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La Tesi di E. Zen (seconda parte)

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SAMBRUSON IN EPOCA PREROMANA E ROMANA - LA TESI DI E. ZEN su Antiquarium e Maio Meduaco

5.     VERSO IL NUOVO MUSEO DI SAMBRUSON

5.1.     I REPERTI RITROVATI

Fasi di scavo nell’area A,

Zampieri 2009, p. 58.

Nel 1950 il prof. Lino Vanuzzo si trovò coinvolto, per certi aspetti casualmente, nel recupero di reperti archeologici soprattutto di età romana nel territorio di Sambruson. Fu occasione per riaccendere i riflettori su un’area non nuova in ambito archeologico.

I reperti recuperati da Vanuzzo, dopo un primo periodo di visibilità in loco, iniziarono un percorso verso un “Museo della Terraferma” mestrino mai realizzato. Nella realtà finirono stipati in casse in attesa di futura collocazione.

Molti anni dopo, come racconta Monica Zampieri[1], il sig. Ugo Dittadi ricevette i materiali raccolti da Vanuzzo dalle mani dei nipoti Vanuzzo-Danieli e li consegnò all’associazione locale “Trovemose”, alcuni soci della quale avevano partecipato direttamente agli scavi del 1950. Nel 1999 il presidente dell’associazione Andrea Zilio e i responsabili dell’assessorato alla Cultura del Comune di Dolo si attivarono per il recupero dei reperti, conservati, come si scoprì, in un magazzino comunale di Mestre, registrando nel contempo la mancanza di molti altri, perduti nei vari trasferimenti o finiti nelle mani di qualche privato. Fondamentale fu l’intervento della Soprintendenza Archeologica del Veneto nella figura della dott.ssa Giovanna Luisa Ravagnan.

Dal riordino e da una prima catalogazione curati dalla dott.ssa Lucia Majer, dalla dott.ssa Laura Simbula e dalla laureanda Monica Zampieri (che costruì sul materiale di Sambruson la sua tesi di laurea), all’allestimento di un piccolo museo il passo fu breve.

L’“Antiquarium” di Sambruson fu inserito nel secondo stralcio del “Progetto via Annia”, in cui ricerca e valorizzazione del tracciato si sono correlate, soprattutto nel settore museale con nuovi allestimenti[2].

5.2. REPERTI DEL 1950, MA NON SOLO

5.2.1.   IL RACCONTO DEL PROF. VANUZZO

Prima area di scavo a Sambruson (area A), da Zampieri 2009, p. 73.

“... Sul punto della via Annia, dove ha inizio il tratto chiamato ‘la Stradona’, e precisamente nella località detta ‘Al Ponte’... nell’anno 1927, venne piantata, a ricordo delle SS. Missioni tenute dai P.P. Passionisti, una grande croce di legno dell’altezza di m. 6, posta sopra un blocco di calcestruzzo... L’anno scorso (1949), dato il suo stato rovinoso, si pensò di ripararla. Venne affidato a me l’incarico, per cui io prospettai la soluzione di abbatterla... progettai una colonna in marmo con sopra di essa ripetuta in miniatura la medesima croce... Mentre si provvedeva alla sua posa in opera... bisognò procurare dell’argilla.

Sapevo che a duecento metri a nord, nella campagna del Comm. Velluti, era stata estratta dalla ‘Valdadige’ l’argilla per la sua fornace di mattoni, così mi recai, ma quale non fu il mio stupore di vedere la superficie di quella terra tutta disseminata di pezzi di mattoni, di embrici, di cocci di materiale fittile... Il 2 di gennaio 1950 ritornai nuovamente sul posto a far visita a tutta quella massa di rovinacci romani e con l’aiuto di un ragazzo del luogo cominciai i primi assaggi... In un punto qualsiasi, dove maggiori erano i rovinacci, feci affondare il badile ed il piccone. Il primo giorno affiorò per prima cosa una gentile mezza urnetta. Essa fu trovata ancora con le sue ceneri, con qualche ossa e qualche carbone. A questa si aggiunse qualche pezzo di vaso, sia in terra cotta che in terra cruda e carboni in quantità, avanzi della cinerazione. Il giorno dopo, sotto una catasta di mattoni e tegoloni romani, ci apparve il primo scheletro umano, vicino al quale trovammo delle ossa di cavallo. Non c’era nessun dubbio: avevo scoperto una necropoli antica del periodo romano o preromano. Di fronte ai cimeli, seppur modesti, che continuamente affioravano, l’animo si rinfrancò, mi entusiasmai, compresi la bellezza di questa scienza che si chiama archeologia”[3].

Queste sono le prime pagine di un documento dattiloscritto di 22 cartelle dove  Lino Vanuzzo (geometra, insegnante, poeta, appassionato di storia locale, con nomina di “ispettore onorario ai monumenti” in occasione della vicenda qui ricordata) racconta la sua esperienza relativa al recupero di reperti archeologici a Sambruson nel 1950. Già si evidenzia un primo aspetto controverso: il rinvenimento di una necropoli. Convintamente, con passione, con supposizioni e dettagli, anche in un’altra parte del suo resoconto Vanuzzo parla di una vasta necropoli, di 4 sarcofagi in cotto di 3 tipi (a capanna, a terrazza, di soli  mattoni) contenenti resti in parte inumati e in parte  incinerati, di pavimenti a mosaico e di pareti dei sepolcri affrescati, di 3 protome a testa di medusa, di antefisse o palmette, di molti oggetti a corredo[4]. In un locale concesso dal Comm. Velluti, Vanuzzo organizzò i reperti secondo un ordine dettato dalla sua nuova esperienza, quella di archeologo, diventato tale “senza saperlo”[5].

Il museo di Sambruson nel 1950. Ricostruzione grafica di M. Zampieri (Zampieri 2009, p. 66).             Sulla sinistra si vede la ricostruzione di una “tomba alla cappuccina”.

 

Nella Carta Archeologica del Veneto IV al punto “246. DOLO (VE). STRADONA-FONDO VELLUTI [III SE, m4] si legge che “... nel fondo Velluti, nei pressi dell’antica via Annia, alcuni ragazzi sotto la guida dell’ispettore onorario Luigi Vanuzzo hanno individuato alcune tombe alla cappuccina... [6].

Che alcune tegole formassero una tomba alla cappuccina, come riporta la CAV  basandosi probabilmente sulla testimonianza di Vanuzzo, non è notizia attendibile, rimanendo poco plausibile la sua tesi che i ritrovamenti provenissero da una necropoli romana. Infatti, anche se Vanuzzo trovò realmente due scheletri e scrisse di aver rinvenuto ceneri umane all’interno di vasi, la presenza di ceramica a vernice nera, terra sigillata, anfore, ceramica comune, di una grande quantità di laterizi e non di reperti che usualmente si trovano in sepolture (unguentari, cinerari, strumenti che rimandano allo status del defunto, etc.) fa pensare più ad un sito abitativo che a una necropoli[7]. Comunque non si esclude la presenza di sepolture in altre aree del territorio di Sambruson, considerato che precedentemente agli scavi di Vanuzzo furono rinvenute due iscrizioni funerarie ed un sarcofago risalenti al periodo romano[8].

5.2.2.   REPERTI FUNERARI A SAMBRUSON?

Nella parte di lettera che segue, inviata da un certo Don Gallo alla Soprintendenza, sono attestate le due iscrizioni funerarie[9].

Don Gallo segnala i due reperti in un’altra lettera alla Soprintendenza due mesi dopo[10].

 

Se ne parla anche nel seguente documento, che lo scrivente (presumibilmente ancora don Gallo di Massanzago) definisce “relazione” (forse appunti per una relazione)[11].

 

La prima iscrizione è tuttora visibile: si trova in Villa Ca’ Zane-Martin[12] (ex proprietà Velluti), reimpiegata come davanzale di una finestra a tramontana. La provenienza del manufatto si può desumere quasi esclusivamente da analisi a livello tipologico, stilistico e contenutistico, come per quasi tutti i reperti antichi reimpiegati a Venezia e dintorni[13]. Una comparazione con una lapide di Plomin è riportata da Monica Zampieri e Sabrina Pesce[14].

La seconda è registrata da ultimo nel fascicolo dei Supplementa Italica dedicati a Patavium e al suo territorio e curati da Maria Silvia Bassignano[15]; in CAV IV n. 51.245.1[16], in Zampieri 1970 dove di legge che la stele ad edicola sarebbe stata venduta a Velluti da un contadino nel 1930, rinvenuta forse lungo la via verso Gambarare; per il reverendo don Luigi Gallo, che Zampieri cita come appassionato ricercatore di antichità romane, il reperto proveniva dai terreni della villa[17].

Bassignano 2016, p. 363.

Zampieri 1970, p. 171.

 

Zampieri 1970, p. 175.

Ci sono elementi epigrafici che inducono a collocare questa stele a pseudoedicola in periodo alto imperiale:

-       l’analisi paleografica evidenzia un accostamento di scelte stilistiche che segnano l’ingresso nell’epoca degli Augusti: modulo tendente al quadrato per la O, soprattutto la seconda,  e M con aste di uguale lunghezza e divaricate; queste forme “repubblicane” si accompagnano ad altre verticalizzate, con apici a coda di rondice, ad una B i cui occhielli non sono uguali, tutte incise con tratto sottile che alterna larghezze diverse tra aste e bracci convergenti e ad espansione graduale intorno agli occhielli, creando così un effetto di chiaro-scuro. Lo stile, dunque, si fa imperiale pur mantenendo alcune caratteristiche “datate”. È di fatto la scrittura capitale augustea.

-       L’impostazione onomastica risponde fedelmente alla condizione del defunto: prenome e nome del patronus L(ucius) Combullius diventano prenome e nome del liberto, il cui nome  Faustus diventa cognome preceduto dal prenome del patronus e dal termine attestante la condizione di liberto:

L(ucio) Combullio L(uci) L(iberto)

Fausto.

-------?                                  (a Lucio Combullio Fausto, liberto di Lucio).

Lacuna o lacune dubbie alla fine dell’epigrafe sono giustificate: manca una formula di dedica, o altro, che poteva apparire su una base di supporto con molta probabilità presente. Infatti il monumento è troppo profondo per immaginarlo sostenuto a muro e presenta una scanalatura profonda alla base di una faccia laterale. Zampieri informa che questa è bilaterale, utile ad ospitare staffe di ancoraggio. Informa inoltre che il retro non è decorato[18]. Dunque doveva trovarsi addossata ad una parete o comunque non in vista.

Dal punto di vista estetico la scultura è di buon livello. Particolare la postura non del tutto frontale di viso e spalle, impercettibilmente ruotata  verso sinistra, che aumenta la forza espressiva e rinvia ad un’ottima mano di artista.

La stele attesta l’appartenenza del liberto ad una gens agiata, forse di origine altinate o legata ad Altino. Qui esiste un’altra lapide della gens Combullia (Combulia)[19], Zampieri informa di non aver indiduato altri con tale gentilizio[20]. In effetti sia OPEL[21] che Solin Salomes[22] riportano solo Combulius riferendosi all’attestazione in CIL V 2220.

 

5.2.3. RINVENIMENTO PREISTORICO

Pali della presunta piattaforma preistorica,

Zampieri 2009, p. 62.

