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SONETTI “ACUTI BREVI, ERMETICHE RIME” A.Zilio 2017

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SAMBRUSON. CULTURA, COSTUME, TRADIZIONI, AMBIENTE. - LETTERATURA A SAMBRUSON (II)

Sambruson 24/06/2017

Caro Luigi, ti invio questo lavoro scritto ancora a una velocità impressionante. Ho finito. Non  mi resta  niente altro. Per ora. Aspettiamo autunno! Andrea.

Grazie e complimenti per la tua nuova opera. Luigi.

SONETTI
“ACUTI BREVI, ERMETICHE RIME”

 

 

Proemio

Acuti brevi in ermetiche rime

quelli che spontanei mi sgorgano

con un suono che il cuore a lor imprime,

tale che tutti scoprirle possano.

 

La mia poesia scomparsa, tarda e lenta,

ora è compressa ed esplode con rabbia;

è tardi, non la controllo, violenta

fa riemergere il pensiero da sabbia.

 

Abbi pazienza, lettore, ritorna,

leggi, son piccoli semi riposti

che stringo, aprili, tuo pensier s’adorna.

 

Il tempo all’incertezza ci ha esposti,

non val l’eloquio che da sol s’incorna,

cerca acuti davanti a te nascosti.

 

1. S’AFFRETTANO LE SERE

Tornano con il maggio preferito

delicati effluvi d’amici tigli,

risorge il brolo che s’era annerito,

la vigorosa edera cerca appigli.

 

Rivedo il picchio, bussa alla betulla,

cerca ignari vermi in tenere scorze;

tornano operaie all’alveare, culla

d’una regina madre senza forze.

 

Maculato è il prato di ranuncoli

e di tremuli trifogli fioriti.

Radenti ascosi mondi minuscoli

 

ci richiamano, ma attratti da miti,

perdiam le infantili memorie e soli

imbruniamo tristi, senza appetiti.

 

2. MEGLIO IN BOCCA AL LUPO!

Difendevo l’uomo. Ahimè, che dolore,

difenderò i lupi! Innocenti e puri,

sbranan quel che serve, bestie d’onore

son, lascian, senza fame, eppur son duri.

 

Una madre lancia dal finestrino

l’infante appena nato. Oh, che sbadata!

Piange, non si tratta così un bambino!

Ha già problemi? Allora è perdonata.

 

Il popolo? Diventa  il suo scopino!

Promette, minaccia, sorride e urla

il politico, e  ammalia il popolino.

 

Il Parlamento?  Oramai allegra burla,

vivacchia, galleggia sin dal mattino:

fanno a gara a chi più cittadin ciurla.

 

3. QUESTIONE DI PUNTI DI VISTA

Divide il mondo in due il muretto rosso,

Carletto, solo,  gioca a palla contro.

E’ bello il suo cortile, gli sta addosso

la mamma, lui da lì non s’è mai mosso.

 

Salgono lamenti da oltre il muretto.

Incuriosito grida: chi c’è? che c’è?

Nulla! Allor  chiama, grida per dispetto.

Carletto si chiede: come mai, perché?

 

Cattivi bimbi, presto rispondete!

La sua opinione è triste e sconsolata.

Vi sento, perché mai di me ridete?

 

Sale il fico, a terra c’è accoccolata,

di là, una bimba che segna: silenzio!

regge un passero con l’ala spezzata.

 

4. SIAMO CREDENTI, BRAVA GENTE

Mano tesa, occhi vinti, i medicanti

bussano, guardano, restano silenti,

aspettano! Sono esseri vaganti

in un mondo di bianchi disattenti.

 

Quarantaquattro onorate famiglie

han cancelli nella nostra piazzetta,

uno solo s’apre. Spiano le figlie,

escono i signori con la berretta;

 

solita vergogna! dicon le mogli,

solita badante non bada affatto.

C’è fame, disprezzo sol se li cogli.

 

Traballante va,  né pane né tatto

per lui, se anche la parola gli togli

allor la man di Caino è ancora in atto.

 

5. COSI’ VA IL MONDO

Ecco, un vecchio sbalestrato gabbiano,

ali aperte, sorvola il Vaticano,

la colonna d’imperator Traiano.

a caccia, e tutto il foro romano.

 

Ecco, da San Pietro s’alzan colombe

bianche, messaggere di pace e bene:

sul capo dei pellegrini è ecatombe,

ma ognuno sul sagrato ha le sue pene.

