardia6. Vi è poi un frammento (cat. n. 154) che, con orlo introflesso, ingrossato esternamente e con parete che sporge nettamente verso l'esterno, fa pensare ad un corpo globulare. Questo orlo presenta anche una piccola parte di fondo, che è ad anello assai basso e poco distinto, quasi un fondo a disco. L'ultimo frammento di questo gruppo presenta un orlo leggermente introflesso e appiattito superiormente. Presumibilmente si tratta di un'olla biansata, come quella precedentemente descritta (cat. n. 156). L'ansa è spezzata all'attacco e pertanto non è possibile riconoscere il numero delle costolature.

I frammenti di anforette, quasi tutti non disegnabili, sono caratterizzati da diametri piuttosto ridotti, anche se non definibili e da un orlo leggermente estroflesso e ingrossato esternamente. L'unico pezzo disegnabile (cat. n. 159) presenta anch'esso un orlo estroflesso e ingrossato esternamente.

Un unicum è il frammento che, considerando l'ampiezza dell'imboccatura, il collo alto e stretto e l'attaccatura delle anse di poco sotto l'orlo, è stato identificato come parte_superiore di olpe7 (cat. n. 160), ma potrebbe trattarsi anche di una bottiglia8. Questo frammento presenta l'ultimo impasto elencato per questa classe, quello più depurato e compatto.

FORME APERTE

Solo due sono i frammenti appartenenti a forme aperte: un orlo di coppa e un profilo quasi completo di patera. Il primo frammento (cat. n. 150) presenta orlo introflesso con pareti che si allargano verso l'esterno all'altezza della spalla, per poi restringersi verso il basso. Come precedentemente esposto, presenta decorazione a linee oblique impresse con tecnica a rotellatura. Questa forma, che non trova confronti, può considerarsi una delle usuali manifestazioni locali. Le forme aperte includono un profilo quasi completo dì patera o piatto (cat. n. 161) che presenta, come la bottiglia, l'impasto più raro della comune depurata ambrosiana, ovvero quello depurato e compatto (cat. imp. .31).

UNGUENTARI E MORTARIA

Si è scelto di includere all'interno della ceramica comune depurata anche i frammenti di balsamario e di mortaio10.

Il frammento di unguentario (cat. n. 186) presenta il quarto impasto (cat. imp. 31) della classe ceramica qui analizzata, mentre il mortaio presenta un impasto che differisce dal secondo tipo per il colore, più pallido, che indica un'argilla calcarea e una cottura prolungata in ambiente riducente e per la maggiore quantità di chamotte (cat. imp. n. 32).

L'unguentario presenta un orlo leggermente estroflesso con labbro appuntito sporgente verso l'esterno e collo lungo e stretto. Questo tipo di unguentario trova confronti ad Adria in contesto funerario11 e a Luni12; differisce per la configurazione dell'orlo dagli esemplari di Altino13, Aquileia e da quelli lombardi14, compresi gli esemplari della città di Milano.

Per quanto riguarda il frammento di mortaio, si è conservato il suo profilo completo, pertanto è possibile ricostruirne la forma interamente, anche se non è comunque possibile verificare la presenza di elementi funzionali come il versatoio, il manico e le prese, che il tipo canonico non sembra prevedere. A differenza dei mortai in pietra dell'area veneta per i quali è piuttosto semplice risalire all'origine della materia prima e con grande probabilità al luogo di produzione, considerando che le cave non sono poi così numerose, molto difficile è risalire all'origine degli esemplari in terracotta. Considerando che l'impasto del mortaio è molto simile a quello più frequente della ceramica comune depurata, si può supporre che sia stato prodotto localmente. Questo tipo di mortaio trova confronti ad Aitino15 e in Lombardia16.

