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G.S. Ambrosiana Fondatori

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IL PERIODO STORICO RECENTE - REALTA' ATTUALI O RECENTI

“G.S. Ambrosiana”

1958 - 2008

50° dalla fondazione

Il “Gruppo Fondatori” raccoglie in questo opuscolo:

motivazioni, stimoli, difficoltà, impegno di tutta la comunità, vicende e comportamenti che hanno portato alla costruzione del

“Campo Sportivo Don Giovanni Guerra”

ricordi, aneddoti, piccole storie, motivazioni del loro impegno sportivo

particolare ricordo degli amici scomparsi

dati riguardanti i protagonisti

ricorrenze, incontri sociali

Questo opuscolo è dedicato a tutti coloro

che in qualche modo hanno contribuito ad

esaudire le aspirazioni di tanti ragazzi che

avevano necessità di scaricare tensioni ed

energie giovanili attraverso lo sport che

risana corpo e mente.


Introduzione

E’ dal desiderio espresso da molti amici che hanno vissuto nei lontani anni 1954–1965 i sentimenti e i momenti di vita sportiva, associativa e umana, che nasce l’idea di questo opuscolo.

L’iniziativa è scaturita durante uno dei numerosi incontri che periodicamente il gruppo “Fondatori G.S. Ambrosiana 1958” organizza sia per stare in compagnia a ricordare tanti episodi vissuti, che per ricordare gli amici scomparsi; elenco che purtroppo è destinato ad allungarsi sempre più.

Perché non raccogliere in appunti questi ricordi?; perché non lasciare traccia di un periodo, seppur breve, ricco di tante esperienze e vissuto in un’epoca che, se può sembrare lontana e fuori dai tempi, è stata una palestra di vita che ci ha insegnato tanto, che ci ha lasciato tanta nostalgia, che ci ha riempito di gioia, che ci ha insegnato la solidarietà, l’impegno, il sacrificio e soprattutto l’amicizia.

Ci piace ricordare le tante persone che ci hanno aiutato in questo percorso di vita, che ci hanno lasciato un buon ricordo e un esempio di impegno e solidarietà che hanno permesso, a noi giovani, di dedicarci allo sport attivo dilettantistico in un momento di grande incertezza e difficoltà economiche. Quando c’era molto di più importante a cui dedicarsi, c’è stato anche chi ha giustamente pensato al valore dello sport ed alla sua importanza nella formazione delle persone.

Abbiamo anche voluto fermare l’attenzione su alcune persone che, in particolare, hanno lasciato un’impronta e che ci hanno dato tanto. Sicuramente, visto il tanto tempo trascorso, nell’elenco che troverete scorrendo l’opuscolo, rileverete qualche dimenticanza. Ci scusiamo con gli interessati, certi della loro comprensione e della nostra buona fede.

Non è stato facile mettere insieme tanti ricordi e narrare tanti episodi, ma ci è sembrato assolutamente importante lasciare testimonianza di un’esperienza di vita vissuta da tanti protagonisti, con tanto entusiasmo e slancio giovanile; a corto sì di possibilità economiche, ma carichi di idee e coraggio. Qualità che hanno reso possibile la costruzione del campo sportivo di Sambruson. Campo sportivo divenuto l’unico centro sportivo del nostro paese, che ha anticipato anche le palestre scolastiche, allora inesistenti.

Siamo fiduciosi che la lettura dell’opuscolo sarà,per molti, un ritorno di ricordi emotivamente importanti, mentre, per altri, sarà, lo speriamo, una riflessione che li aiuterà a considerare mezzi e situazioni di quel periodo, raffrontandoli con quelli dei nostri giorni.

Nessuna velleità letteraria, nessun tentativo di rappresentare quei momenti a simbolo ed esempio di comportamenti eroici; solo un piccolo aiuto a ricordare i bei momenti vissuti da tanti giovani del paese, ora genitori e nonni impegnati ad aiutare i giovani a crescere sani sia fisicamente che moralmente.

Siamo sicuri che faranno tesoro della loro esperienza.

Il nostro pensiero và, in modo particolare, a tutte le persone amiche che non ci sono più. Siamo sicuri che anche loro godranno nel sapere che i valori, da loro stessi vissuti, continuano ad essere patrimonio per tanti.

E’ soprattutto a loro che abbiamo voluto dedicare questo opuscolo.


G.S. Ambrosiana….1958

Mi ritorna in mente……(bella come sei)

Ricordi di fatti e aneddoti realmente accaduti dal 1954 al 1965 a Sambruson, paese di campagna, frazione del comune di Dolo in provincia di Venezia.

Gli anni in cui si svolgono i fatti narrati in questo opuscolo, erano anni difficili per tutti. Si era appena usciti da una guerra che aveva sconvolto la vita delle famiglie. Lentamente era cominciata una ripresa economica, ancora frenata dalle spese che la nazione doveva sostenere per risanare le infrastrutture e le abitazioni e per favorire la creazione di nuovi posti di lavoro con aiuti all’industria e all’agricoltura.

L’agricoltura era infatti ancora prevalente sugli altri settori (industria, artigianato, commercio) che si stavano organizzando e sviluppando. Era l’epoca in cui molti degli abitanti di Sambruson trovavano lavoro a Marghera, dove lo sviluppo delle aziende già impegnate in loco e di tante nuove aziende che si andavano costituendo, confermavano lo straordinario sviluppo che si stava vivendo e che assicurava anche alle nostre famiglie un reddito certo per permettere l’assunzione di impegni importanti, finora impensabili, come la costruzione dell’alloggio, l’acquisto di mobilio ed elettrodomestici. Si poteva finalmente godere, in alcuni casi, di qualche giorno di ferie o di qualche ora di svago con la famiglia, magari a bordo della prima moto o vettura sognata da tempo, magari acquistata a rate, quasi sempre usata. La situazione descritta non era certo prerogativa di tutte le famiglie. Come succede sempre da che mondo è mondo, non tutti gli strati sociali hanno potuto usufruire di questa nuova realtà. Molti sono i casi di persone e famiglie che per i motivi più vari hanno mantenuto per molto tempo una situazione di isolamento e di povertà. In alcuni casi c’è voluto l’apporto dei figli, che in grande maggioranza iniziavano a lavorare in età adolescenziale e che meglio potevano seguire il cammino del progresso, per far crescere anche quel ceto sociale rimasto al palo di partenza. Sambruson era collocato geograficamente in ottima posizione per approfittare di questa nuova situazione. Si partiva da una condizione di proletariato diffuso che alcuni elementi di valutazione possono confermare. Era un paese in cui vigevano regole di convivenza molto buone, ma dove la differenza sociale era sottolineata in maniera determinante, se confrontata con alcune famiglie del paese, che chi ha buona memoria può benissimo ricordare. Verso di loro c’era un atteggiamento di rispetto e considerazione che raggiungeva, in alcuni casi, un rapporto di timore reverenziale che andava oltre le regole democratiche che piano piano la comunità si stava dando.

Vivevamo in una realtà dove, come diceva un vecchio adagio, “comandavano il prete, il dottore, la levatrice, il maresciallo dei carabinieri, la maestra”, persone che sicuramente meritavano il massimo rispetto per la funzione che svolgevano e per l’importanza che queste figure assumevano per i cittadini. Un rapporto che, anche se, allora espresso in modo esagerato, vorremmo presente anche al giorno d’oggi dove i valori del rispetto e della stima per persone che sono al servizio della comunità, vengano molto spesso a mancare. Non c’è bisogno di becera deferenza, ma di considerazione e di educazione. Il nostro paese era, in quegli anni, un paese estremamente degradato. In primis, essendo frazione del comune di Dolo, era un po’ la cenerentola e nelle scelte importanti per un rapido sviluppo, era poco considerato. Le abitazioni erano prive di tutti i servizi tecnologici che oggi sono addirittura imposti dalle leggi. Mancavano in tanti casi, luce, acqua, riscaldamento. Erano dei fabbricati precari, costruiti da molti anni, senza apporto di alcuna modifica migliorativa. Le stanze degli ultimi piani erano quasi sempre senza soffitto, con travature a vista e coperture formate da sole tavelle e coppi, posti su piani di tavole in legno. I pavimenti al piano terra o erano in terra battuta o in tavelle poste in opera su terra battuta; ai piani superiori, sulle travi del soffitto del piano inferiore, venivano sistemate tavole in legno fissate con chiodi. In alcuni casi i piani inferiori venivano soffittati con arelle (le canee) intonacate. Il caminetto era posto in cucina, unico locale riscaldato, più che dal fuoco, dall’alito dei tanti componenti della famiglia che alla sera combattevano il freddo stando tutti uniti in quella che diventava la stanza dei giochi, delle discussioni, dei racconti, dei progetti; si mangiava pure, anche se le pietanze si ripetevano quasi sempre; minestrone, brodo di verza, fagioli, uova, poco pane, tanta polenta, poca carne. Il pesce, poi o era il baccalà, allora a buon mercato, o quello pescato nei nostri fossi ancora non inquinati, dove l’acqua in tanti casi era potabile e dove era possibile, in alcuni di essi, godere del piacere di nuotare e tuffarsi, in anni in cui era impensabile raggiungere Sottomarina. Tanti di noi, allora ragazzi, hanno imparato a nuotare nei nostri fossi e canali.

. Le strade erano quasi tutte bianche. Solo le più importanti erano asfaltate.

. Il mezzo di locomozione era per quasi tutti il “Pedibus”, riportato in auge in questi anni in modo molto folcloristico, ma particolarmente apprezzato per il suo aspetto antinquinamento e favorente la socializzazione dei bambini. Rimane infatti indelebile il ricordo di chi ha frequentato asilo e scuola elementare, quando si partiva a piedi da distanze che raggiungevano anche i tre chilometri e mezzo. Il gruppo, mano a mano che si procedeva verso il paese, si ingrossava sempre più, tanto che in alcune strade la scuola veniva raggiunta da gruppi di 20/30 bambini, ben riscaldati dal lungo cammino. Calorie che sarebbero servite a tenersi caldi e sopportare meglio e per un po’ di tempo il freddo dei grandi stanzoni adibiti ad aule, riscaldati da una stufa in terracotta, che più che caldo faceva tanto fumo.

Si era in tanti per ogni classe, si aveva il maestro unico che era in grado di affrontare tutte le sfaccettature dell’educazione; che ti insegnava l’educazione civica, la storia e la geografia in modo semplice, utilizzando tanti aneddoti e similitudini; persone che ancora adesso sono ricordate con nostalgia e gratitudine. Sono stati dei maestri di vita che, in chi ha avuto la fortuna di seguirli, hanno lasciato un bagaglio di valori che in futuro si sarebbero rivelati essenziali per una buona e onesta convivenza. . La parrocchia era il fulcro della vita sociale per tanti ragazzi che, fin dalla tenera età, imparavano ad aggregarsi, a scambiare opinioni, giocare, partecipare alla vita comunitaria, confrontarsi con giovani di altre età. La parrocchia curava in modo particolare tutti gli aspetti comportamentali, impegnata a coinvolgere nell’educazione religiosa tutta la comunità. L’educazione, fin da allora, veniva sollecitata dalla Chiesa, consapevole che su questa frontiera si sarebbe giocato il futuro della società. I Sacerdoti erano in prima linea nel portare a compimento questo programma. Naturalmente veniva curato soprattutto l’aspetto religioso, senza trascurare il fatto che questo si sarebbe riversato anche sui comportamenti di ogni giorno. Sicuramente venivano risvegliati o rinsaldati i traguardi che ognuno si prefiggeva, dando un senso ad una generazione che stava crescendo in un contesto ancora privo di obiettivi. Insomma, in quell’epoca non c’erano ancora quei cattivi maestri che oggi vorrebbero giovani senza orizzonti, che soddisfano solo le esigenze del giorno per giorno.

La Chiesa aveva l’obbligo di annunciare Cristo e creare comunità cristiane dove i giovani potessero incontrarlo e trasformare così le loro azioni quotidiane in azioni utili per tutta la società, nei vari ambiti: sociali, lavorativi, scolastici, familiari ecc.