 

Son senza pudore i gabbiani a Roma,

nidificano sopra il Campidoglio,

sorride la sindaca giammai doma.

 

Brigadier zelante esprime cordoglio

all’assalita colombina in coma

sul tettuccio, e annota sul portafoglio.

 

6. L’ARTE DEL MENTIRE per SOPRAVVIVERE

Comincia sempre col dir che hai ragione,

il bugiardo,  e così fredda tua passion;

attendi sereno una spiegazione,

invece arriva la proterva aggression.

 

Docile, malleabile in apparenza,

è invece bianco sepolcro recente,

o tra l’erba, per  innata tendenza,

striscia quale velenoso serpente.

 

Il mentitor è un vile personaggio,

si nasconde sempre dietro a qualcuno,

che gli serva da vigoroso ancoraggio.

 

Vive in ombra per sembrare nessuno,

felice d’esser del violento il paggio,

di amore e verità è sempre digiuno.

 

7. QUANDO LA PICCOLA CINQUECENTO RISALIVA I MONTI

Ti ricordi quell’estate sul lago,

cielo sereno, fiorito dei fuochi

in onore dell’Assunta, mai pago

di sguardi e sospiri, di canti e giochi.

 

La tenda sollevata dalla brezza

mostrava curiosa luna calante

che gioiva d’ogni nostra carezza

da gelosa, lontana sposa errante.

 

Non son pochi cinquantadue anni insieme,

molte stagioni ci han visto tremare,

ma anche gioire per raggiunta speme.

 

A quei giorni lieti vorrei tornare,

riveder pinete verdi, ma geme

il mio cuor, va il treno e puoi sol guardare.

 

8. IL TEMPO NON INDUGIA, NON ARRETRA

Come le onde sulla spiaggia tornano

e vanno, così i meriggi assolati

di ragazzi scalzi che incidevano

cuori sugli alti pioppi allineati;

 

mi risorgon e rivedo amici sciolti

intenti a scalare albicocchi e peschi

altrui, con coraggio di gruppo, i volti

raggianti pronti a svelar sogni freschi.

 

Si scorda la mia cetra, son fievoli

gli slanci, sono onde che appaiono,

che la mente tosto assorbe e i deboli

 

segnali, riflessi e lenti, spaiono.

Il tempo severo separa ruoli

e voglie, così anche i sogni muoiono.

 

9. CONTADINO, “TACITATO” DELLA PAROLA

L’ombra degli aceri è impenetrabile,

Elio sonnecchia appena, odora fieni

secchi; la scuola ha un ampio cortile,

bimbi chiassosi corrono sereni.

 

Gli ricordano i brughi delle valli,

gli aratri e i gioghi dei bovi pazienti,

finimenti inzuppati di cavalli,

le trebbiatrici e le nuove sementi.

 

Siede su una panchina, guarda il prato,

gode i giorni vecchi, vede un portone

che da settantanni più ha valicato.

 

Mani callose stringono il bastone;

eroe dei solchi, devi esser onorato,

alzati! ti porgo il mio guiderdone.

 

10.AMICI MIEI, C ERCATE I PICCOLI SEGNI

Sono passato, non ho salutato,

scricchiolano le scarpe lungo il viale,

ognuno ha ricette e sguardo malato,

non sente o vede, tranne l’ospedale.

 

Acque stagne, canneti, alghe e licheni,

m’attraggono: qualcuno mi saluta?

Gracida una  rana! Gli esseri alieni

sono ritornati a nostra insaputa?

 

Ascolto! Non mistero, ma rarità.

Per me è come un verso dell’Infinito,

come a un povero gesto di carità,

 

come romanza di Bocelli, un mito!

Sì, ci sono ancor speranza e verità

per un popolo distratto, sbiadito.

 

11. VIOLENTO E’ IL VENTO

Violento è il vento, il suo pugno è pesante,

fa male a tutto ciò che tocca e spezza.

In dote non ha altri sensi, vagante

e malvagio, diventa pure brezza.

 

Non annienta con parole, con sguardi

truci, rifiuti, arroganti minacce,

non fa gesti pungenti come i cardi,

né ostenta l’inganno di mille facce.

 

La violenza non è solo negli atti,

è pure un dito alzato che diniega,

un ostentato disprezzo oltre i fatti,

 

una ferita inferta senza piega.

negare un saluto fin che t’abbatti;

non attaccar bottone con chi bega.