FONDI

Come già anticipato anche per le altre classi materiali, difficile è stabilire a che forme appartengano i frammenti di fondi e per tale motivo si è scelto di analizzarli a parte. Si può presumibilmente ipotizzare, confrontando i disegni dei reperti con le forme intere pubblicate, che i fondi che presentano piede ad anello più o meno pronunciato appartengano a brocche/ bottiglie o ad anforette, mentre i fondi apodi, principalmente ad olle da stoccaggio. Sono attestati fondi ad anello distinto inclinati verso l'esterno, fondi con basso piede ad anello appena pronunciato, fondi apodi piatti e leggermente convessi (taw. LXXV1-LXXVIII). Di notevole importanza i due fondi con basso piede ad anello molto somiglianti ad un frammento di terra sigillata di produzione incerta. La somiglianza morfologica dei tre frammenti e la lieve differenza nel corpo ceramico, che nel caso del frammento di terra sigillata è ricco di mica, porta a ipotizzare che siano stati prodotti a livello locale o regionale, ad esempio in un'officina che produceva contemporaneamente terra sigillata e ceramica comune. Come già sottolineato nel capitolo dedicato alla terra sigillata, la scarsa conservazione della vernice sul frammento non permette di individuare confronti, né di proporre dei rapporti anche solo ipotetici con determinate manifatture. 


ANFORE

CONSIDERAZIONI SULLA CLASSE CERAMICA E SUGLI IMPASTI

I pezzi ceramici pertinenti ad anfore sono molto numerosi (taw. dis. LXXX-LXXXVII). Per alcuni frammenti non è stato possibile ricostruire graficamente la forma, pertanto l'identificazione risulta difficile o, comunque, non definitiva.

Per tutti i frammenti si è tentato di risalire a forme note, secondo la tavola tipologica del Dressel, completata dal Lamboglia, per poter proporre una datazione, tenendo conto però del fatto che le attribuzioni, fatte per i pezzi più frammentati, possono essere considerate solo delle ipotesi. Per le anfore le cui forme non compaiono né nella tavola tipologica del Dressel1, né nella divisione tipologica del Lamboglia2, si sono utilizzati altri repertori; esempio è l'anfora di produzione betica, per la quale è stata adottata la classificazione del Belltràn3.

Le anfore sono contenitori di grosse dimensioni e, poiché all'atto dello scavo è facile rinvenire grande quantità di frammenti di pareti, non sempre risulta facile individuarne la forma e il tipo. Anche a Sambruson, infatti, molti sono i frammenti, più o meno grandi, di pareti.

Sono stati identificati differenti tipi di anfore. Si tratta di frammenti di anfore italiche per quanto riguarda i tipi Greco-italica, Lamboglia 2, Dressel 2-4, Dressel 6A e Dressel 6B. Sono state fatte delle attribuzioni ipotetiche per anfore prive di alcuni elementi diagnostici, ad esempio per il frammento di anfora dal fondo piatto o per la presunta troncoconica da olive. Sono presenti a Sambruson frammenti di anfore non italiche che hanno permesso l'attribuzione ad una determinata forma: due frammenti di anfore egee, uno di anfora africana e, forse, tre di anfore spagnole4. Infine sono attestati alcuni coperchi, due fabbricati al tornio e quattro esemplari di pareti circolari, di dimensioni diverse, ritagliate a tappo5. Rimangono, comunque, molti frammenti non identificabili.

Per quanto riguarda i corpi ceramici, ve ne sono diversi e, pertanto, vengono trattati all'interno delle forme di appartenenza. Si è potuto individuare un impasto di produzione locale e/o regionale, che appartiene a forme diverse, ma tutte naturalmente di produzione italica: in particolar modo Dressel 6A, Dressel 6B e Dressel 2-4 (cat. imp. n. 4). Si tratta di un impasto piuttosto fine, con inclusi di modeste dimensioni e di colore rosato, tendente dal rosa al bruno chiaro. Le variazioni della tonalità del colore non sembrano dipendere dalla diversa matrice, ma solo da variazioni dovute alla cottura, come comunemente accade6.

Le anfore sono molto importanti per ricostruire la storia economica di un sito: lo studio dei contenitori da trasporto permette, infatti, di desumere informazioni relative ai consumi di alcune derrate e alle aree di provenienza e, attraverso l'analisi dell'eventuale corredo epigrafico, consente di ricostruire aspetti legati all'organizzazione della produzione e alle dinamiche del commercio7.