 

Seconda area di scavo a Sambruson

(area B), da Zampieri 2009, p. 73.

 

“Erano trascorsi pochi giorni dall’inizio degli scavi che alcuni paesani mi vengono a riferire che alla distanza di circa un km. da dove stavo lavorando e precisamente a metà circa della via Carrezzioi, trasversale di sinistra della via Stradona, che conduce a Mira, in una cava d’argilla della Valdadige, si rinvenivano dei grossi tronchi d’albero... Lo scavo era aperto. Esso consisteva in un fossato della lunghezza di circa m 140, largo circa m 8 alla superficie e  4 sul fondo... vidi dei grossi tronchi d’albero... del diametro di circa cm 50 - 60 - 70 e disposti parallelamente... Tale disposizione mi convinse subito che si trattava di un’enorme piattaforma...”. Così scrisse Vanuzzo, e continuò, descrivendo che i tronchi erano adagiati su cannucce ed erbe e che i segni sul legno furono probabilmente prodotti con mezzi rozzi. Tutto ciò e la profondità dello scavo lo resero convincento di trovarsi di fronte ad una stazione palafitticola o terramaricola[23].

A pochi giorni dal rinvenimento la dott.ssa Giulia dei Fogolari si reca nel luogo dello scavo assieme al prof. Battaglia. Scrive (gennaio1950): “Il prof. Battaglia pensa possa trattarsi di materiale ligneo in preparazione trasportato dal fiume o di opera di arginatura romana”[24].

In CAV IV 51.247 si legge: “... Il complesso interpretato in un primo momento come insediamento palafitticolo e successivamente come arginatura, è genericamente databile ad un’età preistorica...” ponendo in calce come attestazione ASA 1950, e l’articolo del Gazzettino del 12-1-1950[25].

Lino Vanuzzo, nel suo resoconto degli scavi, cita le riserve della Fogolari come esposte “in un primo tempo”, precisando che nello scavo mattoni ed embrici romani si trovavano ad un livello superiore rispetto ai reperti ritenuti più antichi[26].

 

5.2.4. I REPERTI PERDUTI

Dal racconto di Vanuzzo, e dalle foto che attestano i reperti contenuti nel museo del 1950 si ha memoria di oggetti che erano presenti nei primi passaggi di mano, poi perduti.

Di seguito si riportano in una tabella sinottica l’elenco dei rinvenimenti che Vanuzzo attesta nel suo resoconto degli scavi e quello proposto da che De Gheltof, che convinse Vanuzzo a trasferire, tramite la sua intermediazione, tutti i reperti al Comune di Venezia per il futuro allestimento di un “Museo della Terraferma”.

Si può notare come nel secondo elenco non siano più presenti, una fibula in oro, un oggetto in bronzo, tre metope, un piatto intatto di terra sigillata di fabbrica aretina, frammenti di papiro iscritto, monete e altro. Tali reperti sono tutti oggi irreperibili.

 

Nel museo di Vanuzzo

(da “Resoconto” 2 maggio 1950)

 

Pezzo di legno di rovere per piattaforma, lunghezza 1,50, diam 0,60, facente parte di una trave lunga dai 16 ai 18 m.

Una forcella a due rebbi arrotondati.

Corna di cervo.

Carcassa di tartaruga.

Punta di freccia in selce.

Accetta con taglio aguzzo.

Oggetto in bronzo.

Piedistalli a zampa di leone (da altro loco).

Conci in terracotta sagomati ad arco.

Frammenti di intonaco affrescato riposti entro rustiche cornici.

Pavimento in mosaico.

Due scheletri di persona matura ancora intatti.

Ossa di cavallo.

Mascelle con denti di capra e di pecora.

Tre metope, testine di medusa in bassorilievo su terracotta.

Antefisse e palmette.

Un grosso frammento di urna con cenere.

Quantità di oggetti funerari: vasi, anforette, bottigliette lacrymarum, bottigliette unguentarum in vetro ed in terracotta (queste anche intatte) una fibula in oro, una in bronzo del tipo “latin”, frammenti di monili in vetro a colori (parte fusi e parte dipinti sopra), tre lucerne in terracotta (su una in rilievo due amorini), pietre focaie, oggetto di marmo per sostenerle, un piatto intatto di fabbrica aretina, frammenti di vetro sagomati a mano o con stampi, chiodi, zanne di cinghiale, due oggettini in bronzo (picconcino e specie di chiodo).

Anfora rinata da una trentina di cocci di foggia preromana.

Frammenti di papiro scritto.

Frammento di vaso greco e una moneta greca.

Due fornetti preromani di materiale refrattario bucherellato, un pugnaletto, un cucchiaio.

Una pietra da macina, tre pietre da arrotare, frammenti di tubazioni in cotto di sezione rettangolare, fondazione circolare in mattoni (spessore cm 80 per un cerchio di diam. 1 m).

Monete (se decifrabili) di Claudio e Vespasiano

Timbri di fabbrica su diversi embrici con il marchio “PANSIANA”.

Chiude il museo un piccolo reparto di ceramiche artistiche a smalti policromi dei secoli XIV e XV.

Giuseppe Urbani de Gheltof: elenco reperti

(10/09/1956, inviato al Prosindaco di Mestre)

 

Una ventina di palafitte di varie dimensioni (diam. da m 0,55 a m 0,07 – lunghezza da m 3 a m 0,50).

N. 9 listine di legno con appiccicati vari pezzi di coccio.

 

N. 2 pietre levigate.

 

 

N. 4 zampe di leone, scolpite in pietra.

N. 4 conci d’arco in terracotta.

N. 4 telai con pezzi di affresco policromo.

 

Varie tessere di pavimento (bianche, nere).

Vari teschi e ossa umane e di animali trovati nella profindità di scavo accanto ai resti archeologici.

N. 1 antefissa in pietra.

 

Varie mezzelunette in terracotta.

 

 

 

Vari cunei forati.

 

Alcuni pezzi di vetro.

 

 

 

 

Alcuni pezzi di ferro.

 

Vari pezzi di anfore.

 

 

 

N. 2 vasi di terracotta bucherellati.

 

N. 2 pietre circolari forate.

 

 

 

 

N. 18 embrici, qualcuno con segni e sigle.

Vari pezzi di embrici (come sopra).

Vari mattoni quadrati.

 

Dall’abitazione di Vanuzzo: pezzettini di pietra scheggiati o levigati; oggettini di bronzo; colature di metallo; rettile pietrificato; serie di impronte (testine di meduse).

Foto da:

Zampieri 2009, pp. 67-68.

In una ricognizione del 1976 in un magazzino di via Gaspare Gozzi a Mestre, dov’era conservata parte del materiale di Lino Vanuzzo, si riscontrò la mancanza dei due scheletri[27].

Tra i vari smarrimenti, la testimonianza sulla precedente esistenza di monete romane rimane in una foto scattata da Vanuzzo:

un asse dell’imperatore Claudio (impronta del retro)[28],

Anche 3 frammenti di antefisse decorate e un’antefissa a palmetta rimangono soltanto nelle fotografie.

 

 


[1] Zampieri 2009, pp. 42-43.

[2] Veronese 2011, p. 16.

[3] Vanuzzo 1950, pp. 2-5.

[4] Vanuzzo 1950, pp. 15-18.

[5] Vanuzzo 1950, p. 22.

[6] CAV IV 1994, p. 69.

[7] Zampieri 2009, p. 90.

[8] Zampieri 2009, p. 213.

[9] Vanuzzo carteggio, p. 27.

[10] Vanuzzo carteggio, p. 29.

[11] Vanuzzo carteggio, p. 31.

[12] CAV IV 1994, n. 51.245.2, p. 67; Bassi 1987, p. 367; Zampieri 2009, pp. 202-206; Pesce 2014/2015.

[13] Calvelli 2012, p. 179.

[14] Zampieri (Zampieri 2009, pp. 202-206) anche al fine di chiarire alcuni dubbi paleografici ed onomastici, riporta un accostamento con una lapide di Plomin (Croazia) dove appare il nome Avita Suioca, probabilmente la stessa persona dell’iscrizione di Sambruson, rilevando nella scrittura modi venetici (es. nella radice VOLS), in un contesto di passaggio da radici venetiche e illiriche alla cultura romana. Pesce ne fa argomento di tesi di laurea: rileva come influenze locali, venetiche e latine si sposino bene nel territorio dalmata (Pesce 2014/2015, p. 83), in un contesto di influssi culturali che transitavano soprattutto per via marittima; i monumenti funerari arrivavano nelle colonie della costa istriana via mare dall’Oriente ellenizzato, ma anche da Aquileia, porto di partenza e di arrivo delle rotte marittime che passavano per Parentium e Pola (Pesce 2014/2015, pp. 61-62).

[15] Bassignano 2016, p. 363, scheda n. 363.

[16] CAV IV 1994, p. 67.

[17] Zampieri 1970, p. 169.

[18] Zampieri 1970, p. 174

[19] CIL V, 2220: Combulius L(uci) L(ibertus) / Tertius.

[20] Zampieri 1970, p. 174.

[21] Mócsy, Lorincz 1999, vol. II, p. 70.

[22] Solin, Salomies 1888, p. 59.

[23] Vanuzzo 1950, p. 7.

[24] Vanuzzo carteggio, p. 3.

[25] CAV IV 1994, p. 66

[26] Vanuzzo 1950, p. 9.

[27] Vanuzzo carteggio, p. 41.

[28] Zampieri 2009, p. 67.

 


6.     L’ ANTIQUARIUM

L’ “Antiquarium” è una tappa del percorso museale inserita nel “Progetto via Annia” già citato. Per l’iter istituzionale-economico-organizzativo di adesione al progetto il Comune di Dolo coinvolse l’Associazione culturale "Sambruson e la nostra storia”. L’Associazione “Trovemose”, protagonista nelle vicende di recupero dei reperti, ora gestisce aperture, chiusure e “guardiania”. Le visite avvengono su richiesta.

L’“Antiquarium” di Sambruson è ospitato in un’ala della scuola secondaria di primo grado “Gandhi”, con accesso autonomo. Occupa:

-       un’aula per l’esposizione;

-       un’aula per attività di laboratorio con gli alunni di scuola (incontri programmati) mediante l’utilizzo di frammenti non esposti;

-       un vano esterno alle aule dove sono collocati i rinvenimenti marmorei, rinascimentali e lignei.

Seguono foto e didascalie che illustrano lo stato attuale espositivo dell’”Antiquarium”.

Frammenti di tegola e mattone bollati.

 

Forme aperte a coppa di ceramica grigia. Ceramica a vernice nera. “Pareti sottili”. Forme aperte di terra sigillata. Orli e fondi di balsamari in vetro naturale e colorato

 


Ceramica comune grezza,semigrezza e depurata. Olli e ollette, forme chiuse,frammenti di fondi di doli. Crogioli.



Frammenti di anfore. Due anfore ricostruite. Di vario tipo: greco-italica, Lambroglia 2, Dressel 2-4, Dressel 6A, Dressel 6B.



Frammenti di mosaico e di intonaco. Mosaico di tre tipi: a schema geometrico con tessere bianche e nere, con motivo grafico curvilineo e inserto policromo, monocromo a tessere bianche.

 

Intonaco affrescato di due tipi: a fasce policrome, con motivo ornamentale oro su fondo rosso.