Non solo negli adulti, ma soprattutto sui giovani la Chiesa lavorava, per evitare che la fede fosse intesa solo come un fatto di memoria, di ostentazione, di presenzialismo, di attesa indifferente. Alla Chiesa, e per questa ai suoi Sacerdoti, interessava che i Sacramenti ricevuti sin dalla nascita fossero compresi nel senso giusto e testimoniati con le opere verso il prossimo.

In un’epoca in cui si sentiva la necessità di stare insieme e di solidarizzare, l’unica realtà di riferimento per i giovani erano le parrocchie e gli oratori. Merito dei Sacerdoti che, nonostante le difficoltà, sentivano l’impegno di dare ospitalità a tanti giovani che in quegli spazi avrebbero vissuto momenti di gioia e spensieratezza, in ambiente rassicurante e con la presenza di educatori che, nonostante qualche umana manifestazione caratteriale non sempre consona, insegnavano a coltivare sentimenti positivi che, con l’andar degli anni, svanita l’esuberanza giovanile, abbiamo compreso quanto bene ci abbiano fatto.

Quanti di quei giovani sono diventati protagonisti in politica, nell’economia, nel lavoro, in famiglia, nei vari ambienti della società. Era l’ottica con la quale i preti lavoravano per dare una prospettiva alle famiglie che si sarebbero formate, per trasmettere quei principi e quei valori non negoziabili, che dovrebbero essere patrimonio di tutti.

All’interno di queste strutture parrocchiali ognuno di noi ha vissuto, che più chi meno; c’è chi ha tentato, ma non ce l’ha fatta; alcune proposte sembravano essere troppo esigenti, difficili da capire, difficili da rispettare. Poi la vita ci ha insegnato tante cose e ci ha fatto comprendere che quel tempo passato nelle strutture parrocchiali non è stato tempo perso. Ora che possiamo riflettere con obiettività e con un vissuto alle spalle, ci rendiamo conto che certi insegnamenti ci hanno fatto bene e che sarebbe auspicabile che anche oggi si ripetessero, vista la tendenza di tanti giovani di oggi, a spendere la vita con scelte prive di senso e dalle prospettive negative. Eravamo in tanti noi, allora giovani, a fare la scelta del patronato, del catechismo, della S. Messa, delle lezioni di sociologia, dei giochi. Abbiamo imparato a stare insieme anche fuori del patronato, anche nel progettare qualche marachella non del tutto giustificabile, ma molto innocenti se paragonate a quanto succede oggi, protagonisti i giovani.

In quell’ambiente è maturata l’idea di creare una squadra di calcio.

Il merito va a chi, educatore, ha capito che bisognava dare una risposta al mondo giovanile che aveva bisogno di sfogare le sue energie e imparare a organizzarsi e a condividere con altri, responsabilità ed impegno.

Sì, perché il gioco di squadra presuppone l’impegno più che in altri sport individuali. Non puoi, quando ti muovi, trascurare che stai lavorando, pensando, faticando, impegnandoti anche per altri tuoi compagni, che da te si spettano lo stesso comportamento che anche loro sono impegnati a dare. Allora sì, la gioia è grande quando arriva il risultato positivo. Tutti condividono lo stesso sentimento con la stessa intensità; così anche se il risultato è negativo, lo sconforto prende tutti e tutti si sentono colpevoli senza criminalizzare nessuno in particolare. Si gioisce e ci si conforta tutti insieme. Che bella lezione di vita. Che insegnamento si ricava da queste emozioni.

Anche ad alcuni parrocchiani và il grande merito di aver condotto la doverosa battaglia, per fortuna solo verbale, con chi osteggiava l’impegno della parrocchia nell’assumere decisioni che si pensava effimere e dispersive di denaro; nuove strutture destinate a morire per mancato utilizzo.

Così non è stato per fortuna e per merito di chi si è impegnato a fondo per risolvere la questione del campo sportivo. Erano sostenuti e spronati da tanti giovani ed avevano trovato favorevolissimo il nostro cappellano Don Giovanni Guerra che difendeva questa posizione, pur consapevole delle difficoltà che si sarebbero incontrate nel portare a termine questo progetto.

Intanto, un gruppo di giovani hanno provato a giocare e così, nel 1954, ci sono state le prime prove sul campo.

Così nasce l' ”Ambrosiana”

che nel tempo ha preso le seguenti denominazioni:

nel 1954            “Squadra di calcio parrocchiale di Sambruson”

nel 1957            “G.S. Ambrosiana”

nel 1992            “Polisportiva Sambruson”

nel 2008            “a.s.d. Ambrosiana”

La parte che riguarda questo opuscolo è quella che riguarda il periodo 1954 – 1965, quando opera e gioca il “Gruppo Fondatori”, protagonista anche nella fase di costruzione del campo.

La nascita del G.S. Ambrosiana

Il G.S. Ambrosiana nasce a Sambruson negli anni 1954/1957, per volontà di alcune persone che si sono impegnate e di un gruppo di giovani desiderosi di giocare a pallone. In particolare ci piace ricordare tra i più impegnati: Agnoletto Italo, Semenzato Candido, Donà Pietro.

Nei primi due anni abbiamo partecipato a due tornei parrocchiali contro squadre di paesi viciniori: oltre che Sambruson, Camponogara, Campoverardo, Bojon,  Legnaro etc. Non essendoci campo da calcio, ne società che li potesse accogliere, Agnoletto Italo ha provato a presentare alcuni di noi (Berto Agnoletto, Franco Niero) alla società SAVA, squadra che ha raggiunto la serie D, promossa e sostenuta dallo stabilimento SAVA di Porto Marghera. Nonostante la prova fosse andata bene e avessero tesserato i due giovani, dopo due settimane circa i ragazzi sono stati vinti dalla nostalgia e dalla voglia di tornare a giocare con i loro amici a Sambruson.

Nel frattempo si giocava dovunque essendo ancora sprovvisti del campo. Finalmente nel 1958, c’è stata l’opportunità di coinvolgere Franco Cazzuffi come allenatore; subito si è dimostrato non solo un valido allenatore, ma soprattutto un maestro di vita che ci ha insegnato comportamenti e valori che hanno lasciato il segno. A lui anche il merito di aver dato il nome Ambrosiana alla squadra, a iscriverci al Centro Sportivo Italiano, provincia di Padova. Facendo parte del Comitato CSI di Padova abbiamo sempre giocato con squadre di quella provincia (Abano, Brusegana, Laghi di Cittadella, Arsego, Campo S.Martino, Guizza, Carmine, Casalserugo, Legnaro, Carrara S. Giorgio, S.Maria di Non, parrocchia di S.Carlo etc. etc.).


Il Campo Sportivo dedicato a Don Giovanni Guerra ex cappellano della nostra parrocchia, parroco pro tempore Don Carlo Segala.

Tante e lunghe sono state le vicissitudini che hanno portato alla realizzazione del campo sportivo a Sambruson.

In primis, la costituzione di una squadra di calcio era un fatto concreto.

2° - La voglia di giocare era tanta e le difficoltà incontrate da subito ancora di più. Si era costretti a giocare tutte le partite in trasferta. Altri giovani, oltre a quelli reclutati spontaneamente all’inizio, premevano per poter anche loro far parte di un gruppo, di poter giocare in libertà, di aggregarsi in squadra e poter confrontarsi con altri coetanei, per il loro paese. Era lo spirito giusto perché fosse tentato tutto il possibile per costruire un campo da calcio.

3° - Non era pensabile far sfuggire un’occasione simile, irripetibile, senza tentare di convincere la parrocchia a concedere la possibilità di giocare. Era indubbio che l’ostacolo maggiore consisteva nella necessità di cambiare d’uso circa 20.000 mq. di terreno che erano coltivati a vigneto e granoturco e che erano indispensabili per il sostentamento del clero a Sambruson, allora formato da 2 sacerdoti. Era diventato anche questo un problema che induceva tanti a pensarci e in qualche caso, a combattere l’idea sorta da giovani; che anteponevano la costruzione del campo alla conservazione dei beni parrocchiali per i fini istituzionali da sempre esistenti.

4° - Qui entrano in campo i parrocchiani, gente adulta, che sostiene con forza il progetto, che intravede la possibilità di creare uno spazio disponibile per le necessità dei giovani.

5° - Quante riunioni, quanti no decisi, quanti ni successivi ed infine quanti si all’iniziativa. Il primo sostenitore era senz’altro il cappellano Don Giovanni Guerra che, pur con tutta la discrezione possibile per non urtare il parroco, ci sosteneva e ci indicava i modi più convenienti per interloquire con il parroco che era una gran buona persona, ma lontano dal pensiero di dover sacrificare il terreno per una idea che sarebbe durata lo “spazio di un mattino”.

6° - Invece no! Lo sforzo di tante persone è stato finalmente vincente. La curia Vescovile, la Parrocchia, i Parrocchiani avevano dato il loro benestare e i lavori di straformazione del vigneto in campo sportivo sarebbero potuti iniziare.

7° - Adesso toccava a noi. A tutti quei giovani e meno giovani, giocatori e no, dirigenti, rimboccarsi le maniche e partire con i lavori di disboscamento, livellamento del terreno, recinzione e via discorrendo. Sarebbero comunque mancati sia gli spogliatoi e i servizi igienici che erano previsti nel fabbricato Patronato che stava lentamente sorgendo.

Intanto ci si arrangiava utilizzando il campo sportivo di Marano – presso lo stabilimento chimico che produceva uno scarto di produzione, consistente in una terra rossa che l’azienda aveva livellato, recintato, munito di un baracca in lamiera che fungeva da spogliatoio, un rubinetto per lavarsi, ma niente servizi igienici.

Le trasferte avvenivano in bicicletta; sette chilometri in andata e sette chilometri al ritorno, per poter giocare e magari perdere una partita.

Il campo ha preso consistenza in breve tempo grazie alla solidarietà e all’impegno di tante persone che, gratuitamente mettevano a disposizione tempo e qualche volta denaro per poter realizzare l’opera nel più breve tempo possibile.

E’ avvenuta l’inaugurazione. Una grande festa piena di commozione e gioia. Eravamo in tanti. Tutti felici e ansiosi di poterlo inaugurare anche con una partita.

Restavano però i debiti sia per le spese sostenute per la costruzione del campo, sia per la gestione che, piano piano, aveva preso consistenza. Così ogni anno abbiamo organizzato la pesca di beneficenza che ci ha visto in tanti a darsi da fare per immagazzinare durante l’anno tutto quello che era possibile per recuperare qualche entrata.

Quanti aneddoti ci sarebbero da raccontare. Ci limitiamo ai più significativi, dopo aver chiesto il contributo ai protagonisti di allora.

Aneddoti

ci piace ricordare in particolare:

- abbiamo scritto una lettera alla Soc. Sportiva Bologna Calcio chiedendo se era possibile ottenere qualche aiuto materiale. Ci hanno fatto recapitare uno scatolone con scarpe da calcio usate che avevano una particolarità; erano tutte contrassegnate con il nome del calciatore che le aveva indossate. Ci siamo così trovati a indossare scarpe appartenute a Schiaffino, Mora, Pascutti e molti altri. Comprese anche quelle di Manfredini, chiamato “Piedone” per il numero di scarpe che calzava (il 45). Cosicché l’uso di quelle scarpe ha comportato un uso spropositato di cotone o altro materiale per imbottire la punta. Ci viene da pensare al corredo sportivo di un giovane della nostra età che si iscrive al una società calcistica al giorno d’oggi.

- magliette e pantaloncini venivano forniti in caso di estrema necessità, da generosi dirigenti donatori (Cazzagon Renzo – Meneghelli Alberto – Fattoretto Luigino), per i calzettoni e altri accessori ci si doveva arrangiare.

- i palloni? Ammassi informi di cuoio e spago, ovali più che rotondi; se bagnati sembravano proiettili pericolosi, tanto che era meglio evitare il colpo di testa. Venivano forniti da qualche persona di buona volontà, compreso il parroco.

- i trasporti avvenivano con tutti i mezzi possibili:

bicicletta, motorino, moto, auto e piccolo pulmino Volkswagen. Naturalmente il tutto per poter trasportare 11 giocatori, allenatore, segnalinee, portiere di riserva

(che noi avevamo tra i giocatori) e 12° giocatore, dal momento che non era allora ammessa più di una sostituzione. In tutto 14 persone. Nessun tifoso al seguito.