Tutte le forme presenti a Sambruson trovano confronti principalmente con le anfore di Padova8 e con quelle di Montegrotto9, nonché con quelle altinati10 ed  aquileiesi.

Sambruson era uno dei centri che gravitava attorno a Patavium, già dall'epoca paleoveneta e questo è testimoniato dal fatto che si trovano molte analogie tra i materiali di Sambruson e quelli patavini. Nel contesto di Sambruson, le produzioni italiche risultano nettamente prevalenti rispetto alle tirreniche, a conferma dei facili collegamenti marini con i principali porti della costa adriatica, ovvero Aquileia11, Rimini, Ancona, Brindisi e quindi della fitta rete di rapporti che collegavano fra loro i diversi centri che si affacciavano sul mare Adriatico12.

Per quanto riguarda la classe qui esaminata, l'analisi congiunta di forme ed impasti ha permesso di stabilire, per la maggior parte dei reperti ben conservati, se si tratta di un prodotto locale o se invece è un frutto d'importazione13.

Si è scelto, a differenza di quanto fatto per le altre classi ceramiche, di studiare le anfore non per forme, ma per periodi storici, in modo da avere una visione dei contenitori da trasporto che viaggiavano contemporaneamente nello stesso periodo; vengono comunque trattate le forme in modo più approfondito all'interno di ogni periodo storico trattato. Questa metodologia è stata utilizzata da S. Cipriano14 nel trattare le anfore di Altino dalla metà del I sec. a.C. al II sec. d.C. La presente ricerca parte dalla prima metà del I sec. a.C., poiché a Sambruson è conservato un frammento di anfora Greco-italica.

Prima metà del I secolo a. C.

Un frammento di collo con orlo e anse di Greco-italica (cat. n. 188) si trova a Sambruson. Queste sono anfore vinarie di produzione italica, provenienti dalle coste occidentali dell'Adriatico. L'esemplare di Sambruson presenta la forma tipica di questa anfora: si tratta di un frammento con orlo a sezione triangolare, lungo collo e anse a bastone, che si attaccano all'altezza della spalla. La spalla si presenta carenata, ma sul frammento in esame non si è conservata. Le Greco-italiche anticipano le Lamboglia 2 e nella forma ricordano le Dressel 1, ma sono facilmente differenziabili da quest'ultime, sia per i tipi di impasto che presentano, che per l'area dove venivano smerciate. Le Dressel 1, infatti, presentano un impasto rossiccio e ricco di inclusi neri e venivano prodotte e smerciate in area tirrenica. L'anfora di Sambruson presenta un corpo ceramico bruno-rossastro chiaro (cat. imp. n. 7), ossia un rosa molto pallido, tendente al biancastro sulla superficie esterna. Questo impasto in frattura è molto simile a quello quasi certamente locale, solo più chiaro sulla superficie esterna, effetto dovuto alla cottura.

La classificazione tipologica adottata per le Greco-italiche è stata realizzata dalla Toniolo15 per le anfore di Adria. L'esemplare di Sambruson trova analogie con le anfore tipo 5, 6, 6B, e 7 della suddivisione, ma mancando il corpo e il puntale dell'anfora, non è possibile indicare il tipo preciso al quale l'anfora appartiene; si è comunque ristretto

il campo a soli 4 tipi, peraltro molto simili tra loro e con l'esemplare qui studiato, sia formalmente che per corpo ceramico. Queste anfore sono datate alla prima metà del I a.C., ma si ritrovano esemplari residuali nella seconda metà del I sec. a.C.

Seconda metà del I secolo a.C.