 


Basi in terracotta, una con modanatura, un frammento di coppo, chiodi, altri manufatti metallici, pesi da telaio.

 


Frammenti di tegola e mattone bollati.

 


Laterizi modellati. Macine.

 


Tegole, mattoni, laterizi modellati, come base, per scolo idrico... Ricostruzione di tetto.

 


Resti lignei preromani. Resti marmorei di epoca varia. Reperti rinascimentali.

 

6.1.     Frammenti di instrumenta inscripta

Per il modello di scheda tornano utili le indicazioni di Vincenza Morizio[1].

Lino Vanuzzo, in riferimento allo scavo effettuato presso via Stradona, parla di “timbri di fabbrica posti sui diversi embrici...”[2].

Nella Carta Archeologica del Veneto IV 51.246. DOLO (VE). STRADONA-FONDO VELLUTI [III SE, m4] si legge che “... nel fondo Velluti, nei pressi dell’antica via Annia, alcuni ragazzi sotto la guida dell’ispettore onorario Luigi Vanuzzo hanno individuato alcune tombe alla cappuccina. Tra il materiale vi erano delle monete di Claudio (41-54 d.C.), fibule, frammenti ceramici, tegoloni spezzati, un mattone «bollato, di Claudio»”. Al punto 51.247. DOLO (VE). SAMBRUSON-FORNACE VAL D’ADIGE [III NE, m5] è riportato il recupero, tra altri oggetti, di “... una ciotola d’argilla, una grossa ansa di olla, vari frammenti ceramici... materiale («pezzi di pietre»)...”[3].

Si può dedurre che i frammenti di reperti bollati presenti nell’Antiquarium provengano del tutto o in gran parte dallo scavo di via Stradona. Pertanto per tutti varrà il seguente riferimento topografico:

  • Rinvenuto nel 1950, a Sambruson-Dolo (VE), probabilmente in sito Stradona-Fondo Velluti (Vanuzzo[4]; CAV IV, punto 246, III SE, m4[5]), da scavo occasionale non stratigrafico. Conservato ed esposto presso l’“Antiquarium” di Sambruson.

6.1.1. LATERIZI DELLA FIGLINA PANSIANA

Tra le figlinae di Romagna, Veneto e Friuli, quella che emerge per mole produttiva è la figlina Pansiana, di cui sono giunti fino a noi più di un migliaio di bolli laterizi. Fondata da Caius Vibius Pansa Caetronianus, amico e collaboratore di Cesare nonché governatore della Gallia Cisalpina nel 45 a.C., la figlina passò in seguito nella proprietà imperiale, con la comparsa sui bolli dei nomi degli imperatori Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone, Galba e Vespasiano oltre alla denominazione Pansiana. Le tegole della Pansiana ebbero vasta diffusione commerciale in ambito adriatico, lungo tutta la costa orientale, dall’Istria, alla Dalmazia, all’Illirico[6].

Sono attestate in modo cospicuo nel Polesine e ad Adria con più di 200 esemplari, nel Veronese e nel Padovano; meno frequenti ad Altino, Concordia, Aquileia e Trieste. Massiccia la presenza in Istria (200 esemplari circa sono a Pola), in Liburnia e in Dalmazia[7].

la Pansiana continuò a produrre tegole fino agli inizi della dinastia Flavia; poi cedette il posto alla fabbricazione dei mattoni, contraddistinti però dai soli nomi degli imperatori (da Adriano fino ad Alessandro Severo). In generale questi ultimi prodotti continuarono a far fronte soprattutto alle necessità edilizie dell’area ravennate e classense, base ormai stabile della flotta imperiale[8]. Per quanto riguarda la localizzazione delle officine, è possibile che ci fossero filiali sia produttrici che distributrici[9]. Per Zerbinati c’erano vari depositi usati solo per la commercializzazione[10].

Nella serie ininterrotta di ipotesi sull’eventuale presenza di più sedi produttive, un dato è certo: il territorio deltizio ferrarese, già a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, vanta il ritrovamento di scarti di cottura bollati a nome PANSIANA rinvenuti a Voghiera/Voghenza. Quasi un decennio prima, lungo l’argine di Agosta, nell’attuale valle del Mezzano, era stato rinvenuto un altro scarto di mattone col bollo recante il nome dell’imperatore Antonino Pio. Pur mancando all’appello le fornaci vere e proprie, questi elementi probanti sono serviti a situare la fabbricazione nel Delta del Po, territorio con ruolo riconosciuto di “cerniera”[11].

La quantità di dati e la presenza di diversi tipi di bolli dovuti alla lunga esistenza della figlina hanno indotto Robert Matijašic, come egli stesso afferma, a tentare una classificazione[12].

  • Frammento di tegola Pansiana: PANS[---]

¶ COLLOCAZIONE ¶

Catalogo 250[13]; inv. 294582.

¶ SUPPORTO ¶

Frammento di tegola di forma pseudotriangolare. Forato negli anni ’50 per appenderlo in esposizione. Misure dei lati (in senso antiorario, dal lato più lungo): cm 28; 17; 20 ca. Spessore: cm 3,0 ca. Colore: arancio tenue sbiadito.

Impasto

Colore frattura arancio sbiadito. Individuato impasto n. 63. Sue caratteristiche: frattura abbastanza regolare, di colore rosso-giallastro (5YR 5/6); piuttosto duro; ricco di inclusi di calcite di piccole dimensioni e di granelli si sabbia quarzosa[14].

¶ BOLLO ¶

 

PANS[---]. Bollo in cartiglio rettangolare presente a metà, fino al confine del frammento, con la S di Pansiana tagliata obliquamente. Misura presunta dell’intero bollo: cm 3,0 x 10 ca; Conservazione del trammento di bollo discreta[15].

Analisi paleografica: verso destrorso; andamento orizzontale; ductus regolare; modulo verticale; P con arco aperto; Seconda e terza asta della N si incontrano ad un livello più alto rispetto alla linea d’appoggio.

.

Trascrizione: Pans[---], con molta probabilità nome intero: Pansiana; aggettivo sostantivato riferito alla figlina.

¶ PRODUZIONE / ATTESTAZIONI ¶

Ipotizzando che il bollo per intero mostrasse la dicitura PANSIANA senza altri riferimenti a livello onomastico* e considerando le sue caratteristiche paleografiche, potrebbe essere inserito, in base allo studio di Robert Matijasic[16], tra i tipi di una produzione abbastanza diffusa in periodo augusteo. Il seguente potrebbe essere un accostamento valido[17]:

In entrambi i bolli la P presenta l’occhiello aperto, le lettere hanno cuspidi appena accennate.

Piccole differenze in questo caso, ma non solo, potrebbero trovare giustificazione data l’esistenza di diversi timbri per la marcatura in uso contemporaneo[18].

* Difficile escludere del tutto, mancando la parte finale, che il bollo di Sambruson potesse essere del tipo PANSAE VIBI, presente sui laterizi quando Vibius Pansa, era in vita,[19].

¶ DATAZIONE ¶

Le indicazioni generali sul tipo di bollo in questione (pur con le riserve espresse) e le caratteristiche epigrafiche ed onomastiche tendono a datarlo in periodo augusteo.

  • Frammento di tegola Pansiana: [---]SIANA

¶ COLLOCAZIONE ¶

Catalogo 248[20]; inv. 294581.

¶ SUPPORTO ¶

Frammento di poligonale. Forato negli anni ’50 per appenderlo in esposizione. Misure dei lati (in senso antiorario, dal lato più lungo): cm 25; 8; 10; 6; 20; 4. Spessore: cm 3,0 ca. Colore: arancio tenue sbiadito.

Impasto

Colore frattura arancio sbiadito. Individuato impasto n. 63. Sue caratteristiche: frattura abbastanza regolare, di colore rosso-giallastro (5YR 5/6); piuttosto duro; ricco di inclusi di calcite di piccole dimensioni e di granelli si sabbia quarzosa[21].

¶ BOLLO ¶

[---]SIANA. Bollo in cartiglio rettangolare presente a metà, dalla S di Pansiana (intera) in poi. Misura presunta dell’intero bollo: cm 3,2 x 12 ca; Conservazione del frammento di bollo buona.

Analisi paleografica: ductus regolare, lettere verticalizzate, leggermente cuspidate.

Trascrizione: non è dato sapere se fosse presente solo l’aggettivo sostantivato oppure un prefisso legato al nome di un imperatore.

Nel primo caso la somiglianza è evidente col tipo 5 tav I di Matijašic, il quale rileva essere una variante piuttosto ristretta, caratterizzata dal secondo gruppo AN in nesso[22].

Nel secondo caso c’è somiglianza col tipo 30 tav. III, Ti(beri) Pansiana.

¶ PRODUZIONE / ATTESTAZIONI ¶

Un bollo di una tegola Pansiana di Tiberio è presente nel museo archeologico di Padova. Sempre nell’ipotesi che il bollo di Sambruson avesse il riferimento imperiale, c’è somiglianza, nel modulo delle lettere, nella larghezza del tratto, nelle apicalità, nel nesso, con la prima asta della A e la seconda della N verticali e parallele.

Bollo del museo di Padova.

La presenza del nome di Tiberio nel bollo dovette essere particolarmente intensa: ritrovamenti frequenti in Cisalpina e lungo le coste adriatiche italiche e dalmate[23].

¶ DATAZIONE ¶

Nell’ipotesi che la tegola d’origine fosse marchiata Pansiana, le notizie generali sulla produzione e la verticalizzazione delle lettere porterebbero a collocarla in periodo augusteo.

Nell’ipotesi che fosse una Pansiana di Tiberio, lo stesso marchio la collocherebbe in periodo post-augusteo

 

  • Frammento di tegola di Tiberio

¶ COLLOCAZIONE ¶

Catalogo 246[24]; inv. 294583.

¶ SUPPORTO ¶

Frammento di tegola di forma triangolare. Forato negli anni ’50 per appenderlo in esposizione. Misure dei lati (in senso antiorario, dal lato di sinistra): cm 22; 23; 15 ca. Spessore: cm 3,0 ca. Colore: giallo-grigio-rossastro.

Impasto

Colore frattura: giallo-rossastro. Individuato impasto n.59. Sue caratteristiche: frattura piuttosto netta, di colore rosso-pallido (2.5R 7/2); duro; impasto a matrice ferrica con inclusi di medie dimensioni, rosso-mattone di chamotte, e alcuni minerali non argillosi di piccole dimensioni, probabilmente feldspati[25].

¶ BOLLO ¶

TIP[---]Inizio di bollo in cartiglio rettangolare ad angoli arrotondati. Assente un angolo basso della parte sinistra ed una notevole porzione della parte destra.

Analisi paleografica: ductus forse ordinato visto l’inizio, comunque molto abraso; lettere a tratto largo, non cuspidate.

Trascrizione: Tip è il probabile inizio di Ti(beri) P[(ansiana)].

 

¶ PRODUZIONE / ATTESTAZIONI

Un riferimento per il bollo di Sambruson può essere questo: tipo tav. III n. 34 (Matijasic).

Cipriano Mazzocchin attestano il rinvenimento di bolli di Tiberio nell’area Veneta: 1 nell’agro di Padova (tegola), 1 nel territorio di Padova (tegola), 3 a sud di Padova (tegole), alcuni a Concordia (tegole), 4 nel territorio di Altino (tegole), 14 nel territorio di Adria / (tegole, per alcuni incertezza), 6 nel territorio di Verona (tegole)[27].

