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POESIE INEDITE di Andrea Zilio (ottobre 2013)

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SAMBRUSON. CULTURA, COSTUME, TRADIZIONI, AMBIENTE. - LETTERATURA A SAMBRUSON (I)

Caro Luigino,

hai chiesto collaborazione? E perché no?

A Sambruson ci sono notizie preistoriche e altre che ormai sono storiche.

Ti interessano? A noi a scuola interessavano.

Ho trovato, tra le mie carte che sto rottamando, una poesiola che scrissi per un classe quarta, fine anni ‘70. Le lezioni speciali me le inventavo così.

Dovendo parlare dell’ambiente ambrosiano che cambia, feci un confronto tra quello che io avevo visto da ragazzo, fine anni ‘40 e quello di allora.

Prendemmo per campione un unico soggetto.

Interessante sarebbe il paragone con lo stesso ambiente ora, anno 2013.

Sarebbero tre scale diverse, tre/quarti di secoli visti in controluce.

Può darsi che a qualche maestra interessi.

Ho tolto volutamente le virgole, perché avrebbero mozzato il dolce respiro.

Le virgole se le deve inventare il lettore, lentamente. In silenzio.

Caro Andrea

la bella poesia che stavi quasi per rottamare merita più di una riflessione anzi parecchie.

L’ambiente e il contesto mi coinvolgono molto per almeno due motivi.

Il primo. La Via Carrezzioi, come sai, è la strada dove abito dagli anni ’70, quando ho scelto di costruirvi la mia casa e dove ho vissuto da adulto; quindi, purtroppo, ho contribuito anch’io a renderla una “strada per passare”, com’ è adesso.

Al “friggere dei tralicci” e ai molti “ruggire dei motori” ci siamo abituati. E’ vero, non è più la “stradina di campagna”, ma non è ancora tanto male. Prova a immaginarla fra qualche anno quando sarà attraversata da un’autostrada (Romea Commerciale) che la sconvolgerà irrimediabilmente tagliandola a metà e rendendone irriconoscibile anche il tracciato. Speriamo non succeda, ma temo sia inevitabile.

Il secondo. La “stradina di campagna” (Via Carrezzioi anni 50) è speculare ad un’altra (Via Brentoni anni 50), dove ho vissuto fino a vent’anni, appunto prima di trasferirmi in Via Carrezzioi. La prima, dal paese, va verso nord, l’altra verso sud, forse lunghe e larghe uguali, quasi due ali a fare da bilanciere al paese. Uguali la fontana, le ninfee, gli iris e il ruscello con il “ponte de piera” che era la nostra Iesolo estiva. Aggiungo, scusami, alla tua poesia, uguali i fantastici fossi con le tinche, i girasoli e i pesci gatto e le tartarughe e le rane sulle foglie galleggianti di ninfea.

Sono ritornato, qualche volta, ma non è più “luogo per restare”. Il bel vecchio ponte di pietra rossa è diventato una brutta banale passerella in cemento. Inutilmente ho cercato cose da riconoscere, niente è come allora, anzi, di allora non è rimasto niente. “ Stradina di campagna, dove sei? Non ti ritrovo”.

Non so, purtroppo, se sia il caso di scomodare una volonterosa maestra e i suoi alunni per l’interessante “paragone con lo stesso ambiente ora, anno 2013”; mi sembra non esistano più i termini di confronto. Ciao Fausto.

Luigi


STRADINA DI CAMPAGNA

Stradina di campagna

ormai più non ti conosco

spogliata come sei.

Ricordo un muretto

con le ortiche

presso un frassino incavato

e lunghe file di formiche

che salivano senza fine

e il profumo delle robinie

a maggio

e lo sventolio dei lillà

lungo un ruscello chiaro

con i lucci predatori

guizzanti

tra le ninfee candide e gli iris.

Chissà se vengono ancor

gli usignoli

a solfeggiar la sera in questa via!

Vedo gli alti platani decimati

e le siepi di metallo ricamato

a fiori

attorno al pino trapiantato

per il prossimo Natale.

Ov’era il calicantus

or si specchia una vetrata

con cancello a lance;

e là? c’era una riva di roselline rosse

che finiva a una fontana…

Stradina di campagna,

dove sei?

Non ti ritrovo,

tra campi a grano

tutti uguali

spianati

allineati

sradicati..

Oh, tu ci sei ancor,

solitario,

vecchio nespolo di confine

vecchia scorza spinosa

di tre rami

e quattro nidi

sulle spalle ripiegate!

Quanti sfregi

ci facemmo da nemici,

quante cose mi ricordi!

Sento friggere i tralicci

e ruggire il tigre nei motori.