Nella seconda metà del I sec. a.C. a Sambruson sono attestati quasi esclusivamente prodotti di origine italica e si rileva la prevalenza del consumo del vino su quello dell'olio. La maggior parte delle anfore proviene dalle coste occidentali dell'Adriatico: si tratta soprattutto di Lamboglia 2. Le anfore di questo tipo, prodotte tra l'ultimo quarto del II sec. a.C. e gli ultimi decenni del I sec. a.C. lungo le coste dell'Adriatico e probabilmente anche in Campania, sono molto diffuse nell'Italia settentrionale17, soprattutto lungo il corso del Po e lungo le coste adrìatiche e vennero sostituite sul mercato dalle Dressel 6 A.

Le Lamboglia 2 non sono presenti, come forma, nella tavola tipologica del Dressel, ma sono state individuate dal Lamboglia tra le anfore presenti sulla nave di Alberga. I considerevoli rinvenimenti di Lamboglia 2 lungo le coste adriatiche (almeno cinque sarebbero i possibili centri produttori nell'area compresa tra il Piceno e il Friuli)18 hanno portato a rivedere l'ipotesi originaria che indicava la zona apula come luogo di fabbricazione di queste anfore. L'ipotesi quindi di una loro produzione lungo la costa medio-adriatica fino all'area deltizia padana e alle Venezie è confermata anche dalle analisi minero-petrografiche effettuate su alcuni esemplari19. Rimane ancora di difficile soluzione il problema legato ad una possibile seriazione crono-tipologica delle numerose varianti, poiché non è stato possibile delineare una evoluzione del tipo.

Tradizionalmente considerate contenitori oleari20, è oggi accolta l'ipotesi che si tratti di anfore vinarie21. Le Lamboglia 2 includono un gruppo vario di anfore, con caratteristiche morfologiche differenti, specie per quanto riguarda la forma dell'orlo.

I due frammenti di Lamboglia 2, presenti a Sambruson, non sono riconducibili ad alcuna produzione in particolare (cat. nn. 189-190). Un frammento presenta un impasto piuttosto secco e abbastanza depurato, di colore rosato (cat. imp. n. 12), mentre l'altro un impasto ad inclusi di dimensioni maggiori; il corpo ceramico è di colore giallastro e grigio verso la superficie esterna a causa delle temperatura di cottura troppo elevata (cat. imp. n. 8). Dai confronti con gli esemplari lombardi, analizzati dalla Bruno22, che ne ha prodotto una classificazione, emerge che il frammento di Sambruson appartiene al tipo 7B (cat. n. 189) e trova un confronto puntuale a Milano23. Questo gruppo include tre varianti24 e il frammento di Sambruson è attribuibile al n. 52 che presenta, però, un impasto "non definibile". Le altre due varianti sono caratterizzate da un impasto giallo-rosato, simile a quello che presenta il frammento qui esaminato. Il secondo frammento (cat. n. 190) non è classificabile, poiché manca la forma dell'orlo. Sulla base del confronto morfologico e di impasto, questi due frammenti si possono genericamente attribuire ad una probabile produzione adriatica, non potendo essere più precisi, anche per la mancanza di esemplari bollati. Due sono, appunto, i frammenti di Lamboglia 2 rinvenuti a Sambruson, uno con collo, orlo e ansa, l'altro privo dell'orlo, ma con collo, spalla carenata ed ansa a bastone a sezione ovale, rientrante in prossimità della spalla.

Nel corso della seconda metà del I sec. a.C. anche l'olio che arriva a Sambruson è quello di produzione adriatica, trasportato nelle anfore ovoidali-adriatiche25, attestate, forse, da due frammenti di puntali (cat. n. 37-38). Poiché sono conservati solo i puntali, l'attribuzione deve considerarsi a livello ipotetico. Un puntale presenta un impasto rosato, tipico della produzione locale, l'altro un impasto giallo-rossastro con numerosi inclusi neri probabilmente di origine vulcanica.

I secolo d.C.

Nel corso del I sec. d.C., continuano ad essere prevalenti a Sambruson le presenze di anfore italiche, ma compaiono anche esemplari di importazione orientale, dalla Spagna e dall'Africa, a dimostrazione di una ampia apertura ai mercati del Mediterraneo.