Le vicende legate alle trasferte sono le più ricche di aneddoti.

- Scontri con il parroco che pretendeva di mettere a disposizione la sua auto personale (Fiat 600), solo se a condurla fossero state persone di sua fiducia e con il divieto di caricare più di 4 persone compreso il conducente.

- La motocicletta dell’allenatore che veniva affidata a due giocatori. Veniva usata anche con temperature rigide, tanto che all’arrivo, prima di scendere in campo si doveva molto spesso sgranchirsi a lungo ed aiutarsi con un bicchierino di grappa o altra bevanda calda. Si tenga presente che tanti incontri si svolgevano al mattino. Alzate mattutine molto anticipate, viaggio di andata, partita e ritorno. Tutto bene se si aveva vinto; in caso contrario tanto e tanto dispiacere. Le vere emozioni, sia nelle occasioni positive che negative, venivano vissute con tanta passione e tanta ansia nel riferire l’esito delle partite a coloro che a Sambruson aspettavano il nostro ritorno per festeggiare assieme a noi o per incoraggiarci in caso di esito negativo.

- il pulmino da 7/8 posti era messo a disposizione da Cazzagon Renzo, industriale della calzatura in località Ponte. Unico problema consisteva nel fatto che il pulmino doveva essere scaricato da qualcuno di noi al sabato e ricaricato alla domenica sera. Lo si faceva con grande impegno e pure ringraziando. Un merito speciale per questa incombenza va dato a Fecchio Mario che, convinto atleta, si faceva in quattro perché il pulmino fosse disponibile.

- merita un discorso a parte l’utilizzo della Fiat 500 giardinetta di proprietà di Zamengo Reginaldo (giocatore, capitano, figlio di un commerciante del paese, fratello di un altro amico, purtroppo scomparso, che non poteva essere trasportato in macchina, nonostante le sue insistenze commoventi, perché sarebbe mancato un posto per un giocatore) Si pensi che riuscivamo a montare in sette; se avete presente la grandezza e la portata del veicolo vi domanderete come ci si riusciva. Il segreto era quello di far salire i più magrolini e piccolini. Si può tranquillamente affermare che senza la disponibilità di tale vettura non saremmo mai riusciti a giocare in trasferta.

- Le multe che la polizia stradale ci infliggeva per il troppo carico venivano ripartite tra gli occupanti del mezzo interessato alla contravvenzione.

- Il premio partita consisteva, quando al seguito c’era qualcuno che se lo poteva permettere, in un bicchiere di “spuma” e, ma molto raramente, in un panino.

- La chiave della macchina sfuggita di mano al nostro autista Boscaro Amedeo (el moro Tambareo) e cadute in un pozzetto che ricopriva una fossa biologica (una vera latrina). Il problema è stato risolto immergendo attrezzi di fortuna nella latrina, rimestare il tutto fintantoché la fortuna ci ha assistito e siamo riusciti ad agganciare la chiave che abbiamo provveduto a lavare e riconsegnare all’autista.

- Uno scontro con il parroco per aver disturbato il pollame di sua proprietà a seguito di una scherzosa scena avvenuta alla fine della segnatura del campo. Uno dei nostri giocatori che avevano segnato il campo ha rincorso una gallina e l’ha presa con un tuffo degno del miglior portiere. Naturalmente il pollo è stato subito lasciato libero; nessuno si era, però, accorto della presenza del parroco nei paraggi. Questo ha iniziato a inveire molto aspramente contro i presenti; essendo presente anche il nostro allenatore, pensavamo che il parroco capisse che si era trattato di uno scherzo; invece no!; si è dovuto contrastare il parroco per la sua spropositata presa di posizione; toni anche aspri che non hanno però scalfito i rapporti con il parroco (don Carlo Segala) che invece abbiamo sempre ammirato perché, sebbene dopo tante e tante insistenze della comunità parrocchiale ha concesso il permesso di costruire il campo da calcio che, dopo 50 anni, è l’unico ancora esistente in paese.

- Dopo gli incontri si doveva, in alcuni casi, rompere il ghiaccio nel fosso per potersi togliere il fango dal corpo; quasi sempre solo un rubinetto all’aperto ci permetteva di poterci un po’ lavare; il pozzo, ora non più esistente, davanti alla barchessa, che un tempo era adibito a fornire acqua potabile ed era guardato a vista dal caro Segato Ernesto, era tutto quello che si disponeva per le necessità di igiene e per le necessità alimentari.

- Gli spogliatoi erano comunque mancanti e carenti nella stragrande maggioranza dei casi. Era una situazione che tante parrocchie (le squadre iscritte al CSI erano quasi tutte parrocchiali) non avevano ancora superato, visto le altre grandi necessità esistenti nei paesi che erano appena usciti da un periodo oscuro di guerra.

- Le riunioni di Azione Cattolica, di sociologia, la partecipazione alla S. Messa erano motivi validi per essere in posizione ottimale per un più facile inserimento in squadra. Anche il comportamento aveva un significato nell’ambiente in cui è nato il G.S. Ambrosiana.

- Incontro con la squadra della “Coltivatori Diretti” di Cartura (Pd), sul loro campo da poco arato e fortemente ghiacciato. In quella occasione si è giocato su un campo impossibile. Si trattava di utilizzare come campo di gioco, un terreno delimitato alla meglio, senza un filo d’erba e strato erboso che avesse permesso di correre senza sprofondare nel ghiaccio. Immaginate dieci centimetri di fango e sotto un terreno ancora ghiacciato. La partita si giocava al pomeriggio, quando il sole aveva riscaldato un po’ e aveva sciolto in superficie il ghiaccio rendendo il terreno una fastidiosa fanghiglia che non permetteva una buona corsa, ma soprattutto i tiri venivano frenati. Un ricordo particolare: “su un tiro in porta di Berto A., a seguito di un rigore concesso, il pallone è uscito ed il portiere si è trovato a parare una palla di fango. A fine partita, visto lo stato di sporcizia in cui si trovavano i giocatori, avevamo bisogno di lavarsi per togliere almeno un po’ di fango. Non essendoci spogliatoi attrezzati e dotati di acqua, siamo ricorsi all’acqua di un pozzo, convinti che qualche secchiata di acqua fosse possibile utilizzarla. Non l’avessimo mai fatto. E’ subito arrivato un contadino che, armato di badile, ci ha costretto a desistere, minacciando di romperci la testa. Non ci è rimasto, a questo punto, che ricorrere all’acqua di un fosso, raggiunta dopo aver rotto il ghiaccio, sfidando il freddo, i conseguenti pericoli di malattie che avremmo corso. Solo così abbiamo potuto togliere un po’ di fango e rivestirci alla meglio. La passione per il gioco del calcio ci ha portato anche a queste situazioni; negative da un lato, ma positive per lo spirito che esprimevano: nessuno si lamentava, ci bastava giocare e magari vincere. Tutto il resto era superfluo.

- In merito all’abnegazione e ai sacrifici affrontati per giocare a calcio, raccontiamo un altro episodio che fa riflettere anche sullo stato degli impianti, della situazione ambientale esistente a quell’epoca. Sarà utile anche per un raffronto con la realtà attuale che, nonostante i grandi progressi, trova ancora tanti contestatori. Si trattava di andare a giocare in trasferta a Legnaro. Il problema era sempre il solito; difficoltà nel trovare mezzi di trasporto sufficienti. Alla fine, era stato necessario ricorrere ad un mezzo di trasporto particolare per permettere il trasporto di tutti i componenti la squadra. E’ stato utilizzato un motorino di 48 cc. la cui marca e tipo non si ricorda.(Cucciolo?, Motom?, Aquilotto?, Lambrettino?, mah!; un mezzo comunque oggi proibito per il trasporto di due persone, con obbligo di casco, a quel tempo impensabile, forse oggi è necessario anche il patentino?).

A Paolo G. e Berto A. era stato affidato l’utilizzo di quel mezzo di trasporto che ha fatto molta fatica a raggiungere Legnaro. La stagione era abbastanza buona da consentire tale utilizzo, ma non sufficientemente per evitare che Berto A., a causa di un colpo d’aria si procurasse un fastidioso torcicollo. Nessun problema, data la stoicità del personaggio. Ha giocato tutta la partita con la mano che riparava il collo dolorante e sosteneva la testa piegata dal dolore, che si può immaginare quanto potesse essere. Anche questo, un caso di sacrificio per amore della squadra e testimonianza della passione per il gioco del calcio.

Ci piace ricordare alcuni particolari ambientali che abbiamo ancora impressi nella mente, evidenziati in quella partita:

il campo era attraversato da un passaggio pedonale che congiungeva la canonica alla chiesa. Il fatto era che questo percorso era formato da uno strato di ghiaino, rialzato rispetto il livello del campo erboso; questo comportava pericolo durante la corsa, rimbalzi anomali e non prevedibili del pallone quando cadeva in quel tratto.

I pali delle porte (quasi sempre le reti mancavano perché non obbligatorie): erano smontabili e subito dopo la partita venivano smontati e portati al sicuro, per evitare furti, già avvenuti in passato. Questo particolare è stato motivo di ilarità e ci ha fatto ricordare che il detto allora popolare ”a Legnaro piantano fasioi e nascono ladri” non era poi così campato in aria.

Don Beniamino: cappellano a Sambruson negli anni 40 e/o 50, incontrato dopo la partita ha ricordato alcuni momenti e persone conosciute nella nostra parrocchia.

- A proposito di ex cappellani di Sambruson incontrati in occasione delle partite in trasferta, è sintomatico il fatto avvenuto a Guizza, a dimostrazione della intensità del rapporto tra sacerdoti e parrocchiani. Don Fortunato, cappellano a Sambruson agli inizi degli anni quaranta, era diventato parroco di Guizza, alla periferia di Padova; paese non certo urbanizzato come ora, ma comunque di discrete dimensioni. Dopo la partita, prima della nostra partenza per il rientro, ci ha voluto incontrare. Ci ha schierati tutti e ci ha fatto declinare, uno per uno, le generalità e il nome dei nostri genitori. Con nostra grande meraviglia, di ognuno di noi conosceva la famiglia, il suo soprannome, la via di residenza e tante notizie relative a parenti, famiglie vicine di casa. Ci ha raccontato aneddoti a noi sconosciuti e confermati con meraviglia, successivamente a casa quando abbiamo raccontato l’incontro. E’ stato un momento commovente che ci ha aiutati a capire quanto i rapporti di amicizia, una volta consolidati, siano difficili da sciogliere.

- Le Mamme e il loro ruolo:

Abbiamo ormai un’età in cui, probabilmente, tutti siamo orfani di madre. E’ doveroso e impossibile non sottolineare il contributo che anche loro hanno dato perché noi potessimo giocare a calcio. In primo luogo la loro fiducia nelle persone dello staff dirigenziale e l’ambiente che i loro figli frequentavano. Affidavano i figli, convinte che per loro lo stare insieme, l’amicizia che si creava e i sacrifici sostenuti, avrebbero contribuito alla loro crescita fisica e caratteriale. Molte volte agivano senza coinvolgere i loro mariti, dal momento che per i nostri papà, salvo pochi casi, non erano concepite le perdite di tempo per rincorrere un pallone; avrebbero voluto che le energie fossero impiegate in modo più fruttuoso; pensavano che il calcio avrebbe sottratto ore da destinare al lavoro. Insomma avrebbero preteso un impegno rivolto a risultati professionali; un buon lavoro da imparare per garantire il nostro futuro. Tutto sommato un atteggiamento positivo in un periodo in cui c’era da rimboccarci le maniche per progredire sia professionalmente che, di conseguenza, economicamente. Le mamme no! Erano convinte che anche il gioco e l’inserimento dei loro figli in ambienti sani e propositivi, avrebbero avuto una grossa importanza nella formazione ed educazione dei loro figli. Dobbiamo ringraziarle per quanto si sono adoperate per noi. Erano loro che accudivano al vestiario, che ci facevano trovare sempre lavate e stirate le divise. Erano loro che cercavano di confortarci quando al ritorno tornavamo con qualche ammaccatura, che ci aiutavano a guarire in fretta. Ognuno di noi avrà, su questo argomento, i suoi ricordi particolari, ma in definitiva il comportamento protettivo, incoraggiante, complice, era patrimonio di tutte le nostre care mamme. Siamo fieri di loro e certi che il loro è stato vero amore. Peccato che non sempre siamo riusciti a ricambiare tale sentimento, scambiando qualche loro consiglio in ammonimento. Ricordiamole con affetto e tanta riconoscenza.