E’ meglio andare.

non sei più luogo per restare,

sei anche tu

una strada per passare.


Parlavamo di via Carrezioi. Vi abitavano molti dei miei scolari.

Andrea Zilio


Caro Luigino,

questa estate ho scartato in “Carta e Cartoni” molte di queste poesie e piani di lavoro. Non volevo lasciare questa responsabilità ad altri. Peccato!

Frugando in disordinate cartelle ho trovato “Il passero e la neve” e poco altro.

Poiché dialogare con te, e con i tuoi lettori, mi fa felice, se ti interessano, un po’ alla volta, ti invio qualcosa. Guarda che non hai alcun obbligo di pubblicare. Anche perché sono cose di 40 anni fa.

Insegnavo con queste poesie, perché attraevano, divertivano… in realtà educavano, lasciavano traccia, senza che i ragazzi se ne accorgessero. Al momento.

Cosa volevo dire con questa poesiola?

E’ scritto negli ultimi versi della “mamma”, l’educatrice.

Caro Fausto,

sono cose di 40 anni fa ma tu sai meglio di me che le poesie non hanno età. L.


IL PASSERO E LA NEVE

- Viene, viene la neve.

- Mamma, non so chi sia.

- Passerotto mio,

tu sei nato a primavera,

quando la neve più non c’era.

- Perché sei triste

in questa sera senza luna?

- Figlio mio vedrai,

da solo capirai…

E’ cupo il pettirosso

nascosto giù nel fosso

e lo scricciolo sbarazzino

non s’allontana dal camino:

ricordano l’anno scorso

e del freddo il morso…

- Sparirà il fogliame,

si nasconderà lo strame,

e allor sarà la fame.

- Mamma, la fame che cos’è?

- Quando vedrai la terra tutta bianca

e ti sentirai l’ala stanca,

dopo tanti voli sui cortili

deserti, e sui fienili,

non avrai riposo e pace.

Mentre tutto tace,

scoprirai da te

la fame che cos’è.

- Mamma, senti la tramontana

lambire le case e la campana

del paese che batte le ore?

Mamma, mi trema il cuore.

- Figlio mio,

son tante le cose che vuoi sapere,

ma non si può capire

senza un po’ soffrire.

T’ho dato la mia esperienza,

ma non sarà tua scienza

se non per tua coscienza:

non sapresti mai volare

se non fossi tu a provare.

Intorno è un silenzio greve,

chiuse le case, muta la pieve…

ed ecco che viene lieve la neve.

Andrea Zilio

Caro Luigino,

“CASA ABBANDONATA” è una delle tante poesiole che scrivevo per introdurre argomenti importanti. Era il metodo. Mi sembra adatta al tuo sito che celebra cose antiche, genti storiche. Ecco, dovendo parlare dei Sumeri, degli Egizi, dei Greci, degli Etruschi, dei Romani, che i ragazzi non conoscevano affatto e di cui non importava niente… parlavo di piccoli episodi come questo che introducevano agli argomenti, partendo da cose che avevano davanti agli occhi, da fatti, da personaggi noti… I Sumeri eravamo noi!

Quando eravamo ragazzi, ricordi? c’erano in campagna molte case contadine, vecchie, cadenti, crollate, abbandonate. Prima di parlare delle piramidi, delle tombe etrusche… sollecitavo la curiosità dei ragazzi, con interviste da fare a casa, a conoscere la storia delle case abbandonate. Facevo capire che ogni pietra parla, racconta, basta ascoltarla. Ogni soglia consumata parla di piedi che per anni, per secoli ha visto famiglie entrare, sostare, calpestare, raggrumate, al freddo, a mangiare polenta e poco altro, a soffrire stretti attorno a un misero focolare, a spiare dalle fessure il sole del mattino che portava speranza. Spesso si trattava di mezzadri, di lavoranti stagionali che, a S.Martino, si vedevano sfrattati… veniva il fattore che, con gesto sacrilego, staccava la catena del focolare. Gesto eloquente, temuto, muto che significava: fuori!

CASA ABBANDONATA

Mura antiche,

rotte dai geli e dai soli d’agosto,

custodi segrete di lamenti,

di speranze, di pensieri

di quanti trascorsero

giorni lontani quaggiù,

umili pietre

di questa terra nostra

generosa e forte,

finisce qui la vostra storia,

finisce così, oh!

Il camino è spento,

cresce il cardo

sulle soglie slabbrate,

sulle aie desolate

estinte le bianche serenelle,

pende al vento, ammainato,

un balcone verso sera.

Son lacrime che cadono

dalle travi fradice

sulle pietre consumate,

queste piogge di primavera.