 

12. LA GRANDE SCOPERTA

Quando, un giorno, si farà il resoconto

di come è andato il mondo, la verità

sarà chiara, senza smentita o sconto,

a dare lavoro a mezza umanità

 

sono stata io: la carta stretta in mano.

Sono da consegnare, ritirare,

timbrare a secco, firmare con strano

sgorbio, restituire, fotocopiare.

 

Causa feconda di pubblico impiego,

in scuole, ospedali, tribunali, enti

ognuno ha da consegnare un piego.

Si dia papiro ai cavalieri uscenti,

che dica: grazie! bravi! Con sussiego

non riponetelo tra i documenti.

 

13. IL CONFINE

La mia famiglia è universale, nota

in tutto il  mondo, i miei cari parenti

cambiano spesso peso e quota;

molti, con brutti modi e rudi accenti,

 

tentan di cambiar loro fisionomia.

Allor succedono orribil affanni,

c’è chi volendo agir in autonomia

produce subito propri e altrui danni.

 

Quanti ragazzi rimasti insepolti,

mandati a vigilare inutil confini,

ghignano con bianchi denti ai re stolti.

 

Siano i prati aperti a tutti i bambini,

a giocare, a scoprire sian rivolti,

a gestire i lor liberi destini.

 

14. LA RUOTA

Tutto gira, tutto rotola e passa.

In cerchio girano gli astri e i pensieri,

vanno e poi tornano, a quota bassa,

mai uguali, eppur sembrano quelli di ieri.

 

L’uomo vide rotolare un albero,

nacque la ruota, in grado di girare,

trasportare; sconvolse il mondo intero,

cominciò tosto a operare, a inventare.

 

La lancetta gira, il motore gira,

e la storia, pure la stessa vita;

quando il gran giro si ferma si spira.

 

Rotolano i giorni, il pensier s’avvita,

molesto l’oscuro ignoto ci attira,

ci conduce dove storia è partita.

 

15. ALTO SENSO DI RESPONSABILITA’

Il commerciante non si fa incartare,

ha sempre una risposta azzeccata.

“Mezzo chilo di responsabilità!”

“La vuole tutt’intera o spezzettata?”

 

C’è chi la cita, ma non sa cosa sia,

c’è chi la pronuncia perché fa effetto,

sembra atto di grande impegno e cortesia,

spesso è imbroglio d’ipocrita perfetto.

 

L’uomo è libero quando è consapevole

e responsabile, quando si finge

diventa uno scarto deplorevole.

 

Meglio il bottegaio, che a burla attinge,

che il politico, poco onorevole

quando mente serio come una sfinge.

 

16. I DOLORI DEGLI AVARI

Gli occhi da cassetta d’elemosine

son fessure della siora balena

Bianca, grande cicciona, fiuto fine,

ronza allo scheo come a fanal falena.

 

Or s’è messa in dieta per risparmiare,

teme impreviste carestie bibliche

d’Egitto, piange sempre e per campare

va alla questua per chiese e basiliche.

 

Nasconde gli ori per timor dei ladri,

non denuncia i palazzi, il fisco teme,

non figli, mariti, badanti, padri,

 

pretendenti; “quando morirò” geme,

riammira le belle dame dei quadri,

“mi lascerete sola?”  piange e freme.

 

17. LA RESSA PER ANDARE IN UNA LISTA

L’imbecillità diffusa nel Paese,

signora nei concorsi e giochi a premi

in tv, non è occulta ma palese,

da  scuola trascurata nulla spremi.

 

L’assessore alle sardine presenzia

al lancio nel fiume, vanta il pedibus,

su tutto, con sufficienza, sentenzia;

bilancio, imposte, igiene? sono un rebus.

 

Le prebende sono sempre presenti,

pure inaugurazioni, premiazioni,

strette di mano, patrocini, accenti

 

di compiacimento. Le delusioni:

negli uffici troppi sono gli assenti?

Non importa, tutti avrem le pensioni.

 

18. LA PAROLA

M’inchino al suono di questa potenza,

l’evangelio la chiama Verbo, Dio.

Significa libertà, conoscenza,

la via per realizzare l’esser mio.

 

Don Milani la dotò ai tacitati

di Barbiana, ove eccelse la sua scuola.

Serve pensare se non si è ascoltati?

Chi sei, se non sai proferir parola?

 

Del silenzio ascolta astioso rimbombo

di chi è respinto dal cerchio sociale

per negata cultura o magro lombo.