¶ DATAZIONE ¶ Per la datazione fa testo il periodo d’impero di Tiberio.

 

  • Frammento di tegola di Claudio

¶ COLLOCAZIONE ¶

Catalogo 251[28]; inv. 294578.

¶ SUPPORTO ¶

Frammento di tegola con bollo. Un foro fu praticato nel 1950 per appenderlo. Forma trapezoidale. Dimensioni, da bordo in senso antiorario: cm 30; 33; 12; 30; spessore: cm 3,5; bordo h cm 5; bordo largh. cm 3. Colore rosa-violaceo chiaro.

Impasto

Colore frattura: rosso chiaro. Individuato impasto n. 62. Sue caratteristiche: frattura piuttosto netta, di colore rosso chiaro (2.5YR 6/6); duro; leggermente ruvido al tatto; impasto ricco di inclusi scuri di piccole e medie dimensioni, di inclusi medi di quarzo, e di chamotte di medie e grandi dimensioni[29].

¶ BOLLO ¶

TICLAVDIPAN[---]. Bollo non completo, mancante della parte destra, di questa non è nota la lunghezza, a seconda dello sviluppo dell’iscrizione (S? SIAN? SIANA?). Tre nessi presenti in LA, VD, AN. Forse visibile piccolo tratto di S. Bollo in cartiglio rettangolare ad angoli arrotondati. Assente una notevole porzione della parte destra.

Analisi paleografica: ductus pianificato con nessi eleganti per contenere una scrittura altrimenti troppo estesa. Lettere cuspidate.

Trascrizione: Ti(beri) Claudi Pansiana, o Pans(iana) o Pansian(a).

¶ PRODUZIONE / ATTESTAZIONI ¶

In Matijasic tutti i bolli simili attestati presentano elisione  finale in Claudi, cioè Claud(i)[30]. Esempio a lato.

Cipriano Mazzocchin attestano il rinvenimento di bolli di Claudio nell’area Veneta: 3 nel veronese (tegole), 9 nel territorio di Este (tegole), 18 nel territorio di Adria (soprattutto su tegole), 1 ad Altino (mattone), 1 a Montegrotto (tegola), 1 nell’agro padovano (tegola)[31].

¶ DATAZIONE ¶

Per la datazione fa testo il periodo d’impero di Claudio.

 

  • Frammento di tegola di Nerone

¶ COLLOCAZIONE ¶

Catalogo 245[32]; inv. 294577.

¶ SUPPORTO ¶

Frammento di tegola di forma poligonale concava, con altezza e larghezza massima di 15 cm ca. Di colore arancio chiaro. Presente bollo incompleto.

Impasto

Colore frattura: rosso sbiadito. Individuato impasto n. 57. Sue caratteristiche: frattura irregolare; colore da bruno a rossastro (2.5YR 6/8); abbastanza duro; impasto ricco di inclusi di medie dimensioni di calcite e sub-arrotondati di chamotte, anche i primi probabilmente aggiunti alla matrice[33].

¶ BOLLO ¶

Consunto e incompleto. Dimensioni del bollo: cm 2,5 x 10 ca. Cartiglio rettangolare.

Analisi paleografica: lettere in evidente rilievo (seppur ridotto dall’abrasione) a tratto molto largo e leggermente cuspidate. Nessi plurimi: NER, CL,VD. Particolare il primo, con effetto grafico della cravatta unico elemento della E.

Trascrizione: Ner(onis) Claud[---]. Non è dato conoscere lo sviluppo del bollo. Dei tipi catalogati da Matijasic nessuno è accostabile al bollo di Sambruson, essendo in questo particolare il nesso CL.

¶ PRODUZIONE / ATTESTAZIONI ¶

In generale, bolli di Nerone nell’area veneta sono elencati da Cipriano Mazzocchin: 5 nel territorio di Este (tegole, un paio potrebbero essere di Claudio), 18 nel territorio di Adria (tegole, alcune incerte), 1 ad Altino (tegola), a sud-est di Padova attestato quello su tegola di Sambruson.

¶ DATAZIONE ¶

Per la datazione fa testo il periodo d’impero di Nerone.

  • Frammento di tegola [---]+SI[---]

¶ COLLOCAZIONE ¶

Catalogo 247[34]; inv. 294584.

¶ SUPPORTO ¶

Frammento di tegola di forma pseudo-poligonale. Misure dei lati (in senso antiorario, dal basso -terzo e quinto leggermente arcuati-): cm 17; 4,5; 22; 2,5; 17. Spessore: cm 2,8. Colore: giallo-grigio-rossastro.

Impasto

Colore frattura rosso-giallastro. Individuato impasto n. 63. Sue caratteristiche: frattura abbastanza regolare, di colore rosso-giallastro (5YR 5/6); piuttosto duro; ricco di inclusi di calcite di piccole dimensioni e di granelli si sabbia quarzosa[35].

¶ BOLLO ¶

[---]+SI[---]. Parte presumibilmente centrale di bollo in cartiglio rettangolare. Altezza del cartiglio: cm 3,0. Cattivo stato di conservazione.

Analisi paleografica: verso destrorso; andamento orizzontale; ductus apparentemente regolare; modulo verticale; Al centro chiara lettera S, a destra I con quache dubbio essendoci possibili tratti di bracci e/o cravatta, ma forse sono cuspidi della I e imperfezioni; a sinistra probabile asta destra di una A, ma anche, meno probabile, di una R, quasi certamente non di una N.

Trascrizione: [---]+si[---]. Nome intero: la soluzione più ragionevole è che si tratti del bollo di una tegola Pansiana.

¶ ATTESTAZIONI / DATAZIONE ¶

Si potrebbe trattare di varianti accomunate dall’enigma dell’assenza della N davanti alla S secondo la classificazione di Matijasic:

-       PASI·A·NA. Variante del II tipo, da datare intorno al periodo che segna il passaggio dei beni da Vibius alla proprietà imperiale[36]; variante strana per l’inspiegabile presenza della punteggiatura a destra e a sinistra della A mediana; il numero elevato di bolli ritrovati con tale caratteristica nelle regioni interessate (Piceno, Venetia et Histria) non lascia dubbi circa l’autenticità della lettura.

-       Varianti del tipo IV, di Tiberio[37]: TIB·PASIANA, con TIB in nesso, conosciuta nei dintorni di Rimini e di Pola; TI PASINA, con assenza anche della A intermedia, di lettura certa, ma esiste un solo bollo conservato.

-       Varianti del gruppo V, di Caligola[38]: C·PASIAN, con singole attestazioni a Zadar, Pola, Ravenna; C·PASIANA, da Ravenna e Valle el Mezzano; C PASI·A·NA, da Rimini e Valle del Mezzano.

La variante del II tipo, viste le attestazioni, potrebbe comprendere anche il bollo di Sambruson, da datare quindi in epoca augustea.

Rimanendo in area veneta, confronti possibili, anche se improbabili, si potrebbero avanzare con altri bolli comprendenti la sillaba SI non preceduta da N. In questo caso viene in aiuto il dettagliato elenco di Cipriano e Mazzocchin[39]: 1 su supporto incerto C·MVSTI/SILONC da Oderzo, 3 su tegole S·CRASSI da Concordia, 1 su tegola C·OPPI VRSINI da Concordia, 1 su tegola C·MAESSI da Asolo, vari T·MESSIUS·T dalla provincia di Treviso, vari D·MESSI su mattoni e tegole da Treviso e provincia, 1 su supporto incerto [---]SIVS·T da Piombino Dese, 1 su tegola [---]C·SIS da Rosà, 4 su tegole DRIILLI/SITRIINI dal territorio di Vicenza.

6.1.2. ALTRI LATERIZI

  • Mattone di Caio Critonio

 

¶ COLLOCAZIONE ¶

Catalogo 253[40]; inv. 294586.

¶ SUPPORTO ¶

Mattone di cm 22x32x7 ca. Abraso in superficie, con piccole incrostazioni calcaree, spigoli scheggiati e smussati. Manca una porzione triangolare con frattura di cm 15 ca in alto a sinistra (guardando la faccia contenente il bollo). Di colore chiaro grigio-rosato, con macchie più scure nei  punti scrostati e nell’incasso del cartiglio.

Impasto

Colore frattura bruno chiaro. Individuato impasto n. 13. Sue caratteristiche: frattura piuttosto irregolare, con colore dal bruno-rossastro chiaro a rosso-chiaro (2.5YR 7/3 e 6/4 e 7/6); abbastanza morbido; polveroso al tatto; a matrice calcarea con alta frequenza di piccoli inclusi di calcite; bassa presenza di mica; presenti vari voids di dimensioni diverse[41].

¶ BOLLO ¶

Bollo in cartiglio rettangolare, cm 3,9 x 9 ca, C·CRITON[---].

Decentrato verso sinistra, con orientamento obliquo verso l’alto.

Erosione accentuata a destra del bollo, con cancellazione graduale delle ultime lettere.

Analisi paleografica: verso destrorso, andamento orizzontale, interpunzione (incerta) con punto centrale dopo la prima lettera, ductus regolare e approssimativo, modulo verticale, lettere non cuspidate.

Analisi onomastica: praenomen, nomen e probabile patronimico. C(ai) Criton[i]; oppure C(ai) Criton[i] [C(---)]; oppure: C(ai) Criton[i] [C(ai)] [f(ili)].

¶ PRODUZIONE / ATTESTAZIONI ¶

Figlina della gens Critonia, che fu impegnata per più generazioni nella produzione di laterizi. È documentata in varie località della X Regio, soprattutto a Padova, nel suo agro, nell’area comacchiese e a Ravenna[42]. Vicino ad Este è stato rinvenuto un cippo terminale che ricorda la concessione del diritto di transito attraverso il fondo di un Q. Critonius al figlio Q. Critonius Q.f. e ad un certo Pomponius Silo.

 

[P]er Q(uinti) Critoni[i]

iter debetur

[Q(uinto)]Critonio Q(uinti) filio et

Pomponio Siloni

[ali] nulli.[43]

Prima riga, altro possibile scioglimento:

[It]er Q(uinti) Critoni[i]

Nel praedium dei Critonii (un’altra attestazione a Monselice[44]), si può supporre siano da collocare le officine laterizie. Così scrivono Silvia Cipriano e Stefania Mazzocchin nel 2003[45], le quali, in un contributo più recente, si domostrano più caute: se qui si può identificare una proprietà dei Critonii, i quali bollarono tegole e mattoni diffusi prevalentemente nell’area termale euganea e in quella polesana, dall’analisi di quelli editi non è possibile localizzare nessuna produzione laterizia specifica nell’agro atestino[46]. Ritengono, inoltre. che le varianti dei bolli (ad esempio: C×CRITONI×C nell’agro adriese, C×CRITONI e C×CRITONI×C×F nel territorio patavino) potrebbero contraddistinguere le diverse produzioni di una fabbricazione dislocata[47].

Silvia Cipriano ribadisce il margine di incertezza anche in Archeoloogia Veneta, 2011: la gens Critonia, scrive, è documentata epigraficamente in Cisalpina solo nel territorio euganeo, dove forse va collocata la manifuttura[48].