Il panorama delle anfore vinarie è dominato in età augustea dalle Dressel 6A, a cui si affiancano le Dressel 2-4 e le anfore a fondo piatto, grande famiglia che raggruppa contenitori diversi, per i quali sono tuttora da definire precisamente caratteristiche tipologiche e aree di produzione, e che perdureranno fino alla fine del II sec. d.C.26

Si deve al Buchi una semplificazione della terminologia con l'introduzione delle denominazioni Dressel 6A e Dressel 6B, anche se raggruppano varianti che restano ancora da definire con precisione. Le Dressel 6A sostituiscono le Lamboglia 2 nel corso dell'ultimo trentennio del I sec. a.C., imitandone anche la forma, tanto da rendere spesso difficile l'attribuzione di alcuni esemplari all'uno o all'altro tipo. Si tratta di anfore vinarie, prodotte dalla fine del I sec. a.C. fino almeno alla metà del I sec. d.C. La loro distribuzione è concentrata soprattutto nell'Italia settentrionale, ma vi sono esemplari anche nell'Italia tirrenica, in particolare a Roma27 e Ostia28. Poche sono le fornaci rinvenute, ma ampia è la zona in cui si ipotizza venissero prodotti questi contenitori, dalla Cisalpina a tutta la fascia costiera compresa tra la Puglia e il nord-adriatico29. Un frammento di orlo, presente a Sambruson, può essere ricondotto ad una produzione nella zona picena, per il corpo ceramico di colore bianco-gillastro o biancastro con grossi inclusi di chamotte30.

Contemporaneamente, e forse con maggior durata delle Dressel 6A, vennero prodotte in ambito padano anfore Dressel 2-4, cioè quei contenitori che, nati inizialmente per vini di pregio dell'Italia tirrenica, dove si sostituirono alle Dressel 1, furono largamente imitati in Gallia, nella penisola iberica e nel Mediterraneo orientale31. Varie sono le produzioni italiche: piemontese, romagnola, istriana, pugliese. Nell'Italia settentrionale le fornaci di Dressel 2-4 sono numerose: in Emilia a Felino, a Imola, a Corniano di Reggio Emilia, a Forlimpopoli e, forse, a Riccione. In Piemonte, la fornace di Brignano Frascata, in provincia di Alessandria, è attribuibile alla seconda metà del I sec. d.C., ma arriva a produrre fino agli inizi del II sec. d.C.

Tra le anfore Dressel 2-4, caratterizzate dalle anse bifide (anse costituite da due cordoli uniti), sono presenti a Sambruson anche contenitori di fabbricazione nord-italica, in particolare locale, per l'affinità di impasto con le forme di Dressel 6 e Dressel 2-4, non per la presenza di bolli. Per quanto riguarda la caratterizzazione tipologica delle Dressel 2-4 di origine padano-adriatica, è difficile riconoscere elementi distintivi tra le produzioni delle varie fornaci. Considerando le argille, sono stati individuati impasti molto simili a quelli delle Lamboglia 2 e delle Dressel 6A; lo stesso si verifica per i frammenti di Sambruson.

Sicuramente sei sono i frammenti di Dressel 2-4, due dei quali presentano lo stesso tipo di corpo ceramico (cat. imp. 18), mentre gli altri presentano gli impasti nn. 9, 13, e 10. Si tratta di impasti di colore rosa, giallo-rossastro, bruno-chiaro, piuttosto simili tra loro e in relazione con quelli delle Lamboglia 2 e delle Dressel 6. Tutti e sei i pezzi di Dressel 2-4 sono frammenti di orlo, collo e anse.

Sia le Dressel 6A che le Dressel 2-4 sono contenitori vinari e sono attestate anche sul versante tirrenico, come gli esempi di Dressel 2-4 di produzione vesuviana. Sono anfore che soppiantarono repentinamente le Dressel 1 nella commercializzazione dei vini centromeridionali italici, occupandone gli stessi spazi di mercato, tra la fine del I sec. a.C. ed il I sec. d.C. Rientrano nella produzione costiera campana, in particolare quella di Sorrento-Pompei33, gli esemplari caratterizzati da terracotta rosso scuro, rosso carico o arancio, con numerosi inclusi neri evidenti sulla superficie. Le anfore originarie di questa zona dovevano trasportare il vino prodotto tra Sorrento e il Vesuvio, che era vino di ottima qualità. A Sambruson sembra essere presente un frammento di quest'ultima produzione campana (cat. n. 206).