 

C’è di favella chiave originale

per bussare alla porta non con piombo,

ma con saggia conquista personale.

 

19. GLI ANGELI NON VANNO IN VACANZA

C’è un rombo nel cortile delle scuole,

tamburelli, bandierine e richiami

fan vibrar l’aria tra festose aiuole,

dei platani sotto gli ombrosi rami.

 

Cosa c’è di meglio di frequentare

scuole con vacanze senza cartelle,

tra musiche saltellanti, e ballare?

Sono gioia e sorrisi a fior di pelle.

 

Un angelo, in disparte, una bambina

spiega alla compagna cosa succede.

Non vede, resta ferma in carrozzina.

 

E’ grande, immenso l’amor che provvede!

Non gioca Agnese! Spiega a testa china

che l’arbitro un rigore a lor concede.

 

20. OLE’ BELLA DONNA!

Attentamente ascolto dei ribelli

il grido di chiamata alla libertà,

sia vita scevra d’ignobil fardelli

che distruggono l’umana dignità.

 

Cangaceiro brasileiro, lamento

dolce che incanta e convince l’anima

di chi non teme l’ira e l’armamento

e l’onda del tiranno che tracima.

 

O donna brasileira insofferente

al giogo, hai rinunciato a casa e figli

per vivere a fianco del combattente.

 

Dei fazenderi i vigorosi artigli

avete reciso, cantato ardente

amor per chi i Sertao rese vermigli.

 

21. GIGI E’ SOLO

Traballa in  sella a passo di formica.

Non ce la fa, Gigi, eppur deve andare;

vista s’attenua, il ricordo d’antica

baldanza torna e subito scompare.

 

Cos’hai? ti vedo rattristato, fosco

in volto; alle feste di san Rocco

eri attrazione, più non ti conosco,

davi a tua griglia profumato tocco.

 

Il ricordo di luce gli occhi scheggia;

parla sottovoce, eppur era tonante,

la sua modesta casa era una reggia.

 

Breve male tolse Enrichetta da tornante

di lor vita sempre in salita; albeggia,

ma a chi è solo tutto appar desolante.

 

22. LINGUA LUNGA!

Cinerea, dal poggiolo spunti appena,

veneranda Dina, appassita e stanca,

aguzzi gli occhi, agiti la novena,

il saluto tuo a nessuno mai manca.

 

Passo dall’altro viale, dove l’ombra

è più amica, la mia annebbiata vista

nota il tuo movimento, mente sgombra,

chiara voce saluta chi è in tua lista.

 

Le tue antipatie son tuttora intatte

facile a tagliare i panni addosso

a chiunque, a tuo dire, avesse idee matte.

 

La vita è strana, anche nel paradosso!

Mi feriron tue parole inesatte,

ma ora da tenerezza son scosso.

 

23. UN NIDO DI RONDINI INATTESO

Tra le campagne di questo paese,

locale agreste, basso e trascurato,

rivela miracolose sorprese:

un nido di rondini assai curato.

 

A chi entra e sceglie, riservan premure.

La famiglia resiste sulla terra,

con serre, stalle, trattori e verdure;

cliente veloce e distratto aglio afferra.

 

Guarda in alto, cittadino!  C’è un nido!

Una trave lo regge; garriscono,

volano nel cortile,  senti il grido?

 

Quello è il miracolo della natura,

non solo la cicoria a metà prezzo!

Gioite, andate a veder, fin che dura.

 

24. IL MERCATO, MISTERIOSO SUBBUGLIO

M’avvio anonimo tra la gente, solo,

nessun saluta, guarda i banchi, tocca,

chiede il prezzo, “ripasserò!”, piccolo

cinese offre un orologio a chi abbocca.

 

Quante storie in quella piazza asfaltata

tra caserma e cimitero, non manca

niente al Dolo, persino colorata

mura di cinta da noia ci affranca.

 

C’è un pizzicor di pesce in olio fritto

La  badante guarda, tasta una vestaglia,

si distrae, ma palpare è un suo diritto.

 

Formaggi e ortensie: a quanto? No, si sbaglia!

Mi trovo tra le mani foglio scritto.

Cielo! Che vorrà la creola che abbaglia?

 

25. PER LA SPESA PREPARATI A LUNGA ATTESA

La macelleria, in paese qui vicino,

è stretta, in due servono dietro al banco,

tre nonne parlano del nipotino,

un nonnetto in disparte siede stanco.