Altra attestazione della gens Critonia

Nella Gallia Narbonense[49].

Sibi et

Sophie (Sophe in EDCS)

coniugi et

Q(uinto) Critonio

Il laterizio di Sambruson con bollo C·CRITON[---] è reperto unico nel territorio a sud-est di Padova, dato confermato da Silvia Cipriano e Stefania Mazzocchin[50]:

q.

bollo

scioglimento

supporto

luogo

bibliografia

1

C·CRITON[---]

C(ai) Critoni C.f.

mattone

Sambruson di Dolo

Zampieri 2005-2006, p. 139

Registrano inoltre: 3 C×CRITONI su tegola e mattone, 11 C×CRITONI×C su tegola e mattone e un C×CRITONI×C×F a Rovigo e provincia; un C×CRITONI C×N×F su tegola a Ponte di Piave (TV); un [---]ITONI×C×F su mattone a Borgoricco; un C×CRITONI su mattone a Vigodarzere; vari C×CRITONI×C su tegola e mattone in area euganea; 4 C·CRITONI C×F su mattone in area padovana[51].

Nel museo archeologico di Padova tre mattoni sono bollati C×CRITONI×C×F con il medesimo punzone, impresso entro cartiglio rettangolare con lettere capitali apicate a rilievo[52].

Presso il Museo della Centuriazione Romana sono conservati anche laterizi che attestano l’arrivo nel territorio centuriato di materiale prodotto in altre zone del Veneto romano. Si tratta ad esempio del mattone che reca entro cartiglio rettangolare il marchio C×CRITONI C×F attribuibile alla gens Critonia[53].

¶ DATAZIONE ¶

L’onomastica bi-membre, combinata con il dato di lettere a modulo verticale ma non apicate, potrebbe confermare il periodo di attività in un lasso temporale pre/post augusteo. In linea con quanto affermano Zampieri (I sec. a.C. / metà I sec. d.C). [54] e Cipriano, Mazzocchin (entro metà del I sec. d.C.) [55].

 

  • Frammento di mattone (o tegola?) di Caio Flavio:

 

¶ COLLOCAZIONE ¶

Catalogo 249[56]; inv. 294580.

¶ SUPPORTO ¶

Frammento  di laterizio di cm 16x11x2,8 ca, con due fratture oblique di 8-10 cm circa che producono una forma pentagonale. Abraso in superficie, con piccoli fori in corrispondenza di inclusi staccati, spigoli smussati. Di colore grigio rosato molto chiaro, grigio chiaro nel fondo dello specchio epigrafico e di parti scrostate.

Impasto

Colore frattura bianco. Individuato impasto n. 53. Sue caratteristiche: frattura piuttosto netta, con colore da giallo chiaro (5Y 8/3) a bianco (5Y 8/1); duro; leggermente ruvido al tatto; impasto con inclusi di chamotte rosso-mattone non numerosi di piccole e medie dimensioni, distribuiti in modo non uniforme. Sono presenti inclusi di quarzo[57].

¶ BOLLO ¶

Dimensioni: cm 2,8 x 8 ca; cartiglio dalla forma molto irregolare[58]; forse in planta pedis, senza evidenza delle dita.

Analisi paleografica: punto con funzione di abbreviazione piuttosto grande in posizione centrale segue la lettera C separata da Flavi[59]; verso destrorso, andamento orizzontale; ductus irregolare, con l’ultima lettera visibilmente più piccola, in prossimità della punta del piede se in planta pedis; lettere non apicate; modulo verticale non accentuato.

Trascrizione: C(ai) Flavi, praenomen e nomen al genitivo, con “i” unica in desinenza, probabilmente riferito al proprietario della figlina.

¶ PRODUZIONE / ATTESTAZIONI ¶

Cipriano e Mazzocchin registrano il bollo di Sambruson come unico nel suo genere rinvenuto nell’area sud-est di Padova[60]:

q.

bollo

scioglimento

supporto

luogo

bibliografia

1

C×FLAVI

C(ai) Flavi

mattone

Sambruson di Dolo (VE)

Zampieri 2005-06, p. 140

In realtà, quasi sovrapponibile a quello di Sambruson è il bollo C×FLAVI su embrice rinvenuto a Campagna Lupia - Corte Frattina; un altro frammento, proveniente da Lugo mostra un bollo C×FLA[---]. Da datare entrambi alla prima età imperiale[61].

Da: Cipriano, Mazzocchin[62] -   Concordia

q.

bollo

scioglimento

supporto

luogo

bibliografia

 

10

C FLAVI F

 

C(ai) Flavi (---)

tegola

agro concordiese; Levada (VE) Teson; Concordia (VE) teatro

Buora 1983, p. 165 (2 var.; Bonomi, Di

Filippo Balestrazzi,  Munarini, Sandrini, Zanovello 1988, p. 151, CAV I, f. 39, n. 82.1; Mappa archeologica 2002, n. 144, p. 110

4

F FLAVI

F(---) Flavi

tegola

Concordia (VE)

Buora 1983, p. 166

C×FLAV[I]. Canosa (Puglia). Frammento di laterizio. Ce ne parla la Morizio[63]. Riutilizzato in una struttura muraria. Di argilla beige giallino. Sulla superficie è impresso un bollo, frammentario nella parte terminale. Il cartiglio è in planta pedis. Le lettere sono capitali destrorse in rilievo. Grosso punto di separazione rotondo. Rara occasione di un laterizio di età imperiale in situ. Essendo il muro datato al I sec. d.C., il laterizio della figlina di Caius Flavius (della gens Flavia, tra le più note della società canosina) è precedente. La presenza del bollo C. Flavi su anfore a Padova e Monselice e su una tegola in Istria a Val Catena (registrata nell’ambito di una ricognizione condotta su bolli dell’Italia nord-orientale che documentano la presenza di contrassegni dello stesso produttore su anfore e altri prodotti[64]), attestazione di un abbinamento ricorrente anfore – tegulae, portano ad ipotizzare l’esistenza di impianti unici per entrambi i prodotti. Prudenza anche maggiore serve nell’immaginare ed accertare, per i laterizi, una distribuzione a vastissimo raggio, ma, come mostra Maurizio Buora (sue opere, spec. saggio sul commercio dei laterizi tra Aquileia e la Dalmazia[65]), indizi in tal senso per il versante Adriatico, alto e meridionale, non mancano.

¶ CONSIDERAZIONI ¶

La forma in planta pedis, il grande punto di separazione fra C e F, le lettere non apicate che caratterizzano sia il bollo di Sambruson e di Campagna Lupia che quello di Canosa, la possibile esistenza di impianti unici di C.Flavius per la produzione di anfore e tegole e la possibile distribuzione ad ampio raggio dei laterizi altoadriatici, portano a dedurre che:

-  il laterizio C.Flavi di Sambruson, tra l’altro di spessore contenuto, possa essere in realtà una tegola piuttosto che un mattone;

-  i laterizi in oggetto di Canosa e di Sambruson, oltre che di Campagna Lupia, siano usciti da una stessa figlina o da figline di C. Flavius distribuite in area adriatica;

-  anche Maio Meduaco sia stato testimone e pertecipe, in epoca romana, di una vasta rete commerciale adriatica.

Vale in tal senso quanto afferma Zaccaria: si deve smentire la visione che ogni produttore vada esclusivamente ricollegato ad una particolare zona e ad un particolare prodotto[66].

¶ DATAZIONE ¶

L’analisi paleografica e quella onomastica (verticalizzazione delle lettere non accentuata, onomastica bi-membre) indicano una datazione non tarda. Anche la collocazione temporale, quindi, suggerisce un collegamento del laterizio di Sambruson con gli esemplari di Campagna Lupia e di Canosa.

  • Frammento di tegola di Lucio Giunio

¶ COLLOCAZIONE ¶

Catalogo 325[67]; inv. 294586. (Presente un altro esemplare molto simile, ma in pessimo stato di conservazione).

¶ SUPPORTO ¶

Frammento di tegola di forma trapezoidale. Misure dei lati (in senso antiorario, dal bordo): cm 30, 35, 25, 40 ca. Spessore: cm 3,5 ca. Altezza bordo: cm 8 ca. Colore: grigio-rosato chiaro.

Impasto

Colore frattura rosa chiaro. Individuato impasto n. 54. Sue caratteristiche: frattura abbastanza regolare, con colore rosa chiaro (2.5YR 8/3); morbido; ricco di inclusi arrotondati color rosso mattone e scuri di chamotte e di inclusi color grigio scuro di medie dimensioni[68].

¶ BOLLO ¶

Bollo in cartiglio rettangolare, cm 3 x 9 ca; L·IVNI·CF; Conservazione discreta, con abrasione più evidente sull’interpunzione.

Analisi paleografica: verso destrorso; andamento orizzontale; interpunzione a triangolino con vertice rivolto a sinistra fra L ed I e fra seconda I e C; ductus regolare; modulo verticale con lettere cuspidate; ultima lettera F nana.

Trascrizione: L(uci) Iuni C(ai) f(ili); praenomen, nomen e patronimico.

¶ PRODUZIONE / ATTESTAZIONI ¶

Si presume che la figlina fosse locale[69], facendo parte delle piccole figline che insistevano nel territorio fra Adria e Gavello[70]. Secondo quanto riporta Zampieri 8 frammenti sono stati trovati ad Adria, di cui 7 risultano dispersi, e 2 a Gavello; 1 ad Aquileia è mancante della lettera C[71]. Zerbinati registrava 4 attestazioni ad Adria e basso Polesine e 2 tra Adria e Rovigo[72].

La Gens Iunia era numerosa e diffusa, come da attestazioni in OPEL[73]. Soprattutto in Hispania.

Attestazioni da Cipriano, Mazzocchin:

sud-est di Padova[74]

q.

bollo

scioglimento

supporto

luogo

bibliografia

2

L×IVNI×CF

L(uci) Iuni C. f.

tegola

Sambruson di Dolo (VE)

Zampieri 2005-06, p. 141

 

territorio di Adria[75]

q.

bollo

scioglimento

supporto

luogo

bibliografia

6

L×IVNI×C

L(uci) Iuni C(---)

mattone

Adria (RO)

Zerbinati 1993b, nn. 101. 1-6.

 

¶ DATAZIONE ¶

L’onomastica bi-membre, combinata con il dato delle lettere apicate a modulo verticale, suggerisce la collocazione dell’attività in periodo alto-imperiale.

¶ UNA CONSIDERAZIONE ¶

Valeria Righini attesta il bollo P(ubli) Iuni Cil(onis), proveniente da Cesenatico[76]. Considerata la prossimità geografica con il nord-est, l’onomastica con tria nomina utile a distinguere il marchio, la datazione forse tarda vista l’andamento verticale di lettere apicate, attesta, con ogni probabilità, una produzione allargata grazie ad un ramo parentale della gens Iunia se non addirittura lo stesso produttore.

  • Frammento di tegola di SEXVE...?

 

COLLOCAZIONE ¶

Catalogo 254[77]; inv. 294594.