S’aspetta il buon tempo,

poi la ruspa spianerà ogni cosa a prato,

torneranno allodole e ballerine

a frugare tra i solchi riversi.

Una casa che muore

è una famiglia che scompare.

Ritorneranno le rondini,

resteranno confuse,

passeranno oltre,

oltre le siepi

e gli argini incolti,

oltre i filari di mais

sorti incerti su zolle fredde,

dissepolte da fondamenta ignude.

Ma la terra è buona,

esploderà il suo vigore.

E le mura antiche?

e la storia delle genti?

Scaraventate altrove.

No, la memoria no!

Andrea Zilio

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Lezioni all'aria aperta.......in poesia

Caro Luigi,

Scavando tra vecchie carte ogni tanto trovo qualcosa che, allora…, era bella.

Se questi scritti, queste poesie, ti possono essere utili per conservare il ricordo dei lavori di ragazzi che frequentavano le elementari negli anni ’70, e dei loro maestri, usali pure nella tua … STORIA. Parlano di noi ambrosiani. Stesso anno delle precedenti poesie.

Ecco una lezione sull’amicizia, sul dovere di non isolare i più deboli.

Sambruson -Classe 3^ B –Marzo 1978

Storia di un bambino triste dimenticato dai suoi compagni. Pensateci, ragazzi. Non va bene lasciare indietro qualcuno.

IL PIU’ PICCOLO

Un due tre

fanti cavalli e re,

tu con me

lei con te.

Di bimbi in gioco

la grande schiera

si divide a scacchiera.

Tu con me

lei con te.

La bianca schiera

contro quella nera.

Con gli occhi grandi

che gridan “sì!”,

guarda correre i compagni,

guance rosse

e perle di sudore,

il più piccolo

di terza C.

Aspetta sempre

all’ultimo gradino,

con gli occhi gonfi,

che lo chiami qualcuno…

Ma non lo vuole nessuno.

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Stesso anno scolastico, stessa classe.

Abbiamo visto, nei campi davanti la scuola, campagna Bertellini (dove ora sorge la scuola media) …tagliare il granoturco prima della maturazione. Perché? In quegli anni era più importante allevare il bestiame che produrre polenta o pan biscotto. Così macinavano  il campo ancora verde per fare il “ceroso”. Che cos’è? Mangime prelibato per i bovini da carne e da latte.

Cambiavano rapidamente costumi, usanze, tradizioni … Abbiamo colto l’attimo. Ce ne siamo accorti e ne abbiamo parlato. Anche lo spaventapasseri non serviva più. Gli abbiamo cantato un inno. Semplice, alla contadina, ma eloquente.

LO SPAVENTAPASSERI

E’ di panno il suo cappello,

grigio-verde è la sua giacca.

Ha perduto i suoi bottoni,

la  cravatta ed i galloni.

Ha la pipa in terracotta,

le  braccia penzoloni

son di latta e di ottoni.

Scoppiettanti spighe gialle

gli stanno tutto all’intorno

e gagliardi papaveri:

fino a quando, amici cari?

L’ha piegato leggermente

il buon vento di scirocco,

ma non vuol cadere ancora

uno spaventapasseri.

E’ l’ultimo soldato,

è solo e disarmato.

Tiene alta la sua spada

di vecchia sanguinella.

Son rimaste le medaglie:

son le azzurre campanelle

rampicanti, ardite e belle.

Sulla testa stinta e lisa

gonfia, arruffa le sue piume

un passero canterino;

la sua femmina si posa

sulla spalla ormai corrosa,

mentre il figlio novellino

esce vispo dal taschino.

Ai suoi piedi, tra la paglia,

or nidifica la quaglia.

Non ha più gloria

né credito né storia!

Non ci sarà carriera

né campagna futura.

Dopo la mietitura,

ultima  fienagione,

andrà anche lui in pensione.

_____________________________________

Una lezione contro la caccia: l’abbiamo vista così.

Devono essere proposti sentimenti rapidi, intensi, coinvolgenti.

L’ULTIMO VOLO

S’è spento in un canneto

tra foglie morte

e alghe annerite,

l’ultimo volo

d’un gabbiano colpito.

Giace aperta e bianca

la vigorosa ala infranta

sul capo reclinato.

Stormi alti

sorvolano d’autunno

le corrucciate nubi

e l’eco sopita

di  richiami lontani

muore nel canneto

ingiallito e muto.

Batte il vento

forte, piega le cime,

ma non risponde all’invito,

il gabbiano ferito.