 

Affettati, arrosti, pane e chiacchiere;

dicon ch’era gentile “oh, cara nonna!”,

ora ha messo cresta, va dal barbiere

e non  s’attacca più alla nostra gonna.

 

Vecchietto aspetta il turno, non c’è verso

d’introdursi, aggiungono qualcos’altro,

aspetta e spera di sentir diverso.

 

Escono. Il nonno s’alza, sembra scaltro.

Eh, no! Rientrano. “Ricevuta ho perso!”

Riattaccan col nipotino, ma è un altro!

 

26. RIMPIANTO

Ci furon giorni indimenticabili,

eppure trascorsi come normali,

giochi, bisticci tra fratelli, abili

nello scusarsi, senza far dei mali.

 

La sera corse e richiami fin tardi,

padroni dell’aia, sorrisi aperti,

vorrei, fratello, nascosto tra i cardi,

bandiera vincente lasciato averti.

 

Piccola sorella, vestiti? terzo

scarto ti restava, soltanto il riso

era il tuo pianto, ti piaceva scherzo,

 

poi un giorno s’irrigidì il tuo bel viso.

Per tornar indietro non c’è uno sterzo,

piango, di lacrime il mio cuor è intriso.

 

27. PENSIERI LONTANI LIQUEFATTI

Meriggio d’agosto, screzia cicala

il silenzio dei campi dai salici

penduli del fosso, ove batton l’ala

degli anatroccoli ch’escon fradici.

 

Baluginar lontano di figure

indefinite, avanzano, son bovi

che calpestano i solchi, zolle dure

rivoltan, di vermi svelano i covi.

 

Scivolan nelle boschette, ragazzi

scalzi e silenti, con abili fionde

scattanti tra ligustri e canne a mazzi,

 

cercano bersagli ignoti; uve bionde

li distolgon, sembrano degli arazzi

le vigne; ricordando il pensier fonde.

 

28. ARCOBALENO

Vasto in cielo brilla, sotto le ultime

stille cadenti, dei sette colori

un arco magico che al cuor imprime

slanci e ricordi di speranze e amori.

 

Dove finisce nessuno lo vede

solo da lontano ammiri l’immenso.

Un aquilone colorato cede,

piomba sul prato vaporoso e denso.

 

Il cervo volante sale, poi cade,

il cielo provvisorio resta ignoto

a chiunque vuol volar con penne rade.

 

I sogni sono aquiloni nel vuoto,

ti danno emozioni, ciò spesso accade,

poi s’afflosciano e resti senza moto.

 

29. AFFANNOSA RICERCA DI QUIETE

Notte silente, piazzetta isolata

raggrumi tue case in un fazzoletto

di cancelli serrati, illuminata

fino alle tre; mi agito nel mio letto;

 

d’inquieti sonnambuli la calura

approfitta, risveglia desideri.

Strani! Vorrei camminar sulla mura,

nell’orto raccoglier frutti sui peri,

 

parlare con  te in pubblico, alla luna

scrivere una poesia dal marciapiede,

declamar senza derisione alcuna.

 

Gatto immobile. Come mai? Si chiede,

vedendomi a quell’ora fuori cuna.

Vedi, spesso pace da sola riede.

 


INDICE

Proemio

  1. S’affrettano le sere
  2. Meglio in bocca al lupo!
  3. Questione di punti di vista
  4. Siamo  credenti, brava gente
  5. Così va il mondo
  6. L’arte del mentitore per sopravvivere
  7. Quando la piccola cinquecento risaliva i monti
  8. Il tempo non indugia, non arretra
  9. Contadino “tacitato” della parola
  10. Amici miei, cercate i piccoli segni
  11. Violento è il vento
  12. La grande scoperta
  13. Il confine
  14. La ruota
  15. Alto senso di responsabilità
  16. I dolori degli avari
  17. La ressa per andare in lista
  18. La parola
  19. Gli angeli non vanno in vacanza
  20. Olè, bella donna!
  21. Gigi è solo
  22. Lingua lunga
  23. Un nido di rondini inatteso
  24. Il mercato, misterioso subbuglio
  25. Per la spesa preparati a lunga attesa
  26. Rimpianto
  27. Pensieri lontani liquefatti
  28. Arcobaleno
  29. Affannosa ricerca di quiete

Dolo, 24.06.2017


a cura di L. Zampieri

Ultimo aggiornamento (Venerdì 03 Novembre 2017 10:07)

 

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