¶ SUPPORTO ¶

5 frammenti di tegola combacianti, uniti da legacci di fil di ferro; insieme la forma risulta pentagonale. Presenti entrambi i bordi a margine delle scanalature di scolo. È stato possibile valutare direttamente caratteristiche, dimensioni e peso essendo il reperto esterno alle teche espositive: misura dei lati (in senso antiorario, dalla  base in figura): cm 40; 34; 24; 33; 52; spessore cm. 3,5/4; h bordi cm 7, scantonati verso il basso per 1,5/2 cm; rientranze di cm 9/10 x 2 sui bordi dalla parte del lato di cm 40. Peso: km 12,1.  (il reperto è fuori bacheca per cui giovedì potrò andare ad eseguire con precisione le misure, compreso il peso –autopsia?-)  Polveroso, facilmente friabile lungo le fratture. Colore: grigio-bruno molto chiaro.

Impasto

Colore frattura bruno chiaro. Individuato impasto n. 13. Sue caratteristiche: frattura piuttosto irregolare, con colore dal bruno-rossastro chiaro a rosso-chiaro (2.5YR 7/3 e 6/4 e 7/6); abbastanza morbido; polveroso al tatto; a matrice calcarea con alta frequenza di piccoli inclusi di calcite; bassa presenza di mica; presenti vari voids di dimensioni diverse[78].

¶ BOLLO ¶

Bollo SEXVE[---] in cartiglio rettangolare di cm 2,6 x 14 (non meno di); altezza lettere: cm 2,2. Molto abraso gradatamente verso destra.

Analisi paleografica: verso destrorso, andamento orizzontale, nessuna interpunzione, ductus regolare, modulo verticale con lettere leggermente cuspidate, sempre meno leggibili verso destra, la seconda lettera E ha bracci e cravatta brevi, soprattutto il primo braccio in alto, solo abbozzato, la quarta e la quinta lettera, V ed E, sono in nesso, segue una I con un trattino orizzontale che la incrocia tale da far pensare ad un nesso fra T e I. Sembrano seguire una E o una L, poi  un triplo nesso AVA, o AVR, o ANR...  Il resto è pressoché illeggibile.

Trascrizione: in premessa si può affermare che sul praenomen Sextus non ci dovrebbero essere dubbi; per il secondo elemento onomastico si potrebbe pensare al gentilizio Vetius, attestato in Solin Salomes[79]; a seguire un cognomen: Solin Salomes riportano Laureius e Laurentius[80]. Opel III Pais attesta[81]:

Volumnia,

C(ai) L(iberta) Laurens.

Opzioni ragionevoli: Vetius come gentilizio, Laurens come cognomen.

Ipotesi di scioglimento del bollo: Sex(ti) Veti Laurentis.

¶ PRODUZIONE / ATTESTAZIONI ¶

Il bollo così sciolto non sembra trovare riscontro in figlinae esitenti.

¶ DATAZIONE ¶

Aspetto paleografico: la verticalizzazione del modulo, le lettere cuspidate, regolari, di discreta fattura collocano il manufatto nella prima epoca imperiale.

Onomastica: l’uso del tria nomina amplia il range temporale di riferimento, dal periodo tardo repubblicano al primo imperiale. Giuseppe Pucci, in relazione però alla terra sigillata, colloca l’introduzione dei tria nomina nei bolli al posto di un singolo nome di schiavo nelle produzioni tardo-italiche[82].

6.1.3. ANFORE

Una delle classi di materiale archeologico che contribuisce in modo fondamentale alla ricostruzione della storia economica è rappresentata dalle anfore. Le anfore forniscono informazioni relative ai consumi di alcune derrate e alle aree di provenienza; inoltre, attraverso l’analisi del corredo epigrafico, si possono ricostruire aspetti legati all’organizzazione della produzione e alle dinameiche del commercio[83].

A Sambruson i pezzi ceramici pertinenti ad anfore sono molto numerosi. Sono stati identificati differenti tipi di anfore, anche non italiche. Tutte le forme presenti a Sambruson trovano confronti prinicipalmente con le anfore di Padova, di Montegrotto, di Altino e di Aquileia[84].

Di provenienza italica è l’olio che giunge nell’area veneta nel corso del I sec. d.C. ed è contenuto prevalentemente nelle Dressel 6B[85].

 

  • Bollo CELER su orlo di anfora

 

¶ COLLOCAZIONE ¶

Catalogo 198[86]; inv. 294700.

¶ SUPPORTO ¶

Un frammento di orlo a ciotola di anfora Dressel 6B, estroflesso, ingrossato ed arrotondato all’esterno. Non integro all’interno. Diam. max. cm. 14,4, peso g. 250, EVE 15%. Presenta di poco sotto l’orlo il bollo CELER[87].

Impasto

Frattura irregolare, colore rosa. Individuato impasto n. 6. Sue caratteristiche: colore della frattura tendente dal rosa (5YR 7/3 e 6/4 e 7/4) a rosso chiaro (2.5YR 6/6); leggermente ruvido; nell’impasto sono presenti frequenti medi e piccoli inclusi bianchi di calcite e alcuni inclusi di color rosso-mattone, di varie dimensioni, di chamotte[88].

¶ BOLLO ¶

Bollo CELER in cartiglio ovale incassato,  di cm 2,5 x 6 ca; discreta conservazione, leggibile.

Analisi paleografica: verso destrorso, andamento orizzontale, nessuna interpunzione, ductus regolare, modulo con verticalizzazione non accentuata, lettere leggermente cuspidate, asta e cravatta delle E di misura uguale. Tratto in evidente rilievo.

Analisi onomastica: un solo nome, Celer, nome di schiavo probabilmente responsabile della produzione dell’anfora. Rimangono ancora dubbi, comunque, sul suo scioglimento, essendo incerti se trattasi di nome servile o cognomen[89].

¶ PRODUZIONE / ATTESTAZIONI ¶

L’olio che giunge nell’area veneta di provenienza italica è contenuto prevalentemente nelle Dressel 6B.

A Sambruson ne esistono 9 esemplari, di cui uno intero (ricostruito). Per il frammento bollato la situazione è anomala poiché l’impasto si presenta di colore grigio, mentre di solito la colorazione di queste anfore è rosata. Cause potrebbero essere la conservazione in un terreno umido o un difetto derivante dalla cottura[90].

Dal punto di vista archeologico, le uniche produzioni di anfore olearie Dressel 6B per le quali sono documentate con sicurezza le fornaci sono quelle istriane, situate nei due centri corrispondenti alle attuali Fasana e Loron[91].

Le analisi archeometriche indicano la produzione dei Dressel 6B bollati CELER nel territorio dell’Istria, senza ulteriori specificazioni[92].

Nei depositi patavini è attestata la presenza contemporanea dei punzoni CELER e CELE[93]. CELE è impresso anche in un’anfora opitergina[94].

Rimanendo nell’area del sud-est adriatico, rinvenuti ad Altino (area est del museo) due frammenti di lucerne con bollo su fondo esterno:

CELER, Celer [---]ER, [Cel]er .

Oxé Comfort riportatano due attestazioni su fondo di “terre rosse” del bollo CELER in planta pedis della Po Valley. Ne riportano, inoltre, una decina marchiati CELER o CELE in planta pedis, o in bollo tondo, o ellittico, o rettangolare, di zona incerta, probabilmente Pozzuoli[95].

Tale varietà (escludendo eventualmente i bolli assegnati, con qualche dubbio, a Pozzuoli) se si trattasse di produzione di una figlina o di figline collegate, potrebbe significare una circolazione commerciale non legata al locale.

¶ DATAZIONE ¶

Oxé, Comfort: 15-30 d.C. e oltre[96]. Cipriano: da tarda età augustea ad Adriano[97].  Zampieri: I sec. d.C.[98]. Maritan: I sec. d.C.[99]; tra fine età tiberiana ed inizio età claudia il CELE opitergino[100].

Tali indicazioni confermano un’ipotesi di datazione da collocare in età augustea e post-augustea dato l’aspetto paleografico del bollo, con lettere poco allungate e leggermente apicate, e l’onomastica con nome singolo, probabilmente, di uno schiavo emancipato.

 

6.1.4    TERRA SIGILLATA

La  produzione della terra sigillata aretina, iniziata presumibilmente attorno al 50 a.C. consta di una serie di fortunati servizi da mensa, composti da piatti e coppe decorati con appliques e caratterizzati da un rivestimento molto coprente, omogeneo e lucido, di colore corallo intenso[101].

Dopo un periodo di sperimentazione che dura più o meno una generazione, intorno al 15 a .C. la produzione di Arezzo entra nella sua fase classica, con una tecnica che diventa straordinariamente omogenea; il repertorio morfologico si codifica in una serie di tipi standardizzati. L’esportazione della terra sigillata tocca oravuna dimensione mai prima raggiunta  da nessun’altra merce di usocomune attestata archeologicamente[102].

Il riferimento temporale è confermato dalla datazione di cui bolli rinvenuti a Iulia Concordia. Tra i più antichi risultano essere di Attius, o Perennius: 20 a.C.[103]. Sono figuli aretini, che distribuiscono i loro prodotti ad ampio raggio. E soprattutto da Arezzo si registrano i primi arrivi intorno al 15 a.C.[104]. Tra bolli rinvenuti ad Altino, ma che sono attestati più in generale anche nella Venetia ed oltre, risultano di produzione padana, ad esempio, quelli di Bassus, o Cinnamus, databili a partire dal 10 a.C. Dunque tra il 20 e il 10 a.C. la terra sigillata viene  importata e dal contatto con figuli aretini si sviluppa anche la produzione padana.

 

  • Bollo FELIX SARI su terra sigillata

¶ COLLOCAZIONE ¶

Catalogo 063[105]; inv. 289770.

¶ SUPPORTO ¶

N.2 frammenti uniti di fondo di coppetta con piede in terra sigillata. Tipo: Conspectus 14.4 (Drag. 24/25; Goud. 13/16; Mazzeo 10; Pucci XX, varietà 3). Vernice della superficie interna ed esterna opaca di colore rosso-giallastro (5YR 5/8). EVE fondo 68,75%. Diam.max fondo cm.4,7. Peso g 20. Bollo racchiuso entro due coppie di linee concentriche; una linea concentrica è incisa più esternamente[106].

Impasto

Frattura colore rosa. Individuato impasto n. 38. Sue caratteristiche: colore della frattura rosa (5YR 8/4), frattura irregolare; leggermente ruvido; piuttosto duro  L’impasto è molto depurato, presenta piccolissimi inclusi di calcite, ben distribuiti. Si presenta ben compatto e a matrice ferrica[107].

¶ BOLLO ¶

Bollo FELIX/SARI in cartiglio rettangolare ad angoli arrotondati  leggermente incassato,  di cm 1,2 x 1,7 ca; abraso il rilievo, abbastanza leggibile.

Analisi paleografica: verso destrorso, andamento orizzontale, parole a capo, nessuna interpunzione, ductus pianificato, con orientamento e distanze fra lettere che formano due parole della stessa lunghezza ben inserite nel cartiglio; particolare l’effetto quasi speculare della A e la R di SARI; modulo poco allungato.

Analisi onomastica: bi-membre, Felix Sari, riferito allo schiavo (Felix) probabilmente lavorante della produzione di una figlina Sarius.

¶ PRODUZIONE / ATTESTAZIONI ¶

Il vasaio padano Sarius produsse prevalentemente coppe e secondariamente piatti. Mercato preferenziale era il Magdalensberg, la Venetia, con attestazioni ad Aquileia, Forum Iulii, Loron, Altino, Valli Grandi Veronesi, l’Aemilia, soprattutto a Bologna[108].