Tanti altri aneddoti, ricordi, considerazioni ci sarebbero da raccontare, sia per quanto riguarda i prima e dopo partita, sui lavori di costruzione del campo, sui lavori di costruzione del patronato etc.

Chi non ricorda i cani di guardia al deposito della Domenichelli trasporti che non ci permettevano di raccogliere il pallone quando questo usciva dal campo? Che una partita è terminata dopo quasi un’ora di sosta forzata per questo motivo?

Chi non ricorda la partita a Campo S.Martino, quando un innocuo pallone, preda del nostro portiere Dino C. che lo aveva chiamato a Gino B., si è visto scavalcato dallo stesso e subire il gol; era Gino che non aveva percepito la chiamata e con molto stile aveva passato al portiere, nel frattempo uscito incontro al pallone?

Chi non ricorda quando il nostro portiere (di cui non facciamo volontariamente il nome), arrabbiatosi con un nostro difensore, ha abbandonato la porta senza attendere che qualcuno prendesse il suo posto?

Chi non ricorda l’episodio che vedeva il nostro portiere dire ad un attaccante avversario: “se la tiri da questa parte ti faccio segnare”? E così fù:

Chi non ricorda quando il nostro centravanti Giorgio M., dal tiro al fulmicotone, calciò in porta; il portiere si esibì in una splendida presa, ma la forza impressa dal nostro giocatore era tale che il portiere con il pallone in mano fu letteralmente portato in rete?

Chi non ricorda quando con fondo fangoso abbiamo giocato a S. Maria di Non; lo svenimento di Enzo Z., la testa dello stesso che ferma il pallone che stava entrando in rete?

Chi non ricorda il gol segnato a Strà da Paolo G.? Su un tiro di rinvio di un difensore avversario, il pallone arriva a metà campo, Paolo tira e segna da quella enorme distanza.

Chi non ricorda quante punizioni e rigori ha procurato Renzo D., sempre a terra al minimo contatto con l’avversario? Avrebbe potuto concorrere e battere qualsiasi famoso cascatore.

Quanto ci sarebbe ancora da raccontare se ognuno di noi volesse contribuire raccontando episodi vissuti dentro o fuori del campo. Restiamo a disposizione per dare più forza ai nostri ricordi; e non solo per noi, ma per trasmetterlo a quanti non credono che il gioco era anche tanto sacrificio. Sacrificio che però non è riuscito a superare l’entusiasmo e la gioia di correre dietro ad un pallone.

Vogliamo citare anche alcuni episodi che certo non brillano per correttezza, sportività, etica, ma che possono dare l’idea di quanto fosse importante per noi il gioco del calcio.

Un episodio negativo, ma significativo, che vede protagonista l’amico Marino (Berto) A., è il seguente:

Una domenica, il calendario del nostro girone ci vedeva giocare in trasferta a Abano. Quel giorno pioveva e il campo era scivoloso, quasi impraticabile. L’arbitro si chiamava Nicolè, famoso più che come arbitro, perché cugino del famoso centravanti della Juventus. In quella partita Berto A. era il centravanti; di solito ricopriva il ruolo di mezz’ala sinistra (n° 10) e in qualche occasione, anche di mediano sinistro (n° 6). In quel momento l’Abano era capo classifica e noi, come sempre, eravamo fra le ultime. Quella domenica, però, noi eravamo favoriti dal campo pesante e scivoloso. Noi, che giocavamo con tanta passione, usavamo più la forza della volontà che la tecnica e sul fango ci trovavamo a nostro agio. Inizia la partita e fin dai primi minuti abbiamo capito che potevamo vincere. Dopo qualche azione di gioco, infatti, a Berto arriva il pallone lanciato dal nostro centromediano Niero F.; pur se pressato e marcato stretto dal loro centromediano, si disinteressa del pallone superando l’ avversario, sperando che sbagliasse lo stop. Così è stato e Berto si è  trovato il pallone, mancato dall’avversario, in posizione ideale per calciare e segnare. Uno a zero a nostro favore. Dopo dieci minuti si è ripetuta la stessa situazione, quasi in fotocopia: l’avversario non riesce a stoppare il pallone e Berto segna il due a zero. Da questo momento l’arbitro ha cominciato a fischiare punizioni inesistenti contro la nostra squadra, concedendo ai nostri avversari un rigore, pure inesistente. Sul risultato di due a uno, poi, l’arbitro ha convalidato un gol chiaramente viziato da fuori gioco di almeno due metri. Così ci siamo trovati sul due a due. Cazzuffi, il nostro allenatore, ci faceva notare che non potevamo farcela, visto come venivamo puniti dall’arbitro; ci consigliava l’uscita dal campo prima del termine della partita. Personalmente non ero per niente d’accordo su questa soluzione. Mi sentivo di reagire a questa ingiustizia; il momento è avvenuto quando, lanciato il pallone al nostro giocatore Bruno G., lo stesso lo ha stoppato sulla linea bianca di bordo campo, all’interno del campo da gioco. L’arbitro fischia il fallo laterale dando per certa l’uscita della palla. Il nostro giocatore blocca la palla sulla linea bianca e chiama l’arbitro per verificare che il pallone era in gioco. Mentre l’arbitro si avvia verso il nostro giocatore mi passa vicino. Io non resisto e lo colpisco in faccia con un gancio sinistro degno di un bravo pugile. L’arbitro cade a terra semisvenuto e quando si riprende  mi espelle (giustamente). Devo dire che uscendo dal campo mi sentivo soddisfatto; avevo scaricato tutta la mia rabbia e anche quella di tutta la squadra (beata incoscienza). Nel prosieguo della partita abbiamo subito anche la terza rete che ci ha fatto perdere la partita per tre a due. Siamo tornati a casa molto delusi, ma anche consapevoli che mai avremmo potuto vincere una partita con le prime della classifica visto che, essendo la nostra squadra di un paese fuori della provincia di Padova, non ci sarebbe stato concesso di batterci alla pari. Era una cosa simile a quello che ai nostri giorni è chiamata “sudditanza psicologica” da parte dell’arbitro. La conseguenza di questo mio gesto è stata la squalifica a vita inflittami dalla commissione disciplinare e che per me è stata una vera mazzata. Non poter più giocare; non poter gioire e patire con i miei amici. Ero veramente sconvolto. Fortunatamente, qualche mese dopo sono stato amnistiato. In occasione della morte di Papa Giovanni XXIII°, infatti, il Centro Sportivo Italiano ha deciso di annullare tutte le sanzioni inflitte agli atleti e dirigenti, dando un segnale di benevolenza e di recupero a persone che, pur avendo sbagliato, potevano meditare e modificare il loro comportamento. Nel campionato successivo, una domenica, prima dell’incontro, ho potuto riappacificarmi con l’arbitro Nicolè; ci siamo scambiati saluti, scuse ed auguri. E’ stato un bel momento che mi ha liberato dal rimorso, nato da quel brutto episodio, che non ho più ripetuto. Anche questa è stata una lezione di vita.

Durante una partita giocata a Ponte S. Nicolò, causa la mancanza di reti sulle porte, l’arbitro non convalida un gol regolare, non avendo visto il pallone entrare tra i pali e convinto che lo stesso fosse uscito. Cominciano le nostre lamentele e un parapiglia generale che ha coinvolto noi giocatori, spettatori e dirigenti. Nulla di eccezionale, ma qualche spinta un po’ pesante e tante parole sconvenienti. Ad un certo momento il nostro presidente Meneghelli protesta vivacemente con l’arbitro; uno spettatore o più di uno, il ricordo è annebbiato, aggrediscono il nostro presidente che si vede costretto a difendersi. A questo punto parte Franco R., prende per il collo uno di questi spettatori colpevoli e con una serie di colpi colpisce sulla testa a modo di martello il malcapitato. Interviene il nostro capitano per scongiurare squalifiche pesanti. Alle insistenze del capitano, Franco R. risponde con una enfasi difficile da descrivere: “Hanno bastonato il mio presidente… hanno bastonato il mio presidente”, Un atteggiamento di vendetta che a distanza di così tanto tempo fa ancora ridere, ma che voleva esprimere lo spirito di coesione che esisteva, la solidarietà del gruppo. Non ricordo come sia finita a livello disciplinare; si sa che il clima si è rasserenato; gli animi si sono calmati; il gol però, non ci è stato concesso. Da ricordare in quella partita la posizione del campo; di ben 4/5 metri sotto il livello del fiume che scorreva a fianco.

Poi gli anni passano, si diventa “grandi”, si prendono altri percorsi che nella vita di ognuno sono stati importanti; si passa il testimone ad altre persone di qualità e buona volontà. Si interrompe per tanti di noi un percorso fecondo e ricco di emozioni e ricordi. Il lavoro, la famiglia, le preoccupazioni, però, non ci allontanano mai del tutto. Ogni tanto si sente il bisogno di ritrovarci, di parlare, di ricordare e per non dimenticare le persone che ci hanno stimolato, aiutato a saper anche perdere, convinti però che l’amicizia sia una cosa fantastica che non può essere dimenticata facilmente; per questo cerchiamo di curarla chiamandoci ogni tanto a raduno e felici di poter rispondere, piacendo a Dio: “Presente”.

Un pensiero particolare a quanti, giocatori, dirigenti, sostenitori, non possono essere presenti con il loro entusiasmo. Ci hanno preceduto, ma siamo certi che anche da lassù siano presenti ogni qualvolta ci ritroviamo per ripensare a questa bella e, purtroppo, non ripetibile esperienza.

Il “Gruppo Fondatori”

Da quanto espresso in queste pagine, dal sano entusiasmo nato nel periodo preso in considerazione, dalle storie positive e negative vissute, cosa è rimasto al giorno d’oggi?

E’ rimasto un sentimento di amicizia fraterna che lega tante persone a ben 50 anni di distanza. Un’amicizia, un cameratismo, una fratellanza, un affiatamento, una stima reciproca che con l’andar degli anni si è sempre più cementata. E’ probabile che certi sentimenti vissuti in gioventù, sia possibile riviverli ed incrementarli quando, più grande, hai più tempo da dedicare ai ricordi; ed è pur vero che ti accorgi di quanto cara sia l’amicizia, quando qualcuno ci lascia concludendo la vita terrena. E’ questo il momento che ci vede uniti; c’è una partecipazione totale, sentita, al lutto della famiglia amica; c’è una disponibilità da parte degli amici più vicini alla famiglia, per cercare di alleviare la sofferenza. Abbiamo già avuto degli esempi di vera amicizia dimostrata proprio nel momento di bisogno. Sono, per fortuna, anche altri i momenti che ci vedono uniti, felici di poter ricordare tanti episodi e aneddoti dei tempi andati. E’ strabiliante vederci sorridere e rallegrarci per fatti accaduti in tempi che ormai si perdono nella storia. Invece è tutto così allegro, così spontaneo, così sincero, così atteso, da far invidia a tanti; ma anche in quei bei momenti non manca mai il ricordo degli amici scomparsi, che rimane il motivo principale dei periodici incontri. Anche se poi gli incontri si concludono in qualche ristorante dove l’atmosfera è diversa, sappiamo e sentiamo che presenti ci sono anche loro e per loro qualche componente della loro famiglia che ha capito lo spirito che lega questo “Gruppo Fondatori” che sa gioire, soffrire, solidarizzare e ricordare con cuore pieno di emozione e nostalgia. Ci siamo e ci saremo, a Dio piacendo, sino a quando le forze fisiche ce lo permetteranno. Vorremmo che, anche chi oggi è giovane e sta vivendo la fase spensierata legata all’età, tragga esempio dalla nostra esperienza.

Solidarietà e amicizia devono essere alla base di ogni loro azione e il gioco una palestra di vita. Auguriamo che possano trovare, così come è stato per noi, persone che li sappiano consigliare ed educare alla vita, capire che il bello è guadagnarsi gli spazi con sacrificio, mettendo in gioco il proprio orgoglio e la propria aspirazione per un inserimento sereno nella società.