In realtà non si è in grado di determinare con sicurezza se arrivassero nella nostra zona vini da quell'area e se giungessero quelli più ricercati o i più correnti. Quanto al vino contenuto nelle Dressel 6A, Dressel 2-4 e nelle anfore a fondo piatto di produzione nord-italica, si sa che nelle zone dell'Italia settentrionale erano coltivati vigneti famosi più per l'abbondanza che per la qualità del vino34.

Il brusco interrompersi delle attestazioni di Dressel 2-4 italiche e provinciali nel II sec. d.C.35 viene interpretato come il riflesso del restringersi del mercato vinario, con una drastica riduzione di alcune qualità di vini pregiati, senza peraltro negarne una piccola, residua circolazione a livello regionale o interregionale. Solo per la variante egea è assodata una prosecuzione della produzione in area microasiatica ed egiziana almeno fino al II sec. d.C.36 Nel I sec. d.C. è attestata anche la presenza di vini provinciali, quelli orientali, contenuti nelle Camulodunum 18437, due frammenti delle quali sono presenti a Sambruson. Si tratta di due frammenti di anse con coda rilevata, tipiche di questa forma, probabilmente appartenenti alla stessa anfora (cat. n. 232). Queste anfore presentano corpi ceramici differenti; ad esempio quello di Sambruson è di colore rosso e presenta molti inclusi di calcite piccoli (imp. n. 16). Esse furono create a Rodi e nell'entro terra anatolico, ma sicuramente la loro produzione coinvolge altre aree del Mediterraneo e anche luoghi la cui identificazione geografica è ancora incerta38. I rinvenimenti mostrano che la vita delle anfore con anse a coda rilevata si è protratta nel corso del II secolo e che appartengono al periodo più tardo tipi abbastanza caratteristici, comunque diversi da quelli documentati nel I secolo39. Queste anfore con anse a coda rilevata, proprie della tradizione tardo-rodia, sono attestate anche ad Ostia e nei depositi di Ercolano e Pompei40. Un altro frammento è attribuibile alla produzione orientale, in particolare a quella egea. Si tratta del fondo di un'anfora Agorà G 19941, originaria delle isole del mar Egeo (cat. n. 214). L'epoca di circolazione di tale forma risale al I sec. d.C., fino agli inizi del IV sec. d.C. Tale forma è stata rinvenuta a Pompei e ad Atene, da dove prende il nome, e in Libi.

L'olio che giunge nell'area veneta, nel corso del I sec. d.C., è di provenienza italica ed è contenuto prevalentemente nelle Dressel 6B. Di questo tipo di anfore, a Sambruson, ne esistono nove esemplari, di cui uno intero. La forma Dressel 6B è pressoché standardizzata, con orlo inclinato verso l'esterno a profilo arrotondato. Gli impasti sono morbidi, scistosi, di colore rosso-aranciato (5YR 6/6) o rosato, con presenza di chamotte.

Un frammento di orlo a ciotola (cat. n. 198) presenta un bollo ben leggibile di chiara origine istriana, attribuibile alla produzione degli atelìers dell'Istria. Per tale frammento la situazione è anomala, poiché si presenta caratterizzato da un impasto di colorazione grigia, mentre usualmente queste anfore sono di colorazione rosata. Probabilmente il tipo di conservazione in un terreno umido ha portato a questa colorazione; oppure potrebbe trattarsi di un difetto derivante dalla cottura. Il bollo CELER, come comunemente si ritrova per questo tipo di anfore, è impresso sull'orlo, all'interno di un cartiglio ovale. Del bollo si conoscono due diversi punzoni, CELER CELER, presenti contemporaneamente nei depositi patavini43. Il nome identifica verosimilmente o un ingenuo, proprietario di uro. figlino,, o un servus, coinvolto nell'attività produttiva, per il quale si possono proporre, oltre al più semplice Celer, molteplici letture44. L'Istria era una regione nota per la coltura dell'olivo; sono stati rinvenuti impianti per la spremitura delle olive e fornaci per la fabbricazione delle anfore45. Si ipotizza che Dressel 6B provengano anche dal versante medio-adriatico occidentale e orientale e dalla pianura padano-veneta, benché non siano state rinvenute fornaci.