Tre bolli testimoniano la presenza della ceramica Sarius a Concordia, due SARI in cartiglio rettangolare ad angoli arrotondati, uno in planta pedis; inoltre uno schiavo Amphio sembra essere riconducibile alla serie dei servi del vasaio padano Lucius Sarius, già noto in associazione con altri schiavi[109]. (dovrei vedere Ock 1783-1794)

Schiavo è il Felix della coppetta di Sambruson, probabilmente di Lucius Sarius, che si ritrova pure in Oxé-Comfort:

Altri schiavi di Lucius Sarius della Po Valley attestati in Oxè- Comfort sono: Celer, Crestus, Gratus, Primus, Quartio, Remus, Rivus, Severus, Tyrsus, Tritus, Surus. A questi si aggiungono 6 tipologie dove appare il solo genitivo Sari (uno con S rovesciata, uno in planta pedis)[110].

Riguardo la gens, due presenze elencate in OPEL[111]:

da Aquileia[112]

 

da Bihać (Dalmatia)[113]

Lapide dedicata al liberto Turus Sarius, probabilmente ricco, dato che la lapide è di notevoli dimensioni con iscrizione (titulus) in buona evidenza (in fastigio).

Da aggiungere una lapide rinvenuta a Vittorito e conservata a Corfinio (L’Aquila) [114]:

L(ucio) Sario L(uci) fil(io) Ser(gia) Felici decurioni Corfiniensium
iuveni inc(omparabili) qui vixit annis XXX mensibus VI diebus X
L(ucius) Sarius Felix pater et Pontia Iustina mater filio
piissimo et L(ucius) Sarius Iustinus frater et Saria Felicu=
5    la soror posuerunt 
l(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum)

Tale iscrizione funeraria potrebbe indicare l’affermazione a livello politico ed economico della gens Saria, tra l’altro qui presente con generazioni di Lucius e con nomi di liberti ormai emancipati, e la sua presenza e/o diffusione in Adriatico anche oltre la Venetia (la lapide di Bihać potrebbe esserne prova).

¶ DATAZIONE ¶

Cipriano, Veronese, fine I sec. a.C. - inizio I sec. d.C.[115].  Oxé, Comfort: 20 a.C. - 20 d.C.; dal  5 a.C. il Felix Sari di Sambruson[116]. Nel bollo di Sambruson non appaiono forme che giustifichino l’appartenenza al periodo imperiale post-augusteo: nessun apice, forma ancora rotonda, in linea con la datazione riportata qui sopra.

  • Bollo EROS su terra sigillata

¶ COLLOCAZIONE ¶

Catalogo 064[117]; inv. 289771.

¶ SUPPORTO ¶

Frammento, fondo di patera, piede ad anello a profilo leggeremente obliquo, con superficie esterna che sporge verso l’esterno. Tipo: Conspectus 12.1-12.4; (Drag. 16 tipo B; Goud. 15/17; Mazzeo 11). Vernice della superficie interna ed esterna opaca di colore rosso-giallastro (5YR 4/6) che tende a sfaldarsi in modo puntiforme e scagliforme. La vernice è assente sulla superficie interna del piede e su quella esterna del fondo. EVE fondo 58%. Diam.max fondo cm.8,8. Peso g 80. Bollo racchiuso entro due solchi concentrici incisi ad una distanza di 2,8 cm dal centro e una linea concentrica verso l’esterno ad una distanza di 5,6 cm dal centro[118].

Impasto

Frattura colore rosa. Individuato impasto n. 38. Sue caratteristiche: colore della frattura rosa (5YR 7/4), frattura irregolare; leggermente ruvido; piuttosto duro  L’impasto è molto depurato, presenta piccolissimi inclusi di calcite, ben distribuiti. Si presenta ben compatto e a matrice ferrica[119].

¶ BOLLO ¶

Bollo ERO[S] in planta pedis leggermente incassato,  di cm 0,7 x 2,0 ca; mancante la parte finale dove doveva esserci una S. Abbastanza visibili le lettere essendo abrasa la vernice.

Analisi paleografica: verso destrorso, andamento orizzontale, da punta a tallone della planta, ductus approssimativo, modulo di R e O quadrato.

Analisi onomastica: nome unico di schiavo o liberto.

¶ PRODUZIONE / ATTESTAZIONI ¶

Ravagnan identifica Eros con un vasaio nord-italico i cui prodotti sono attestati a Ravenna, Aquileia e nel Magdalensberg. Il bollo Eros è attestato in cartiglio su forme augustee e in planta pedis su forme tardo-augustee e tiberiane[120].

Un bollo EROS in cartiglio rettangolare chiuso in cerchio scanalato circolare su terra sigillata (piatto?) proviene da Altino[121].

Cipriano e Veronese registrano un bollo da Iulia Concordia di dubbia interpretazione[122]: iscrizione retrograda; se la prima lettera fosse una E corsiva, il nome risulterebbe Eron. Per sciogliere in Eros si dovrebbe immaginare la N come un’improbabile S stilizzata e ruotata.

Oxé Comfort Kenrick evidenziano l’ingente quantità di produzioni sotto il marchio Eros (evidentemente figline diverse) in Italia Centrale (generico), ad Arezzo, a Pozzuoli, nella Po Valley in località non certe. Limitatamente alla Po Valley, immaginando la produzione appartenente in gran parte a quell’Eros figulo nord-italico succitato, fra 8 tipi, i due qui riportati in planta pedis assomigliano al bollo di Sambruson, nello specifico il secondo, con la parte delle dita rivolta a sinistra[123].

¶ DATAZIONE ¶

Il periodo di produzione del vasaio nord-italico che indica Ravagnan, da Augusto a Tiberio[124], trova riscontro in Oxé che data la produzione della Po Valley tra il 10 a.C. e il 20 d.C.[125].

L’analisi paleografica, con lettere non verticalizzate, conferma una datazione abbastanza alta.

 

6.1.5 BOLLI SU DUE CROGIOLI

A

 

B

 

Due bolli simili sono impressi sul fondo di crogioli, piccoli recipienti (diametro del fondo: cm 7,0-8,0 ca), bucherellati, di ceramica grezza refrattaria.

Appaiono su entrambi i fondi  i numeri di inventario incisi con tratto largo. Sembrerebbero: 294697 e 294698.

 

¶ BOLLI ¶

Il bollo di A, seppur rovinato verso la parte bassa, evidenzia una forma ovale tagliata alla base. L’icona contenuta potrebbe raffigurare una sorta di improbabile cristogramma, con la P rivolta a sinistra, stilizzata a triangolo e suo pseudo-arco prolungato con un braccio oltre l’asta; scendendo si incontra un segmento posto a raffigurare l’asse orizzontale della croce, o un secondo asse se si considera tale anche il tratto sovrastante; alla base non appare, come dovrebbe se si trattasse di un cristogramma, la X, bensì un triangolo che ripete quello sovrastante in un gioco di rotazione, forse ad indicare il Golgota. Altra ipotesi: la presunta P rovesciata potrebbe essere un 4 in cifra araba.

-  Il bollo di B manca della parte sottostante. Si differenzia dall’altro per un’asta a destra che tocca il prolungamento orizzontale della P rovesciata, o del 4, e va ad unirsi con l’estremità dell’asse orizzontale della croce, chiudendo così un angolo e formando una sorta di H.

Non sono attestate fonti utili ad inquadrare a livello spaziale e temporale tali raffigurazioni. È ragionevole datarle successivamente al periodo dell’Impero Romano d’Occidente se si accetta l’ipotesi che l’impianto iconico si basi sulla doppia croce ortodossa. Ancor più se fosse raffigurato il 4 in cifra araba.

È suggestivo terminare con la personale e originale descrizione di Lino Vanuzzo sull’utilizzo dei crogioli, che egli colloca addirittura in epoca pre-romana:

“Infine anche cimeli domestici completarono le mie fatiche. Strani sono due fornetti pre-romani. Essi sono simili a vasi con la forma a tronco di cono, alti tra i 30 e i 40 cm e del diametro dai 10 ai 15 cm, con il fondo un po’ allargato a semisfera. Hanno lo spessore di un cm, sono composti di materiale refrattario, tutto bucherellato. Dentro vi mettevano la brace, perché vi sono ancora residui di ceneri e carboni ed al di fuori vi dovevano avvoltolare... la bistecca. Potevano anche fornire un servizio opposto, cioè venire immersi nelle braci con dentro le vivande. Credo siano gli antenati dei nostri forni e dei nostri girarrosti[126]”.

Descrizione azzardata? Forse. In ogni caso, attraverso originalità, curiosità intellettuale e vera passione Vanuzzo, “senza saperlo... archeologo... senza volerlo”[127], fornì un contributo notevole alla ricerca storica.

ALCUNE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Tenendo presente l’utilissima indicazione di Girolamo Zampieri circa la zona del rinvenimento della stele “Velluti” (come definisce il monumento funerario di L.Combullus Faustus), cioè ad alcuni chilometri da Sambruson lungo la strada che conduce a Gambarare, l’analoga localizzazione per il rinvenimento del miliario di Costantino, luoghi vicini citati assieme (Gambarare, Piazza Vecchia, Porto Menai), l’“area B” di Sambruson (lungo via Carrezzioi) che si avvicina al confine con Mira, si è portati a pensare ai luoghi dei rinvenimenti come ad un unicum che lega a livello insediativo gli spazi evocati dagli antichi toponimi Ad Portum e Maio Meduaco.

Ciò potrebbe essere confermato da ulteriori rinvenimenti, in luoghi più o meno limitrofi, che allo stato attuale rimangono soltanto una vaga ipotesi.

Per quanto riguarda Sambruson, che di questa possibile area insediativa diffusa potrebbe essere stato nucleo di riferimento, va considerato che l’insieme dei reperti presenti nell’“Antiquarium”, o in altre sedi, come il miliario di Costantino, conservato al Museo Archeologico di Venezia, o smarriti, come la stele di Combullius o alcuni oggetti di un certo pregio, ad esempio le antefisse a testa di Gorgona, formano un insieme variegato e significativo, che va dalle attestazioni funerarie (la stele appunto, ma anche olle, che potevano diventare contenitori cinerari) all’uso quotidiano (coppe, terra sigillata), al lavoro domestico (pesi da telaio), in un contesto socio-economico di un livello non basso (a conferma di ciò potrebbe risultare ancora la stele “Velluti” - salvo che la sua provenienza non sia altra, ad esempio da Altino - ma anche le antefisse, i frammenti di pavimento musivo e di parete affrescata). Non va dimenticato che si sta parlando di un sito con presenza di una mansio o mutatio (il termine, come si è visto, non è significativo, cfr. cap. 4.1.3.), in prossimità della via Annia, quindi interessato da flussi di persone e di merci, con un certo indotto economico.