L’Attività del “Gruppo Fondatori”

Il “Gruppo Fondatori” è stato silente e inerte per parecchi anni. Ognuno si è mosso in modo spontaneo ed in qualche occasione si è potuto organizzare qualche partita tra scapoli e ammogliati, tra rappresentanti di famiglie numerose, o tra ex giocatori. A queste, naturalmente seguiva sempre un incontro in qualche ristorante.

Un gruppo di ex giocatori, l’allenatore Franco Cazzuffi si sono attivati per iniziare un percorso che piano piano, vista anche la sollecitazione di tanti amici, ha intensificato le occasioni di incontro, fino a costituire un comitato organizzatore che decide di volta in volta, quando, dove e perché trovarci. Il perché, è stato deciso all’unanimità: ritrovarsi per stare insieme non prima di aver onorato, è stato fin da allora lo scopo principale, con una S. Messa gli amici  scomparsi. Elenco che và via via allungandosi e che indica il destino al quale tutti noi saremo chiamati a inchinarsi, sicuri però che ci sarà sempre qualcuno che si ricorderà di noi.

1° incontro – 11 Giugno 1978

Abbiamo festeggiato il 20° anniversario di fondazione con un nutrito numero di partecipanti. La festa si è svolta presso villa Colloredo di proprietà di Meneghelli Alberto, uno dei presidenti della società G.S. Ambrosiana.

Dopo la S. Messa, celebrata in ricordo di Don Giovanni Guerra e degli amici scomparsi, abbiamo disputato una partita tra ex giocatori, non prima di aver deposto una corona sulla lapide di Don Giovanni. La giornata è stata completata con un pranzo sociale nel parco della villa. Hanno partecipato una sessantina di persone (ex giocatori e loro famigliari).

E’ stato l’inizio di una lunga serie di incontri che sono riusciti a rinforzare l’amicizia e ricordare i tempi trascorsi, in un’atmosfera di cordialità.

2° incontro – 20 Maggio 1979

Nel parco di villa Colloredo – Meneghelli, presenti 150 persone (ex giocatori, collaboratori, dirigenti e famigliari).

S. Messa con ricordo particolare degli amici scomparsi; posa corona di alloro sulla lapide di Don Giovanni Guerra; partita di calcio finita in parità.

Pranzo sociale con consegna targhe di riconoscenza per meriti sportivi a Bertocco Walter, Poletto Vittorio, Cerato Italo, Boscaro Amedeo, Semenzato Candido, Agnoletto Italo e Donà Pietro.

 

3° incontro – 30 Settembre 2000 – 42° anno dalla fondazione

programma: S. Messa in suffragio degli amici deceduti; serata conviviale con cena presso ristorante “Shock” di Sambruson sociale. Presenti 50 persone.

4° incontro – 9 Novembre 2003 – 45° anno dalla fondazione

programma: S. Messa in suffragio degli amici deceduti; pranzo sociale presso ristorante “Il Valentino” di Sambruson. Presenti 75 persone.

Nell’occasione viene presentata la poesia che riportiamo più avanti, scritta dall’ex giocatore, amico, scrittore – poeta – maestro Zilio Andrea.

5° incontro – 22 Aprile 2007 – 49° anno dalla fondazione

programma: S. Messa in suffragio degli amici deceduti; pranzo sociale presso agriturismo “Valle Averto” di Campagnalupia. Presenti 66 persone.

6° incontro – 8 Giugno 2008 – 50° anno dalla fondazione

programma: S. Messa in suffragio degli amici deceduti; pranzo sociale presso ristorante “Il Corsaro” di Calcroci. Presenti 63 persone.


Questa è la poesia presentata al 4° incontro dall’amico Zilio Andrea. L’ha scritta nella speranza di far cosa gradita a noi che quella maglietta l’abbiamo portata. L’ironia, le similitudini, sono molto aderenti ai sentimenti e ai fatti narrati.

Avevamo una maglietta celeste

Com’eri bella,

vecchia maglietta celeste,

orgoglio delle nostre feste,

ora larga, ora stretta,

passata di mano,

lavata, ricucita, sbiadita,

ma sempre ambita.

Andavamo a giocare a Salboro,

che era meglio di S. Siro,

felici e contenti

di poco, quasi niente:

scarpe rotte

cuore grande

sudore tanto,

amici anche di più.

Com’erano belli i nostri piedi.

Sui prati verdi,

come gli anni nostri,

correvano da soli!

Stiamo ancora correndo

sulle ali di sogni e di ricordi

che aiutano a vivere

che fanno sorridere:

anche questo è vincere.                                                   Andrea Zilio

Con l’intensificarsi degli incontri e degli eventi luttuosi che periodicamente interessano tutti i soci, da tempo si è provveduto a formare un “gruppo promotore” per discutere su vari argomenti, proporre iniziative, suggerire idee e propositi, farsi portavoce presso la totalità dei soci. Si sono fatti carico per tali compiti: Cazzuffi Franco; Agnoletto Marino; Gottardo Paolo; Zamengo Enzo; Mescalchin Renzo; Borella Giuseppe.

 

L’ambito di competenza è ristretto a:

-      Organizzare gli incontri, stabilendo la data, predisponendo il programma, scegliendo il locale e il menù per il ritrovo conviviale, comunicare a tutti i soci l’evento, raccogliere le adesioni, procurare gli eventuali gadges, stabilire il costo a carico dei partecipanti.

-      Stabilire un contatto con i soci o le loro famiglie in caso di necessità, farsi sentire presenti nel momento del bisogno, facendo attenzione a non invadere la privacy.

-      Nei casi di lutti familiari, siamo presenti a nome di tutti i soci, sia nel partecipare il nostro dolore per la perdita di un amico, sia per mettersi a disposizione in caso di necessità.

-      Si cerca di avvisare più soci possibile, per la partecipazione alle esequie, si raccolgono le offerte che si provvede successivamente a far pervenire alla famiglia, accompagnandole con alcune parole di conforto e di circostanza.

Questo particolare e significativo rapporto con le famiglie è iniziato nel 2004, con la morte dell’ex presidente Alberto Meneghelli ed è proseguito per gli altri amici scomparsi:

Terren Diego; Niero Paolo; Simionato Mario; Darici Carlo.

Ci è sembrato giusto esternare la nostra commozione e partecipazione al dolore per amici che hanno condiviso con noi tutti le varie vicissitudini sin dal momento della fondazione del “G.S. Ambrosiana”. Prima di adottare questa iniziativa in modo organizzato e indiscriminato, gli eventi luttuosi che colpivano il nostro gruppo venivano partecipati in modo personale e individualistico. In alcuni casi si è potuto concretizzare una colletta, consegnando alla famiglia il ricavato per l’utilizzo che la stessa famiglia avesse ritenuto più opportuno. In ogni caso siamo sempre stati presenti, almeno con una rappresentanza significativa a tutti gli aventi succedutesi.Si è ritenuto opportuno rappresentare il gruppo non con corone di fiori; ma con una partecipazione più diretta e concreta.


Elenco dei dirigenti, atleti e collaboratori dalla data di fondazione.

P = Presidente; D = Dirigente; M = Medico sociale; C = Collaboratore;

S = Sostenitore; A = Atleta; Allenatore; SN = Soprannome.

Ruolo: P = Portiere; T = Terzino; CM = Centromediano; CC = Centrocampista;

M = Mezz’ala; CA = Centravanti; A = Ala.

Se deceduto = *

Nominativo Soprannome Categoria Ruolo Deceduto

Agnoletto   Italo                 Carburo           P                                     *

Agnoletto   Corrado             Stefanin           A              CC

Agnoletto   Marino              Fighi                 A               M

Asti           Leandrina                                  C                                    *

Benetti      Franco               Cagna               A                A                  *

Bertocco    Walter                                      C                                     *

Bettini       Guglielmo                                 S

Boato         Walter                                      A                CA                 *

Boran        Iles                   Caregheta          C

Borella      Giuseppe                                    A                M

Boscaro     Amedeo            Tambareo          C                                     *

Bovo         Andrea                                       C

Brusegan   Gino                  Testa di vetro     A                P + T

Cazzagon   Renzo               Triccia                P                                     *

Cazzuffi     Franco               Stefanati            D              Allenatore *

Celeghin    Roberto                                     A                M                   *

Cerato       Italo                 Serato               C *

Chellin       Dino                                         A                P

Coletto      Franco                                      A                T

Darici        Carlo                 Manubrio           A                CC                *

Darici        Fabrizio             Bicio                 A                M

De Gaspari Vittorio                                     S

De Lorenzi Saverio                                      A                CM                 *

Dittadi       Romano            Begon               C                                      *

Donà         Augusto             Storaro             C

Donà         Gino                  Storaro             C *

Donà         Pietro                Storaro             P *

Donò         Antonio             Merican             S                                     *

Donò         Mirco                Merican             C

Donò         Renzo               Merican             A                M

Fabris        Primo               Menotto             C                                     *

Fattoretto Giancarlo           Gian                  D                                     *

Fattoretto  Luigino             Gian                  P                                      *

Favaretto   Giovanni            Nea                  A                CC

Fecchio      Mario                                        A                A

Ferraresso Ferruccio           Angi                  C

Gabin       Fernando           Rugolo               A                P

Gazzetta    Renzo                                       A                M

Gottardo    Franco               Ghete               A                A

Gottardo    Gabriele            Zioba                A                M

Gottardo    Luciano             Gioeto               A                CC

Gottardo    Paolo                Rosso                A                A

Gottardo    Tarcisio             Gioeto               A                CM

Griggio      Bruno                                        A                M

Lazzaro     Luciano             Botesea              C

Marchiori   Antonio                                     C

Marchiori   Dorino                                       C

Marigo       Renzo                                        A                A *

Marin        Gianni                                        S

Marin        Giorgio                                      S

Martire      Paolo                                        A                CA

Masato      Carlo                                        A                CA

Menegazzo Mario                                        A                A

Meneghelli Alberto                                     P                                      *

Meneghelli Giorgio                                      S

Mescalchin Renzo                                       A                T

Migliorini Giorgio                                        A                CA

Minchio      Paolo                                        A                T

Minchio      Rinaldo                                     S

Naletto      Guerrino            Pisolo               A                T

Niero         Paolo                Peo                   C                                     *

Niero         Franco                                      A                CM

Niero         Giorgio              Bae                  A                A

Niero         Renzo                                       A                T

Novello      Antonio             Scapin              M

Organo      Alfio                                         S                                      *

Pedrini       Sandro                                     A                T *

Poletto      Vittorio              Bio                  C

Polo          Alessandro                                C                                      *

Polo          Bruno                                       C *

Polo          Gianni                                       A                CC

Polo          Giuseppe                                   C

Polo          Paolo                                         A                CA

Righetto     Franco                                      A                T

Ruvoletto   Dino                  Lelo                  A                A

Ruzzene     Manlio                                       A                CC

Saccarola   Giuseppe           Picin                  C

Salviato     Luigi                 Gigin                  A                T                    *

Segato      Antonio                                      C

Segato      Ernesto             Cioci                   C                                      *

Semenzato Candido             Rossi                 P *

Simionato  Mario                                         A                P                    *

Spillere      Renzo                                        A                M

Tassetto    Giorgio                                      A                A

Tassetto    Silvano                                      A                T                    *

Terren       Diego                Motta                A                CC                  *

Tredini-Donà Guerrino         Guerra              A                A

Vanzan      Renzo               Menotin             A                M

Vescovi      Gino                                         A                T

Zamengo   Alessandro         Suste                 A                T                   *

Zamengo   Reginaldo          Piccirillo             A                CA

Zampieri    Luigino                                      A                M

Zilio          Andrea                                       A                A

Don Giovanni Guerra - Assistente Spirituale – Cappellano parrocchiale      *

Don Carlo Segala      - Arciprete                                                            *


Visibilità del “Gruppo Fondatori”

Negli ultimi tempi siamo stati impegnati per essere presenti e attivi in occasione di eventi che ci avevano visti protagonisti. Abbiamo cercato di dare il nostro modesto contributo nella speranza di aver colto l’intendimento e il pensiero di tutti i soci.