Le Dressel 6B presentano notevoli varianti, che restano ancora da definire nei loro rapporti tipo-cronologici. Oggi si esclude l'unica produzione istriana di questa forma, ma il problema delle zone di produzione resta comunque aperto, come anche il problema sul loro contenuto: più attestato si dimostra comunque l'olio.

La diffusione delle Dressel 6B, che sembra iniziare nella metà del I sec. a.C. e durare fino all'età adrianea, è molto ampia nella Cisalpina, in Istria e nelle regioni transalpine, con una forte direttrice verso il Magdalensberg. L'attività di produzione di questi contenitori nell'area nord-adriatica, sembra iniziare laddove si contrae quella delle officine della zona medio e basso adriatica, produttrici di anfore brindisine e Lamboglia 2, che esportavano vino e olio soprattutto verso il Mediterraneo orientale, smistati presso l'emporio di Delo. Proprio la decadenza di Delo e la guerre piratiche sembrano aver determinato la crisi delle produzioni brindisine e lo spostamento degli interessi nella Cisalpina e in Istria, dove vengono attivati nuovi mercati, che si spingono fino ai paesi d'oltralpe. Nell’Antiquarium è presente anche un frammento di anfora con collo ad imbuto. Tale pezzo, piuttosto frammentario, potrebbe essere identificato con quello che compare nelle foto del 1950 del piccolo museo del Vanuzzo. Tale attribuzione risulta ardua, in quanto il pezzo oggi presente è più frammentario, ma le fratture appaiono molto antiche. L'anfora della foto sembra conservare orlo, collo e parte delle anse, mentre il pezzo oggi presente conserva solo il 10% del diametro dell'orlo, collo e parte delle anse. Pertanto è possibile che le anfore di questo tipo fossero attestate a Sambruson almeno da due esemplari. Per le anfore con collo ad imbuto48, non classificate dal Dressel, solo recentemente è stata riconosciuta una precisa identità tipologica. Caratteristica fondamentale distintiva è l'orlo, che si differenzia dal collo solo per un restringimento del diametro in corrispondenza con l'attacco superiore delle anse. Osservando l'anfora nel suo insieme non si nota un orlo, ma, piuttosto, un collo che termina "ad imbuto"; le anse sono ad orecchia, il corpo è ovoidale più o meno affusolato ed ha un corto puntale sagomato a bottone49. Rappresentano una forma molto comune in area veneta e di cui numerose presenze sono attestate nel Municipium patavino.

La produzione delle anfore con collo ad imbuto dovette iniziare nella prima metà del I sec. d.C.: sono infatti associate con anfore "a fondo piatto". Il fatto che la diffusione ricalchi in parte le direttrici commerciali delle Dressel 6A e delle 6B e la loro somiglianza con queste ultime, hanno indotto finora a proporre una generica fabbricazione nella Cisalpina, in officine diverse50. Il contenuto non è ancora definibile: l'ipotesi è che trasportassero olio, vista l'analogia formale con le Dressel 6B, che potrebbero rappresentarne il prototipo; non è da escludere un utilizzo polivalente. Sono molto diffuse nell'Italia settentrionale, in Istria ed oltralpe. L'arco cronologico va dagli inizi del I sec. d.C., scavi della metropolitana di Milano51 e pochi frammenti al Magdalensberg, alla metà circa del II sec. d.C., necropoli di Portorecanati.

