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Le deviazioni del Brenta

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DAL MEDIO EVO ALL'OTTOCENTO - SAMBRUSON E LA QUESTIONE DEI FIUMI

LE DEVIAZIONI DEL BRENTA NEL PRIMO SECOLO DI DOMINAZIONE VENEZIANA

Danni causati dal Brenta e tentativi per porvi rimedio.

Pur se impegnati durante tutto il basso medioevo in lotte interminabili contro stati italiani e stranieri, i veneziani non avevano mai desistito dal cercare soluzioni contro la sedimentazione in laguna delle sabbie e dei limi portati dai fiumi che vi si riversavano, creando un po' ovunque isole melmose e canneti. Fra questi stagnavano le acque provocando miasmi e la diffusione di malattie. E ciò senza contare i danni che derivavano alla navigazione ed al commercio, che erano fortemente limitati dalle secche e dai bassi fondali.

Per secoli a Venezia si discusse sul da farsi, e furono decise e vennero attuate numerose chiusure, riaperture e deviazioni delle foci dei fiumi che giungevano in laguna o nei suoi pressi, in particolare di quella del Brenta. Agli inizi del secolo XV nella sua parte terminale da Stra a Fusina questo fiume presentava vistosi depositi, attraverso i quali l'acqua defluiva a fatica. E facile capire come ad ogni disgelo o pioggia straordinaria le acque del fiume, ingrossando, trovassero sfogo solo esondando dalle rive o rompendole a forza, allagando i dintorni e raggiungendo, talvolta, anche ville e campagne molto distanti. Oltretutto le rive del Brenta erano allora piuttosto basse e, in molti punti, poco resistenti. Nel 1431 un'imponente rotta degli argini si verificò ad Oriago, e le acque giunsero fino ad allagare Mestre.

Contro una situazione così preoccupante, e per dare risposte alle pressanti richieste di aiuti ed interventi, Venezia decise di costruire due canali, da scavare uno poco a monte di Oriago e l'altro proprio di fronte a questo paese, per deviare col primo, parte delle acque del Brenta facendole scorrere in laguna da Piazza Mercato per Piazza Vecchia e Curano attraverso un diversivo chiamato 'fossa dell'Asse', e col secondo deviandone un'altra parte da Oriago indirizzandola a scaricarsi nel territorio di Sant'Ilario. Ciò avrebbe, però, comportato il sicuro allagamento sia delle terre ilariane, sia delle campagne di Gambarare, Curano, Porto, Sambruson e Camponogara. Le popolazioni di questi paesi si sollevarono e protestarono con tale vivacità, che il capitano di Padova fu indotto a chiedere a Venezia di soprassedere all'esecuzione delle opere. Venne allora sospeso lo scavo della fossa dell'Asse, ma non quello della fossa che partiva di fronte ad Oriago. A causa delle proteste che l'avevano preceduta, essa fu chiamata 'fossa dei Malcontenti' o 'fossa Malcontenta' (da cui derivò il nome al paese di Malcontenta).

Gli effetti benefici che se ne attendevano non si fecero però sentire, mentre invece continuavano a peggiorare le condizioni di salubrità dell'aria e si constatava un aumento di malattie, che fu attribuito ad una situazione sanitaria incontrollabile ("fu molta fievre in Venesia, in modo chel se diceva che le aque dolce conduseva questo mal aiere").

Così si decise di effettuare un nuovo diversivo, più arretrato, che portasse le acque del Brenta a scaricarsi in laguna di fronte al porto di Malamocco. Se ne parlò nel 1443 e si pensò di farlo scavare a partire da Roncoduro. Tecnici ed esperti mandati a visitare i luoghi dettero della situazione un giudizio del tutto sconsolato:

"E loro andorono su la tore de Sancto Ilario, et, visto quanto paese havea aterrado la Brenta, quelli si partirono desconfortadi de lì e tornarono ala Mira. La sera retornò i dicti inzegneri cum quelli da le Gambarare e quelli riferì come i non haveva possudo andar perché quasi tuto era cuora e per tuto sfrondava".

Ai tecnici fu chiesto, anche, se era ipotizzabile poter scaricare la Brenta immettendola nel Brenton e conducendone poi le acque fino a Brondolo. La risposta fu affermativa:

"Li inzegneri tuti dacordo dise de si".

Tuttavia non si fece nulla, anche perché non si era certi se la pendenza dei diversivi via via proposti sarebbe stata sufficiente per far defluire le acque.

Seguirono anni (il 1446 e il 1447) molto difficili per tutti gli abitanti della zona del Brenta sia per una grande pestilenza, sia a causa dei continui straripamenti e inondazioni del fiume, che distrussero "molte ville et habitation" e furono causa dell'insorgere di ulteriori febbri. Ci si rendeva conto della gravita di una situazione che, a causa della malaria, aveva già portato Venezia a sopprimere la vicaria di Oriago, in quanto non era politicamente utile tenere un vicario dove non c'erano abitanti e vivacità di attività economiche, ma il governo centrale seppe dare il via solo ad una serie di iniziative marginali che o non venivano portate a termine, o si rivelavano subito inefficaci.

I gravi danni provocati nel 1457 da grandi piogge imposero, infine, di assumere una decisione impegnativa e di ampio respiro.

Nell'autunno di quell'anno il Brenta ingrossò in modo tale che, scendendo dalla Valsugana, "menò via una parte del ponte de Bassan" e poi, in pianura, ruppe in più punti gli argini giungendo, da noi, fino a sommergere Tresievoli:

"cazò soto aqua la villa de Tersigole, che è apresso Borbiago, per fina ale gronde dele case ."


Dal volume "IN SANCTO AMBROSONE"
di MARIO POPPI

(Associazione Culturale Sambruson La Nostra Storia, Presidente Gianni Deppieri)

articolo a cura di luigi zampieri


L'argomento continua nei successivi articoli della categoria

Ultimo aggiornamento (Venerdì 28 Febbraio 2020 17:09)

 

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