A questo proposito riportiamo gli interventi preparati, ma non potuti leggere, data l’ora tarda, in occasione del 50° anniversario dell’Ambrosiana, festeggiato il 13 Ottobre 2008 nel teatro tenda in piazza San Valentino a Sambruson.

Ci era stato chiesto di dare una testimonianza del periodo di nostra competenza (1954 – 1964).

Li riportiamo perché in essi, pur se in qualche caso ripetitivi, ci sono gli elementi che avrebbero potuto far comprendere lo spirito che ci anima.

In particolare la testimonianza dell’amico Andrea Zilio è commovente e rispettosa dei sentimenti che erano patrimonio di quegli anni e non solo per quanto riguarda il nostro gruppo, ma è un insegnamento per la gioventù di oggi. Sarebbe stato molto bello che il pubblico avesse potuto ascoltare e riflettere sul testo che proponiamo.

intervento a nome del “Gruppo Fondatori”, preparato da Gottardo Paolo, pronunciato solo parzialmente.

Intervento in occasione del 50° anniversario di fondazione dell’Ambrosiana

Rappresento il “Gruppo fondatori” che dopo 50 anni mantiene ancora vivo il ricordo degli anni di gioventù che li ha visti protagonisti nella costruzione del campo sportivo.

Ringrazio gli organizzatori della serata a nome di tutto gruppo per aver dato allo stesso la giusta visibilità e che non a caso è chiamato “Gruppo fondatore” della  “Ambrosiana” calcio oggi denominata A.S.D. Ambrosiana.

Approfitto della cortesia concessa. Delegato dagli amici, tenterò di esprimere un pensiero, un aneddoto, per raccontare alcune sensazioni, i rapporti solidali nati tra i protagonisti di allora, l’impegno e i sacrifici profusi. Già molto troverete descritto nella bellissima pubblicazione presentata questa sera che il comitato organizzatore è riuscito a preparare attingendo notizie da tanti protagonisti e dai documenti d’archivio.

Innanzitutto voglio evidenziare lo spirito di amicizia quasi fraterno, nato in quei momenti e che resiste a tutt’oggi, a 50 anni di distanza. Non è facile trovare casi simili di attaccamento e di partecipazione ai numerosi incontri che periodicamente ci trovano uniti e felici di esserci. Sono soprattutto occasioni per ricordare gli amici che non ci sono più e che fino all’ultimo hanno condiviso questi sentimenti. Di chi il merito principale di questo sentire? Certamente il merito maggiore è del nostro allenatore Franco Cazzuffi che tutti noi abbiamo sempre considerato un fratello maggiore, capace di donarci tante lezioni di vita che ancora oggi ci accompagnano. E’ stato un portatore di principi morali, umani e civili, positivi. Ci ha insegnato soprattutto a “Saper perdere”, il che non è sempre facile e che ai giorni nostri è sempre più difficile riscontrare. La sua personalità, professionalità, la sua bonarietà, il suo modo di rapportarsi, la sua passione, il suo esempio, la sua determinatezza, la sua sincerità di giudizio, sono stati elementi sostanziali che abbiamo assorbito e portato con noi. Un grazie davvero a Franco da parte di tutti noi.

Un pensiero doveroso va alla memoria di Don Giovanni Guerra che, nonostante le tirate d’orecchi che qualcuno ancora ricorda, per sollecitarci alla partecipazione alla “Dottrina Cristiana”, è stato uno dei fondatori e artefici nelle fasi che precedettero la decisione di costruire il campo sportivo. Era veramente felice quando abbiamo disputato la prima partita. Guardate la foto a pag. 18 del libro e ve ne renderete conto.

Piace ricordare soprattutto i sacrifici sopportati per il solo piacere di giocare a calcio e fornire la possibilità che questo potesse avvenire anche a Sambruson, in un campo sportivo di Sambruson.

Bravi gli autori del libro a sottolineare alcune situazioni che condizionavano la nostra attività:

-          Partite giocate tutte in trasferta per la mancanza del campo.

-          La mancanza totale di fondi e sponsorizzazioni. Tutto quello che veniva fatto veniva offerto dal volontariato e da alcune persone di Sambruson che ancora una volta vogliamo ringraziare. Si pensi a come si organizzavano le pesche di beneficenza che ogni anno gestivamo per autofinanziarci, a San Valentino. Era una vera questua, guidata da Don Giovanni Guerra. Si pensi anche alle multe che qualche volta non era possibile evitare, per un numero di persone trasportate eccessivo. Di solito £ 1.000 che dovevano essere sborsate dagli occupanti.

-          Il vestiarioviene ben ricordato nel libro, l’aneddoto riguardante le scarpe del A.C. Bologna, militante in serie A, che su nostra richiesta ci ha mandato un pacco di scarpe usate da giocatori più o meno famosi, con numero di scarpe più o meno grandi, troppo grandi per molti di noi. Le magliette regalate da qualche personaggio concittadino, che dopo varie lavature si accorciavano tanto da doverle allungare con altra stoffa, magari di altro colore; e sempre più strette.

-          L’attrezzatura: niente reti sulle porte, palloni pochi e sgangherati, nessuna attrezzatura per allenarsi, tanta corsa e tanti esercizi fisici (oggi chiamati “stretching”)

-          Trasporti: Bicicletta; qualche volta una moto o un ciclomotore con due persone a bordo; dodici giocatori più allenatore più segnalinee (che doveva essere messo a disposizione da ciascuna squadra), in due auto. Un ricordo particolare và alla gloriosa Fiat 500 giardinetta di Zamengo Enzo, unico giocatore motorizzato, dove riuscivamo, non si sa come, a salire in sette. Ci sentivamo al settimo cielo quando siamo riusciti a viaggiare con un pulmino WW a sette/otto posti, molte volte rischiosamente superati per esigenze strettamente necessarie.

-          Premi partita: naturalmente nessun compenso in denaro per giocatori, allenatori, dirigenti; anzi, tutta l’attrezzatura personale (scarpe, calzettoni etc) erano a nostro carico. Eccezionalmente, qualche bicchiere di spuma, qualche rarissimo panino e solo al ritorno dalle trasferte.

-          Spogliatoi: inesistenti: pozzi, acqua di fosso, magari dopo aver rotto il ghiaccio, erano le nostre docce. Il caro indimenticabile Romano Dittadi (Begon) e la moglie Leandrina, con i quali avevamo un particolare rapporto, appassionati a questa nuova attività sportiva, ci davano il consenso di farci la doccia in un locale posto all’interno dell’osteria. Peccato che fossimo ormai alla conclusione del nostro ciclo agonistico. Qualche rubinetto, provvisoriamente messo a disposizione all’aperto era un lusso e lo trovavamo solo in trasferta. Il lavarsi, poi, era solo un togliersi il fango più importante. Il resto della pulizia avveniva a casa.

Forse vale la pena di proporre alla Vs. attenzione e riflessione, senza troppo dilungarsi, due soli aneddoti che ci sembrano sintomatici per cercare di capire la semplicità, lo spirito di sacrificio, il piacere provato per il solo fatto di poter giocare in un campo di calcio regolare, in una squadra ufficiale, in un impianto regolare ed essere partecipi della nascita dell’Ambrosiana.

-          La chiave dell’auto caduta in una fossa biologica: eufemistico il termine “Biologica”; si trattava di una vera vasca di raccolta di materiale organico. Il recupero della stessa è potuto avvenire solo dopo aver rimestato il materiale con un forcone da biancheria (la famosa “atoa”). Per fortuna il recupero è avvenuto, la chiave lavata e il ritorno a casa assicurato.

-          Diverbio con il Parroco:, dopo aver disturbato il pollame del Parroco che impunemente beccava la nostra erbetta, seminata da poco e della quale aspettavamo la crescita nel “nostro tappeto verde. Per allontanare il pollame uno di noi, che aveva appena finito di segnare il campo per la partita del pomeriggio, simulò una parata da vero portiere, senza peraltro che si verificasse la cattura. La disapprovazione del Parroco provocò una forte reazione da parte nostra. Tutto comunque finì lì, con uno scontro verbale, che se allora appariva eccessivo, oggi farebbe sorridere.

Rinnovo un grazie a nome del “Gruppo fondatore” dell’Ambrosiana, al Comitato Organizzatore per aver messo in risalto il ruolo svolto anche dal nostro gruppo; la nostra passione e la nostra caparbietà, che ha permesso alla Comunità di Sambruson di dotarsi di un campo sportivo.

All’A.S.D. Ambrosiana attuale, ai suoi atleti, ai suoi allenatori e ai suoi dirigenti i nostri auguri più sinceri affinché possiate raggiungere i traguardi sportivi che vi siete fissati.

L’augurio più bello, però, che vi vogliamo fare è quello che tra voi nascano e si mantengano nei tempi gli stessi sentimenti di amicizia e solidarietà che per ben 50 anni il nostro “Gruppo fondatore” ha vissuto e che per fortuna continua a vivere.

 


 

Intervento preparato da Andrea Zilio, non pronunciato

Intervento in occasione del 50° anniversario di fondazione dell’Ambrosiana

Sono contento di essere qui, ripescato da vecchi e solidi amici.

Potrei raccontarvi storielle da far ridere, ma sarebbe un peccato… la circostanza è troppo importante: vi voglio raccontare qualcosa che vi faccia pensare.

La vita, con lo scorrere degli anni, a volte impietosi, ti divide  dagli amici, ti porta lontano… e se rivolgi indietro lo sguardo, scorgi nebbie, ma se insisti scorgi figure chiare e nitide di ragazzi che con te hanno corso per i campi a cercare nidi, fossati in cui nuotare, a rubare ciliegie degli altri, pur avendone a casa, perché quello era allora il massimo delle nostre marachelle.

Il nostro paese, 60 anni fa, aveva ancora strade fangose e le comunicazioni erano difficili. Ci spostavamo a piedi, con le sgalmare, per lo più scivolando d’inverno sui fossi ghiacciati, o galleggiando sul fango di strade impraticabili in autunno.

Allora sorgevano le bande di contrada per organizzare il nostro tempo libero di ragazzi tra i campi.

I ragazzi della stessa via o quartiere si riunivano e inventavano scorribande, spesso innocenti, spesso birbonate come quella descritta, che i nostri genitori ben conoscevano e accettavano come male minore, perché il tempo doveva essere speso in qualche modo.  Tanto, dopo la quinta, sarebbe stata dura per tutti… il lavoro duro della terra ti attendeva. Solo pochissimi la fecero franca… andando alla scuola media.

Fui uno di quei fortunati… andai alla scuola media al Palazzo dei Leoni a Mira.

Fu da allora che persi un poco il contatto con i miei compagni delle Marigate che continuarono a incontrarsi e a scontrarsi nel Canale e sulla Montagnola di Picin per conquistare un pugno di sabbia combattendo con la fionda e a scherma.

Ma era, il Canale, uno spiazzo ampio abbastanza per trasformarlo in campo da calcio, il luogo più ambito. Ho parlato di questi luoghi e di questi ragazzi in un mio libro “Addio alle fionde”. Nessuno di noi aveva una lira in tasca, ma tutti avevamo una fionda.

Nel canale quasi tutti noi ragazzi di Sambruson abbiamo tirato i primi calci a un pallone fatto di camere d’aria di biciclette annodate, trovate in casa o avute da un meccanico di biciclette al Ponte … il gobbetto Masiero.

Prima di andare alle medie, ho corso un anno intero nel Canale a giocare a calcio. Lo chiamavamo calcio… perché ci davamo davvero tanti calci… il pallone lo prendevamo raramente… ma nessuno si lamentava…perché era bello essere accettati, era bello stare insieme. Le squadre si formavano in modo davvero originale… i due più bravi… si autonominavano capitani e nessuno obbiettava… facevano a pari e dispari… e si formavano le squadre… di solito anche venti ragazzi per squadra… gli ultimi tre o quattro venivano regalati alla squadra che sembrava più debole. Io rientravo regolarmente negli omaggi di squadra, perché correvo tanto e scoprivo raramente il pallone in mezzo a una selva di gambe… anche perché temevo di rovinare le sgalmare da scuola.

Non avevamo arbitri, sapevamo da soli se era gol o no, se era “mani” o no… accettavamo le regole che ci eravamo dati… imparavamo a diventare bravi cittadini giocando correttamente. Rispettando le regole che ci eravamo dati e gli avversari che ci eravamo scelti.