Sempre nel I sec. d.C. sono attestate nell'area nord-adriatica, anche se con percentuali molto ridotte delle presenze di anfore africane. A Sambruson è presente un frammento di orlo svasato, con gradino, di Tripoli tana II52 (cat. n. 209). La provenienza africana di questo contenitore è suggerita soprattutto dall'impasto che, oltre ad essere di colore rossiccio, presenta numerosi inclusi di calcite ed è rivestito di ingobbio biancastro53. Queste anfore, che trasportavano olio, furono prodotte tra il I e la metà del III sec. d.C. nella zona di Lapis Magna.

Completano il quadro delle importazioni di derrate nel I sec. d.C. i frammenti provenienti dalla penisola iberica, che, seppure in percentuali modeste per l'area considerata54, forniscono fino alla fine del II se. d.C. conserve e salse di pesce, come il garum, la più nota, ma anche liquamen, muria e hallec, anch'essi molto apprezzati55. A Sambruson è presente un'anfora Beltràn II B quasi integra, mancante di parte dell'orlo e del puntale. La presenza di questa anfora e della Dressel 7-11 in area veneta, entrambe contenitori per salse di pesce, testimonia i contatti tra l'area nord-adriatica e la penisola iberica, nonostante la mancanza di veloci collegamenti marittimi56. Difficile, infatti, è ipotizzare che queste anfore arrivassero nell'area adriatica attraverso un percorso terrestre. Per questo motivo, le attestazioni nell'area in esame sono minori, rispetto a quelle riscontrate per l'area tirrenica57. Nell:'antiquarium sono anche presenti due grossi puntali a bottone di probabile produzione iberica, forse attribuibili alla forma Dressel 20; avendo a disposizione solo questi frammenti, risulta difficile darne un'attribuzione certa.

II secolo d.C.

Nel II sec. d.C. la situazione non cambia molto: il vino è soprattutto di provenienza italica e viene trasportato per lo più in anfore a fondo piatto, mentre l'olio è contenuto nelle Dressel 6B e nelle anfore con collo ad imbuto, ma anche in anfore africane, come la Tripolitana IL

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE SULLA CLASSE CERAMICA ANALIZZATA

Nell'arco cronologico preso in esame rimane dunque costante la prevalenza a Sambruson delle importazioni di prodotti italici su quelli provinciali. Mentre nel I sec. a.C. olio e vino sono attestati in modo quasi esclusivo, già a partire dall'età augustea si registra la presenza di prodotti orientali, in particolare il vino, occidentali, con le salse di pesce e africani, con l'olio. Queste presenze subiscono un costante incremento fino al II sec. d.C. Guardando la carta topografica della Panella59 (tav. XXIX) sulla direzione dei flussi commerciali dall'oriente verso l'occidente nel I e II sec. d.C., si vede come una direttrice molto più piccola di quella diretta verso le aree tirreniche, ma con una sua identità, arrivi fino alle coste dell'Alto Adriatico.

I dati di Sambruson confermano quanto già verificato per altre città della Venetia et Histria, in particolare venete, come Padova, Aquileia e Oderzo60, che permettendo di affermare come questa zona della X Regio fosse inserita in alcune direttrici commerciali piuttosto che in altre. Così la prevalenza di attestazioni delle produzioni dell'Adriatico su quelle tirreniche, principalmente con le Lamboglia 2, la anfore ovoidali-adriatiche, le Dressel 6A, le Dressel 6B e le anfore con collo ad imbuto, rispetto alle sporadiche attestazioni di arrivi di Dressel 2-4 dal Lazio o dalla Campania, va intesa, come già precedentemente sottolineato, come una chiara facilità dei collegamenti marini con i principali porti della costa adriatica, Aquileia, Rimini, Ancona, Brindisi, verso i quali confluivano le merci prodotte nei territori limitrofi. Tutto questo quadro rientra nella fitta rete di rapporti che collegavano tra loro i diversi centri che si affacciavano sull'Adriatico.


 

 

 

Ultimo aggiornamento (Giovedì 19 Dicembre 2013 16:52)