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Questi erano i ragazzi e le ragazze della classe 3^ C – anno scol. 1977-78

Bovo Luca                     Darici Davide                     Gazzato Daniele

Masiero Stefano             Palmarini Alberto                Montagnaro Massimo

Scatto Michele               Zabeo Gianpietro                Zanella Giuseppe

Anastasio Roberta         Berto Susanna                   Brusegan Nicoletta

Danieli Elisabetta            Fossen Chiara                   Gottardo Elena

Manzolli Elisa                  Martini Orietta                   Pinton Alessia

Tacchetto Giulietta

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Quadernetto di Poesie Giovanili

Caro Luigi,

rovistando tra vecchie carte da cestinare ho trovato un altro quadernetto di poesie e racconti scritti quand’ero studente: anni 1954-1955.

Ho salvato solo queste  tre cosette che ti invio. In quelle che ho distrutto c’era troppa retorica: Rivoluzione ungherese, Trieste che torna all’Italia, Canti patriottici da Roma ai Fratelli Bandiera, Dovere di impegno civico, le inevitabili poesie sulla campagna che mi ha cresciuto. Pensa un po’! Erano anni di lieti entusiasmi e voglie di dire e di fare, che poi la vita assottiglia e comprime. Non mi vergogno di niente. La purezza e lo spirito di quei pensieri lontani mi commuove un po’, ma non fino al punto di volerli vedere pubblicati.

Di quel che ho salvato vedi tu. Ciao. Andrea.

 

PIOVE

Sento la pioggia che batte sui vetri,

sulle tettoie spaccate,

che salta rimbalza zampilla

strisciando tra le canne dei fossi,

che gorgoglia in rivoli, scura imbronciata.

Sempre gradita ai campi sfiniti.

Solo quando l’autunno nebbioso

s’affaccia triste e noioso

non piaci, pioggerellina.

Tu scivoli sui volti frivola e noiosa,

sfidi ad uscirti incontro

ragazzi frementi e schizzanti

dai portici, impazienti,

desiosi di nuove corse tra i prati,

con bravi compagni alla pesca di lucci.

Sarà lunga la nostra attesa

delle giornate solatie

ricche di giochi e di aquiloni.

Ma tu sei pia commossa addolorata,

comprendi, ma che puoi fare?

Oltre che piangere sulle ceneri

di foglie secche dei platani

arse dai fuochi d’autunno

sui peschi e sui tigli che annaspano

nel vento, come braccia senza appigli.

Tu vedi, capisci, lo senti,

ma che puoi fare?

se non seguire la tua storia?

16 dicembre 1955

 

LA DANZA DELLA NEVE

Sento travolgente una musica armoniosa.

Lo voglio.

Vedo una danza gioiosa e delicata

che mi sollecita pensieri,

che spiana la fronte triste.

Sono come voi, faville bianche:

scendete ma non sapete ancora dove, su che cosa.

Anch’io.

E’ stato faticoso giungere fin qui.

E per voi?

Nevica.

Vivaci  falde di cristallo scendete

caute e leggere sorrette da refoli delicati

che non vogliono spezzare la vostra danza.

E nel vago incerto chiarore

l’occhio mio scruta confuso

immaginando i vostri sogni

sorridendo per non essere solo.

Infatti anch’io attendo aspetto

svolazzo, non sono ancora arrivato.

 

FELICI GIORNI

Oh, felici giorni di mia gioventù,

oh, festosi dì che non torneran più!

Di gioiosa ebbrezza il mio cor trabocca

e l’alma sorridente il cielo tocca,

 

nel suo smanioso volo ver la vita.

Oh, scherzosa primavera fiorita,

tu m’assomigli ed io di te son fiero

come il tuo zefiro  che se’n va altiero.

 

Come il candor de le viole pallide,

l’azzurro aer profondo, e i soavi trilli

d’allodole, e le fontane placide,

 

io sento in me squillare i primi grilli

d’ansie e gioie sorridenti e timide:

lieto se potranno fare ch’io brilli.

 

 


 

2013-10-02 Caro Andrea ti ringrazio per la disponibilità a metttere a disposizione del sito le tue belle poesie inedite. Saluti in attesa delle prossime  "Pasquinate Ambrosiane".

 

 

2014-11-18 Ho pensato di integrare questo articolo con il tuo ultimo invio di poesie/lezioni che mi sono permesso di chiamare "Lezioni all'aria aperta". Un saluto agli alunni. Ciao, Luigi.

2016-01-14 Ho aggiunto alle tue "poesie inedite" quelle da te salvate dal tuo quadernetto di studente, chiamandole  "Quadernetto di Poesie Giovanili".


articolo a cura di Luigi Zampieri

 


 

 

Ultimo aggiornamento (Lunedì 03 Ottobre 2016 12:29)

 

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