Ecco, ragazzi della nuova Ambrosiana,vi ho raccontato questo non per risvegliare inutili nostalgie. Non servono. Il passato è valido se è servito a piazzare solidi mattoni, solidi principi su cui costruire la propria vita con chiarezza e onestà di rapporti con tutti.

A scuola ho insegnato a scrivere, a leggere, a contare. Ma ho fatto anche giocare i miei alunni. Perché un uomo non può crescere e diventare uomo… se non è stato davvero ragazzo. E’ un ragazzo cresce bene se può giocare con i suoi compagni liberamente.

“Addio alle fionde”, ho scritto… addio ai giochi, addio all’età dei giochi per lamentare la mancanza di discipline di gioco tra gli obblighi educativi. I nostri piccoli non giocano più. Credono di giocare. Hanno sempre un adulto addosso. Anche perché i pericoli sono tanti. Mai che possano dare una pacca sulla spalla a un amico. La darebbero per sempre, e sarebbe ancora quello il saluto bello anche dopo molti anni… sai che con lui lo puoi fare.

Non ci sono spazi e tempi liberi, ora. Tutto è organizzato, programmato… con un adulto che li segue, li ammonisce, li istruisce…. Tutto bene, per carità! Però manca il tempo libero di stare con i tuoi coetanei. Manca il tempo di organizzare il tuo tempo.

I ragazzi di oggi hanno tanti giocattoli, ma non sanno giocare.

Ho chiesto a un ragazzo di quinta: che cosa è il gioco?

Non ha saputo rispondermi correttamente.

Non mi ha neppure detto:il calcio… perché è sempre più pura competizione e sempre meno gioco.

La parola gioco va scomparendo.

Che cosa è il gioco?

E’ una attività fisica….libera… spontanea…gioiosa, all’aperto, tra coetanei…

Per giocare ti imponi delle regole che impari a rispettare. E’ così che scopri gli amici… è così che impari a diventare cittadino… conosci le persone che incontrerai negli stessi condomini, nella stessa corriera, per andare a scuola o al lavoro, nei consigli comunali e di fabbrica e saprai da subito che la durezza apparente e solo onestà intellettuale e non cattiveria, che la concessione non è un favore ma un diritto…. Nella stessa via sono nati tanti matrimoni…

Dov’è che si conoscono altrimenti i ragazzi, se togliamo loro le occasioni di incontrarsi e di conoscersi da subito e per sempre?…

Io sono qui  questa sera solo perché ci sono vecchi amici del calcio che guardavo spesso giocare… io segnavo il campo, come vi ho detto, ho collaborato a tirare la prima rete del campo, perché quello sapevo fare… ho giocato poche volte… ma sapevo perché… ne ero convinto, mi era stato spiegato…

Franco Cazzuffi il nostro grande amico prima e allenatore poi, ci educava, ci insegnava a vivere prima che a giocare….da lui accettavamo tutto … ecco un uomo da non dimenticare. Non sta bene di salute, non è qui, ma certamente tornerà… che cos’è la nostra Ambrosiana sennò?

Prima di concludere vi racconto un fatto recente.

Sono passati molti anni da quando eravamo ragazzini, da quando correvamo come stornelli da un prato all’altro, da quando abbiamo fondato l’Ambrosiana… il lavoro, la vita, i problemi, le malattie, i lutti… ci hanno ad un certo punto divisi… inevitabile! Pur mantenendo stretti contatti con alcuni amici più affiatati… con altri hai lasciato andare il remo dei ricordi… senza rancori, senza rimpianti… il tempo ha fatto il resto.

Ebbene, un amico che doveva essere qui questa sera… non sta bene ahimè!… non lo frequentavo da decine di anni…ebbene mi ha mandato a chiamare. All’improvviso. Apparentemente senza motivo. Avevo grossi problemi personali in quel momento. Dapprima ho balbettato, non capivo… Poi sono andato di corsa con Berto, Paolo, Franco… Era forte come l’acciaio quando avanzava con la palla al piedi… ora è debole, non sta bene. A casa sua, mi ha chiamato in disparte. Mi ha mostrato la sua casa e mi da detto alcune cose che non ricordavo più… mi ha parlato dei nostri giochi lontani…”Ti ricordi?” Si era ricordato di un giorno…. Di tanti anni prima …..di quando ci eravamo scontrati duramente nel tentativo di calciare un pallone fatto di camere d’aria e… invece mi ero preso un calcio tremendo di cui ancora porto il segno… Nessuno di noi parlò allora. Non sarei più andato a giocare nel Canale se a casa mi fossi lamentato. Carlo, in disparte, sotto a una tettoia di rampicanti, mi ha detto….. piegando il capo e sorridendo con la bocca in parte come sa fare… “Non l’ho fatto apposta, sai”.  Ho tremato per un attimo, la commozione stava per travolgermi. Ci siamo sorrisi, felici, stringendoci le mani.

Si ricordava ancora i giorni dei nostri primi giochi…. E ha voluto rievocarli in compagnia.

Grande!  Forza, amico!

Ragazzi, in questa bella ricorrenza del cinquantenario dell’Ambrosiana, noi vecchi vi passiamo il testimone, la bandiera… e vi invitiamo a giocare a calcio con lealtà, con generosità, con impegno…senza drammi… fatene una occasione per crescere e diventare uomini consapevoli e responsabili,.. non fatene uno scopo… Se vincete bene… se perdete… fate come noi che dicevamo…. “Eh, ma domani!” ….avevamo sempre una speranza davanti, uno stimolo, un’altra occasione… A tutti serve un chiodo al giorno da piantare e a cui aggrapparsi. Uno scopo. Per tutta la vita siamo scalatori che mirano alla vetta.

Che Dio vi protegga e vi faccia crescere come è giusto.

Carlo è mancato dopo quindici giorni.

 

 


In occasione del 50° anniversario, Franco Cazzuffi non ha potuto essere presente ai festeggiamenti per un ricovero ospedaliero improvviso e inaspettato. Ha inviato il seguente messaggio, letto al pubblico e molto apprezzato con un caloroso applauso

Sambruson, 13 Ottobre 2008

Avrei desiderato passare qualche ora con vecchi e nuovi amici ed invece mi trovo dove non vorrei essere (spero solo per un tagliando).

Mi congratulo con gli organizzatori di questa lodevole iniziativa.

Sambruson, la gente di Sambruson, semplice, spontanea, pronta a collaborare senza nulla pretendere, con merito di tutti e di nessuno; quando la chiami risponde con generosità.

Ciò che è stato seminato, che abbiamo seminato, periodicamente ci piace ricordarlo e, permettetemi, immodestamente, siamo lieti che oggi venga fatto anche da chi in quel tempo non era ancora nato.

Nel porgervi un cordiale saluto, auguro che questa attività abbia a continuare con lo stesso impegno e spirito con cui è iniziata.

Franco Cazzuffi


Il Testo seguente è stato preparato a nome del “gruppo fondatori” per dare una testimonianza su Don Giovanni Guerra, da parte di chi l’ha conosciuto ed ha collaborato con lui durante la sua missione a Sambruson in qualità di cappellano della parrocchia dal 1956 al 1964

Don Giovanni Guerra Cappellano a Sambruson dal 1956 al 1964. Principale artefice nella costruzione del campo sportivo, nel reperimento di fondi per i primi lavori e attrezzature, necessari per poter dare inizio al campionato C.S.I. della Provincia di Padova.

Parlare di Don Giovanni Guerra è arduo, anche perché si corre il rischio di eccedere nell’elenco delle sue virtù, per spiegare a chi non lo conosceva, chi era e il ricordo che ci ha lasciato.

Di Don Giovanni, della sua umiltà, della sua dedizione, della sua solidarietà verso i più diseredati, della sua obbedienza ai superiori, della sua attività a favore dei giovani, del suo correre a destra e manca per incontrare parrocchiani bisognosi di una parola di conforto, del suo fervore religioso, è rimasto, a Sambruson, un ricordo ancora vivo in tanti, allora giovani, che hanno avuto l’occasione di conoscerlo e stimarlo. Ma non si interessava solo dei giovani. Era aperto a tutti e il suo passaggio a Sambruson ha lasciato un segno indelebile; un profumo di buone azioni e di insegnamenti che molti, in parrocchia sentono ancora. Era un Sacerdote che riusciva a mettere in pratica tutti i propositi e i traguardi, sicuramente progettati sin dal momento della vocazione. Svolgeva instancabile la sua missione lasciando dietro di sé un’impronta tangibile.

Nella memoria di chi l’ha conosciuto e apprezzato, rimane il ricordo di un Sacerdote che riusciva a spiegarti e a farti capire che il patronato, il gioco del calcio ed altri passatempi che la parrocchia ti offriva, non ti esimevano dall’impegno cristiano che ti avrebbe formato per affrontare la vita da adulto maturo, responsabile e aperto agli altri.

Non si può prescindere dalla valutazione delle condizioni ambientali e dello stato di disagio in cui vivevamo quando nel 1956 Don Giovanni iniziò la sua missione nella nostra parrocchia.

Pur se dignitosa e volta ad un rapido miglioramento, c’era tanta miseria. Mancavano gli elementi fondamentali per uno sviluppo della società e, soprattutto, dei giovani. A partire dalla vita familiare dove, a tante famiglie, mancavano: riscaldamento, servizi igienici, energia elettrica, acqua, lavoro, possibilità di istruzione di grado superiore alle elementari, se non per pochissimi individui. Senza parlare delle strade e di altre infrastrutture in stato veramente precario. I giovani non avevano un luogo dove ritrovarsi, divertirsi, svagarsi e progettare, messo a disposizione dalle istituzioni. Il grande merito di aver soddisfatto a queste necessità và alla parrocchia e per essa, ai vari Sacerdoti che, pur tra mille difficoltà e privazioni anche personali, si impegnavano per ovviare a queste deficienze. Gli spazi erano pochi e venivano usati per più attività parrocchiali con difficile gestione. Noi giovani, poi, avevamo necessità di spazi esterni per muoversi in libertà e sprigionare tutte le nostre energie. Don Giovanni ha subito capito quello che bisognava fare. Costruire un bel campo da calcio. E questo è stato fatto. Veramente un bel campo se a distanza di 50 anni continua ad essere sempre quello ed il solo in tutto il paese. Non senza problemi, non senza contrarietà da parte di alcuni parrocchiani, senza mezzi economici, con un terreno di proprietà della parrocchia che avrebbe dovuto cambiare la destinazione d’uso: da vigneto e culture varie necessarie per il sostentamento del clero parrocchiale, a campo sportivo per favorire l’aspirazione di tanti giovani che lui amava tanto e che voleva felici.

Ricordare il Don Giovanni di quei momenti fa venire ancora i brividi a noi che lo seguivamo e che gli davamo tutto l’appoggio e la collaborazione possibili. Eravamo davvero in tanti a sostenerlo. Le idee erano sue e noi lo aiutavamo a svilupparle. Chi di noi non ricorda quanto si dava da fare per racimolare qualche lira per avviare i primi lavori per la costruzione del campo sportivo. Si comperavano solo i materiali necessari; tutta la manodopera era costituita dal volontariato giovanile e dei genitori che avevano capito l’importanza dell’opera. Per paradosso, ci ha dato il coraggio di andare anche “a carità”, come si diceva allora. Alcuni di noi hanno imparato anche questo, “con la volontà e il coraggio si possono raggiungere traguardi imprevedibili”. Le fabbriche di vetro di Murano, visitate per farci regalare oggetti in vetro; i fornitori dei vari negozi del paese che venivano incalzati sia dagli stessi esercenti che da Don Giovanni, perché regalassero articoli di qualsiasi genere, a volte anche inutili, per organizzare la “pesca di beneficenza” per la festa patronale di San Valentino. Le sue corse con “l’Aquilotto”, prima e in “Lambretta”, poi; gli effetti del freddo evidenti sul suo corpo; la sua sobrietà; chi lo ha conosciuto da vicino sa che anche per lui era un problema il pranzo e la cena; nessun lusso; anche lui era uno di noi e per questo ci piaceva tanto.