A conferma del dinamismo dei flussi commerciali si potrebbe prendere in considerazione la varietà dei bolli presenti nei laterizi: frammenti di tegole pansiane, ma anche di altra provenienza, tra cui alcune sigle non note, alle quali si è cercato qui di assegnare un’identità. E non è poco, poiché vanno colte “… le molteplici sfaccettature storiche, economiche, giuridiche e sociali che si celano dietro ad un semplice nome, impresso entro un ‘timbro punzonato’ su un manufatto fittile, semplice e standardizzato, quale è una tegola o un mattone, più raramente un coppo. Un nome – variamente abbreviato con nessi di lettere, solo o preceduto o seguito da abbreviazioni di altri nomi, o da sigle talvolta interposte con lettere ‘nane’, o ancora seguito da signa – rimanda necessariamente al rapporto tra il soggetto-persona ed il manufatto. Il manufatto a sua volta rimanda alla sede manifatturiera, alle vicende storiche, amministrative e alle scelte operate nell’ambito dell’economia del territorio dove si attiva la produzione, nella sua interrelazione con le aree del consumo dei prodotti”[128].

In conclusione un pensiero, un’ipotesi seppur improbabile, giustificata da un’associazione di idee, non già da una deduzione scientifica: l’avventura di Vanuzzo ebbe origine dagli scavi della Val d’Adige effettuati su terreni ricchi di argilla; una fornace di Dolo, della in Riviera del Brenta, dove di questa e di altre fornaci restano testimoni di una lontana attività paleoindustriale edifici vuoti, ruderi, alte ciminiere che svettano inattive. C’era qualche tradizione, pur con delle lunghe cesure? Forse no, ma il seguente articolo di giornale è suggestivo.

Vetrego non è, poi, così lontana dalla Riviera del Brenta.

 


[1] Morizio 1994, pp. 230-233.

[2] Vanuzzo 1950, p. 19.

[3] CAV IV 1994, p. 69.

[4] Vanuzzo 1950,  pp. 3-5.

[5] CAV IV 1994, p. 67.

[6] Righini 2010, p. 11.

[7] Cipriano, Mazzocchin 2003, pp. 50.

[8] Pellicioni 2012, p. 13.

[9] Cipriano, Mazzocchin 2003, p. 51.

[10] Zerbinati 1993, p. 96.

[11] Pellicioni 2012, pp. 12-13.

[12] Matijašic 1983, p. 63

[13] Zampieri 2005/2006b, scheda 250.

[14] Zampieri 2005/2006b, scheda 250; Zampieri 2005/2006, p. 69.

[15] Questa e le altre foto  con righello di riferimento che seguiranno, nonché i disegni di reperti sono tratti dalle tavole contenute in Zampieri 2009.

[16] Matijašic 1983, pp. 965-966.

[17] Matijašic 1983, p 992.

[18] Matijašic 1983, p 995.

[19] Matijašic 1983, pp. 962-963. Matijasic accenna alla probabile confisca dei beni di Vibius dopo la sua morte, avvenuta nel 43 a.C. nella battaglia di Modena contro Marco Antonio, da parte dei triumviri vittoriosi. In Cipriano, Mazzocchin 2003, pp 50-51 si leggono, in sintesi, tre motivi alternativi: Vibius muore con gli onori di stato, perciò è possibile che lui stesso abbia donato i suoi beni ad Ottaviano per il quale parteggiava, oppure che la confisca sia avvenuta per mano del nemico Antonio, o infine che i beni siano stati venduti all’imperatore dagli eredi di Vibius.

[20] Zampieri 2005/2006b, scheda 248.

[21] Zampieri 2005/2006b, scheda 248; Zampieri 2005/2006, p. 69.

[22] Matijašic 1983, p. 967

[23] Cipriano, Mazzocchin 2003, p. 51.

[24] Zampieri 2005/2006b, scheda 246.

[25] Zampieri 2005/2006b, scheda 246; Zampieri 2005/2006, p. 67.

[26] Matijašic 1983, p. 994

[27] Cipriano, Mazzocchin 2007, tabelle.

[28] Zampieri 2005/2006b, scheda 251.

[29] Zampieri 2005/2006b, scheda 251; Zampieri 2005/2006, p. 68.

[30] Matijašic 1983, p. 994.

[31] Cipriano, Mazzocchin 2007, tabelle.

[32] Zampieri 2005/2006b, scheda 245.

[33] Zampieri 2005/2006b, scheda 245; Zampieri 2005/2006, p. 66.

[34] Zampieri 2005/2006b, scheda 247.

[35] Zampieri 2005/2006b, scheda 250; Zampieri 2005/2006, p. 69.

[36] Matijašic 1983, p. 964, p. 968, p. 993.

[37] Matijašic 1983, p. 969, p. 972, p. 994.

[38] Matijašic 1983, pp. 974-976, p. 995.

[39] Cipriano, Mazzocchin 2007, pp. 653-676.

[40] Zampieri 2005/2006b, scheda 253.

[41] Zampieri 2005/2006b, scheda 253; Zampieri 2005/2006, p. 45.

[42] Zerbinati 1993, p. 113.

[43] CIL, V, 2547.

[44] CIL I² 3406.

[45] Cipriano, Mazzocchin 2003, pp. 38-39.

[46] Cipriano, Mazzocchin 2007, p. 638.

[47] Cipriano, Mazzocchin 2007, p. 648.

[48] Cipriano 2011, p. 125.

[49] CIL XII 5142; Mócsy, Lorincz 1999, vol. II, p. 86;

[50] Cipriano, Mazzocchin 2007, p. 669.

[51] Cipriano, Mazzocchin 2007, pp. 642, 643, 652, 663, 666, 670, 674.

[52] Cipriano, Mazzocchin 2003, p. 43.

[53] Cipriano 2011, p. 125.

[54] Zampieri 2005/2006b, scheda 253.

[55] Cipriano, Mazzocchin 2003, p. 39.

[56] Zampieri 2005/2006b, scheda 249.

[57] Zampieri 2005/2006b, scheda 249; Zampieri 2005/2006, p. 64.

[58] Zampieri 2005/2006, p. 140.

[59] Zampieri 2005/2006, p. 140.

[60] Cipriano, Mazzocchin 2007, p. 669.

[61] Crisafulli 2011, p. 204.

[62] Cipriano, Mazzocchin 2007, p. 655.

[63] Morizio 1990, pp. 46-47.

[64] Zaccaria 1989, pp. 476-477.

[65] Buora 1985, pp. 209-226.

[66] Zaccaria 1989, p. 475.

[67] Zampieri 2005/2006b, scheda 325.

[68] Zampieri 2005/2006b, scheda 325; Zampieri 2005/2006, p. 65.

[69] Zampieri 2005/2006, p. 141.

[70] Cipriano, Mazzocchin 2007, p. 641.

[71] Zampieri 2005/2006, p. 141.

[72] Zerbinati 1993, p. 122.

[73] Mócsy, Lorincz 1999, vol. II, p. 208.

[74] Cipriano, Mazzocchin 2007, p. 669.

[75] Cipriano, Mazzocchin 2007, p. 643.

[76] Righini 2010, pp. 11-12.

[77] Zampieri 2005/2006b, scheda 254.

[78] Zampieri 2005/2006b, scheda 253; Zampieri 2005/2006, p. 45.

[79] Solin, Salomies 1988, p. 425.

[80] Solin, Salomies 1988, p. 102.

[81] CIL V III 564.

[82] Pucci 1981, pp. 111-114.

[83] Cipriano 2003, p. 235. Il consumo di derrate ad Altinum tra I secolo a.C. e II secolo d.C.: i dati dei contenitori da trasporto.   sta in a cura G. Cresci Marrone e M. Tirelli,   Produzioni, merci e commerci in Altino preromana e romana   Roma 2003    235-260

[84] Zampieri 2009, pp. 175-176.

[85] A Heinrich Dressel si deve la prima classificazione tipologica delle anfore romane. Nel 1879 schedò le iscrizioni presenti sulle anfore rinvenute a Roma vola (CIL XV 2, tab.II) ancora valida in gran parte.

[86] Zampieri 2005/2006b, scheda 198.

[87] Zampieri 2005/2006b, scheda 198.

[88] Zampieri 2005/2006b, scheda 198; Zampieri 2005/2006, p. 41.

[89] Maritan 2015, p. 180.

[90] Zampieri 2009, p. 180.

[91] Cipriano 2009, p. 176.

[92] Cipriano 2009, p. 178.

[93] Mazzocchin, Pastore 1996-1997, pp. 163-165.

[94] Maritan 2015, p. 180.

[95] Oxé, Comfort, Kenrick 2000, p.177.

[96] Oxé, Comfort, Kenrick 2000, p. 177.

[97] Cipriano 2009, pp. 176-177.

[98] Zampieri 2009, p. 180.

[99] Maritan 2015, p. 180.

[100] Maritan 2015, pp. 222-223.

[101] Mantovani 2011, p. 142.

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Vanuzzo carteggio = L. Vanuzzo, Raccolta di corrispondenza sui reperti di Sambruson, non edita, conservata c/o Antiquarium di Sambruson.

Veronese 2011 = F. Veronese, Il “Progetto via Annia”: bilancio e conclusioni, in F. Veronese (a cura), Via Annia II. Adria, Padova, Altino, Concordia, Aquileia, Padova 2011, pp. 15-17.

Vulcano 2007 = E. Vulcano, La Riviera del Brenta, Mira (VE) 2007.

Zabeo 2010 = M. Zabeo, La ricostruzione del paesaggio antropico di età romana in siti a morfologie variabili: la laguna di Venezia da Brundulum ad Equilium, Padova 2010.

Zaccaria 1989 = C. Zaccaria, Per una prosopografia dei personaggi menzionati sui bolli delle anfore romane dell’Italia nordorientale, in Amphores romaines et histoire économique. Dix ans de recherche. Actes du colloque de Sienne (22-24 mai 1986), Roma 1989, pp. 469-488.

Zaccaria 2014 = C. Zaccaria, T. Annius T. f. tri(um)vir e le prime fasi della colonia latina di Aquileia. Bilancio storiografico e problemi aperti, in M. Chiabà (a cura), Hoc quoque laboris praemium. Scritti in onore di Gino Bandelli, Trieste 2014, pp. 519-552.

Zampieri 1970 = G. Zampieri, Stele funeraria romana inedita dalla zona di confine tra Patavium ed Altino, in Padusa, VI, 1970, pp. 169-177.

Zampieri 2005/2006 = M. Zampieri, I materiali ceramici di epoca romana del museo di Sambruson di Dolo, tesi di laurea, vol. 1, Venezia 2005/2006.

Zampieri 2005/2006b = M. Zampieri, I materiali ceramici di epoca romana del museo di Sambruson di Dolo. Il catalogo, tesi di laurea, vol. 2, Venezia 2005/2006.

Zampieri 2009 = M. Zampieri, Ad duodecimum mansio Maio Meduaco, Sambruson in epoca Preromana e Romana, Dolo 2009.

Zerbinati  1993 = E. Zerbinati, Note per un dossier sui bolli laterizi scoperti ad Adria e nel Polesine, in C. Zaccaria (a cura), I laterizi di età romana nell’area nordadriatica, Roma 1993, pp. 93-126.

Zilio 2009 = A. Zilio, Trovemose al museo, Dolo (VE) 2009.

Zustinian 1786 = G. A. Zustinian, Pensieri d’un cittadino sul fiume Brenta, Padova 1786.

 


a cura di Luigi Zampieri

 


Ultimo aggiornamento (Lunedì 16 Dicembre 2019 15:03)

 

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