Per Don Giovanni, lo stare insieme, discutere, appassionarsi ed anche, perché no, scontrarsi in modo democratico non poteva che portare a formare un gruppo di persone che, dopo 50 anni, continuano ancora a rivivere e ricordare con nostalgia quei bei momenti. Don Giovanni era un seminatore, simile a quello narrato dall’evangelista Matteo al capo 13 3-9; dove si legge che “….quel resto di sementi che <finalmente cadde nella terra buona e diede frutto, dove il cento per uno, dove il sessanta e dove il trenta>” Tutti noi che gli siamo stati vicini, più o meno siamo stati i frutti che egli ha seminato. Non tutti, purtroppo, come spesso accade, siamo stati in grado di comprenderlo e seguire i suoi insegnamenti col massimo impegno, ma certamente il suo esempio ha impresso in noi dei valori positivi che sentiamo ormai come patrimonio, da esprimere nelle nostre azioni quotidiane. Grazie Don Giovanni per quello che ci hai dato; serbiamo di te un ricordo vivo; di Sacerdote che per il bene comune ha sacrificato la vita, che ha saputo soffrire, rinunciare, impegnarsi perché, anche nel nostro piccolo, potessimo imparare a consolidare nel tempo quei sentimenti che sono alla base di una convivenza civile: l’”amicizia”, l’onestà, la solidarietà e la determinazione per affrontare gli impegni della vita. La santità, spesso, percorre i sentieri, apparentemente invisibili, della più normale quotidianità: sono i sentieri percorsi dai Santi di casa nostra. Quasi sempre non ci accorgiamo di loro, pur condividendone il cammino. Forse non saliranno mai sugli altari, ma, di certo, resteranno per sempre nell’altare del cuore di ogni persona cui avranno donato vicinanza, esempio, testimonianza, amore. Per Sambruson non può essere che un vanto riscoprire, a quasi cinquanta anni di distanza, quanta ricchezza interiore questo sacerdote abbia portato fra la sua gente: un vero punto di partenza per i decenni successivi.

Ai familiari è stata consegnata una pergamena contenente il seguente testo e riprodotta la pergamena eguale a quella che nel mese di Giugno scorso ha ricordato il 50° di fondazione del G.S. Ambrosiana

Ai familiari di Don Giovanni Guerra

Nella ricorrenza del 50°,

l’ 8 Giugno 2008, c’era anche lui, che si compiaceva di vederci uniti in tanti, sicuramente come lui auspicava.

Con sincero rimpianto, ma con tanta riconoscenza.

Gli amici Fondatori del G.S. Ambrosiana1958

Sambruson, 30 Novembre 2008

 

Sommario verbale della giornata dedicata al gemellaggio tra Sambruson e Montegalda, paese natale di Don Giovanni Guerra e dove riposa in pace

30 Novembre 2008 – Commemorazione di don Giovanni Guerra nel 40° anniversario della sua morte e ricordo della sua missione a Sambruson e S.Eulalia, dove ha lasciato ricordo indelebile.

Gemellaggio con Montegalda, paese natale di

don Giovanni.

Ricorrendo nel 2008 il cinquantenario della fondazione del G.S. Ambrosiana, che ha visto don Giovanni Guerra, promotore, iniziatore e testimone sino all’inaugurazione del campo sportivo di Sambruson e all’iscrizione al C.S.I. per il primo campionato ufficiale, l’A.S.D. Ambrosiana ha ritenuto doveroso ricordarlo e commemorarlo il modo particolare. Un plauso di vero cuore all’iniziativa che ha visto molte persone impegnate nell’organizzazione. Un merito e un riconoscimento particolare va, oltre che al presidente dell’attuale Ambrosiana, Cassandro Martino, ad Alberto Lazzari che ci ha messo tutto l’impegno e l’ingegno perché la giornata potesse essere ricordata con gesti, eventi e testimonianze degne della figura di don Giovanni. Oltre che doveroso è stato l’unico modo per poter riconoscergli i meriti per il bene a molti profuso e che non abbiamo purtroppo potuto dimostrare personalmente la sera del 13 Ottobre 2008, durante i festeggiamenti tenuti in occasione del 50° anniversario della fondazione dell’Ambrosiana. Non immaginavamo certo che il risultato fosse così positivo. La giornata è stata programmata con una serie di incontri, cerimonie, funzioni religiose, che hanno dato un senso tutto particolare ad un gemellaggio che ha coinvolto Parrocchia – Amministrazioni Comunali – Società sportive calcistiche, di Sambruson e Montegalda, paese natale di don Giovanni.

Il nostro “Gruppo Fondatori 1958” è stato impegnato parzialmente in questa operazione. Ci è stato chiesto di partecipare l’evento ai nostri soci e di invitarli in modo particolare a presenziare ai vari appuntamenti proposti e di tracciare un profilo su don Giovanni, per quanto riguarda il suo operato nel periodo vissuto a Sambruson, dal 1956 al 1964.

Ci siamo sentiti onorati di tale invito e il nostro impegno è stato in qualche modo evaso, anche se sarebbe stato opportuno crederci di più. E’ stata un’occasione sprecata di cui ci rammarichiamo.

Chi non era presente ha perso un’occasione per assaporare un clima di grande emozione e per riportare alla mente fatti e situazioni che noi abbiamo vissuto nella realtà di quei tempi. Si è ancor di più capito il perché, dopo 50 anni, il nostro rapporto di amicizia e solidarietà non poteva che resistere così vivo.

Purtroppo le condizioni metereologiche ci hanno messo del loro per diminuire le presenze; aggiungansi, per alcuni, gli impegni di padri e nonni, qualche malanno stagionale e improvviso. Chissà a quanti sarebbe piaciuto esserci. C’è stata comunque una presenza importante per un’esperienza indimenticabile.

Al termine della Messa, che ha visto la presenza di ben 23 amici del “Gruppo Fondatori” (nonostante la pioggia e il vento della serata), celebrata a Sambruson il 28 Novembre 2008 per il trigesimo dalla morte dell’amico Carlo Darici (con grande conforto della famiglia di Carlo che ci ha espresso commossa un vivo compiacimento e ringraziamento), il gruppo si è riunito e distribuito i compiti per garantire una presenza ad ogni eventi previsto dal programma del 30 Novembre.

Alcuni erano presenti al mattino, quando in municipio c’è stato l’incontro con l’Amministrazione Comunale e l’inizio della cerimonia di gemellaggio.

Sono ritornati soddisfatti sia per l’accoglienza ricevuta che per l’atmosfera che si respirava. Sono stati accolti come rappresentanti del “Gruppo Fondatori G.S. Ambrosiana 1958”

La giornata è proseguita con una partita di calcio tra allievi dei due paesi (tra l’altro finita in parità a testimonianza dello spirito di amicizia della giornata); è seguito il pranzo e alle ore 15 una S. Messa molto partecipata e molto ben organizzata.

E’ stata concelebrata da tre sacerdoti, accompagnata dalla corale parrocchiale di Montegalda, alla presenza dei fratelli e nipoti di don Giovanni, con la partecipazione di decine di persone, sia di Montegalda che di Sambruson e ha avuto il seguente svolgimento:

Don Dino Rizzieri, parroco di Montegalda e don Amelio Brusegan, arciprete di Sambruson, hanno introdotto le intenzioni della Messa con un pensiero sul significato del gemellaggio. All’omelia, ognuno di loro ha ricordato e sottolineato le opere che hanno reso don Giovanni meritevole della stima e ammirazione che, a distanza di anni, chi lo ha conosciuto gli attribuisce. All’offertorio è stata portata all’altare la cesta di fiori che successivamente sarà deposta in cimitero e una foto incorniciata, che la parrocchia, come promesso dal parroco, collocherà in ambiente adeguato.

Prima del termine della Messa si sono succedute alcune persone che a nome dei giovani di allora (“Gruppo Fondatori G.S. Ambrosiana 1958) e dei familiari, hanno approfondito ancora più accuratamente le doti umane e sacerdotali del caro don Giovanni. La conclusione finale è stata di Alberto Lazzari che ha sottolineato il significato della giornata.

Giornata che si è conclusa con la visita in cimitero.

Don Amelio ha condotto una preghiera dedicata a don Giovanni, ha benedetto la tomba, ai piedi della quale è stata posta una cesta di fiori portata dalla squadra che in mattinata aveva giocato la partita.

Si è voluto anche in questo modo ribadire l’amore che don Giovanni aveva per i giovani e quanto gli stesse a cuore il loro avvenire, che nel gioco del calcio avrebbero trovato anche la voglia di comunicare, di solidarizzare e di mantenere nei tempi l’amicizia che, in un ambiente sano e con l’aiuto di persone per bene, può nascere.

Sono stati offerti alla famiglia di don Giovanni:

dall’A.S.D. Ambrosiana:

- una targa ricordo del 50° anniversario

- una foto incorniciata raffigurante don Giovanni e la squadra che è scesa in

campo il giorno dell’inaugurazione del campo.

 

 

dal “Gruppo Fondatori G.S. Ambrosiana 1958”

- una pergamena ricordo del 50° anniversario festeggiato l’8 Giugno 2008, unitamente a una copia del profilo di don Giovanni letto in Chiesa da un rappresentante del gruppo stesso. E’ stato un momento di intensa commozione che ha preso un po’ tutti i presenti. Un ringraziamento vivo è stato rivolto, oltre che dai familiari, anche dal Sindaco di Montegalda, presente per tutta la giornata assieme all’Assessore alla Cultura del Comune di Dolo, Alberto Polo. C’è stata anche la promessa reciproca per un appuntamento a Sambruson, in occasione di San Valentino.


 

 

 

 

 


La scomparsa di FRANCO CAZZUFFI

 

Articolo del GAZZETTINO

Mese di Luglio 2017

 

 

 

Articolo del GAZZETTINO

Luglio 2018

 

 

Nel primo anniversario della sua scomparsa, Andrea Zilio ha voluto dedicare la bella poesia

A FRANCO CAZZUFFI

Me ne sto solo e penso a cose belle

d’una vita trascorsa come un lampo,

e vedo te, con polvere di stelle

che segni per noi un nuovo campo.

 

Amico mio, dove sei amico nostro?

Tra gli astri freddi, con gli angeli accanto

disegni nostra maglietta con inchiostro

celeste, orgoglio di tutti e vanto.

 

Saluti da lassù sempre con un sorriso,

fai l’appello, nessuno va perduto

dei tuoi ragazzi; bello il viso

grande il cuore, anche se sei caduto.

 

Non prendevo un pallone che fosse uno,

quando saremo con te, tutti al vento

calceremo, non punirai nessuno,

sarà magnifico ogni tuo commento.

 

Dell’Ambrosiana gli anni son sessanta.

Quanti ne ricordiamo? Tutti quanti!

Quando la salute manca e s’ammanta

ogni pensiero in stretti e chiusi guanti,

 

allor indietro ritorniam con gli anni

a quando fummo squadra, e, con onore,

temprammo un’amicizia, senza affanni,

che dura con stesso giovanile ardore.

 

Semplice fu la vita, senza fasti.                   .

Se spingiamo il nostro sguardo profondo,

lontano, fino a quando ci chiamasti,

troviamo impegno forte fino in fondo.

 

Così sarà sempre, perché gli amici

non si posson dimenticar mai quaggiù:

è un pensier vero! vale se lo dici,

anche per quando non ci vedremo più.

 

 


 

Dopo la pubblicazione dell' articolo Ambrosiana Fondatori, nel periodo recente, sono venuti a mancare parecchi nostri amici che riteniamo doveroso ricordare assieme a Franco Cazzuffi.
Gli amici scomparsi in questo ultimo periodo sono:

CERATO ITALO

DONA’ GINO

DONA’ PIETRO

FATTORETTO LUIGINO

MARIGO RENZO

PEDRINI SANDRO

POLO BRUNO

SEGATO ANTONIO

SEMENZATO CANDIDO

FATTORETTO GIANCARLO

A loro, assieme agli altri mancati in precedenza, il nostro nostalgico ricordo.

 


Si ringrazia il "Gruppo Fondatori G.S. Ambrosiana" per aver gentilmente concesso la documentazione relativa al presente articolo del sito Sambrusonlastoria


a cura di luigi zampieri


Ultimo aggiornamento (Sabato 07 Marzo 2020 17:46)

 

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